Un tentativo di fare chiarezza nelle confuse polemiche intorno alla cosiddetta teoria del cosiddetto genere

Luisa Muraro
Libreriadelledonne, 26/09/2015

Non è indispensabile avere ragione, ma mi pare indispensabile che tentiamo di capire e di farci capire.

Il primo guaio è che l’italiano genere non traduce esattamente l’inglese gender, come hanno segnalato alcune studiose (penso a Olivia Guaraldo). Bisognerebbe almeno dire “genere sessuale”.

La Società delle Storiche ha ragione a scrivere, a scanso di polemiche pretestuose, che non esiste una “teoria del genere” (in inglese gender theory) e che il cosiddetto “genere” (o meglio, secondo me, “genere sessuale”) è uno strumento concettuale sviluppato nell’ambito degli studi storici e sociali.

Segnalo il libro curato da Ida Fazio, con una postfazione di Paola di Cori, Genere, politica, storia, (Viella, Roma 2013). Qui troviamo anche la più chiara e concorde definizione del genere, come lo intendono le storiche (e gli storici): il genere è un elemento costitutivo dei rapporti sociali fondato sulle differenze percepite tra i sessi (Joan W. Scott).

Bisogna però aggiungere che un abbozzo di teoria è stato tentato in ambito filosofico, in un contesto di movimento politico. Mi riferisco specialmente ai primi saggi della filosofa Judith Butler e ai movimenti per i diritti delle minoranze sessuali, oggi riassunti nella sigla LGBTQI. Questo tentativo di teoria è rimasto a metà a causa del suo stesso successo, se così si può chiamare.

Ed è il secondo guaio. È accaduto che, nelle società più aperte a queste tematiche, la parola gender ha invaso il linguaggio a tutti i livelli sostituendosi a differenza sessuale. Non mi fermo sul perché, che mi sfugge, né a portare esempi, che abbondano.

Questa invasione del campo (“campo semantico”) sarebbe un abuso, ma la linguistica ci insegna che l’uso linguistico ha la sua parte di autorità. Il guaio è un altro ed è che la parola “sesso” e la parola “differenza”, spariscono.

Sparisce cioè la dinamite della rivolta delle donne. E per giunta la parola “genere”, precisa nell’uso scientifico, in quello politico diventa poco significativa, perché perde il suo valore critico che sarebbe di farci capire la storicità della differenza sessuale. Resta solo il significato polemico, ora contro il Vaticano, ora contro il pensiero femminista della differenza.

Il punto da tenere fermo, secondo me, è questo: le due espressioni, “genere” e “differenza sessuale”, hanno bisogno l’una dell’altra per dire l’interesse che abbiamo in comune, che è la ricerca di autorealizzazione libera nella vita sessuale.

Il cosiddetto genere, come dice la sua definizione, riguarda le differenze percepite tra i sessi. Insieme e oltre a queste, c’è anche una differenza sentita intimamente tra sé e sé, un differire interno per cui io sono pienamente un essere umano eppure sento, dentro di me, che c’è altro che io non sono.

Molta prevaricazione maschile viene dal suo mancato riconoscimento, e da lì viene d’altra parte molta insicurezza di donne. Ma la presa di coscienza femminista ha fatto di questa differenza la leva per la nascita di una soggettività femminile libera.

Detto altrimenti: la differenza sessuale non è tra, è in. Di me si dice che sono una donna. Io accetto questo nome, è il nome della mia umanità, per cui sfido tutti i pregiudizi associati a esso e combatto le ingiustizie del dominio sessista. Insieme ad altre e altri. Ma se una non lo accetta? O se uno non accetta di essere considerato un uomo maschio?

Questa è la posta in gioco che considero anche mia, nella più ampia lotta del LGBTQI. Il passaggio dal biologico all’umano non è un’autostrada, non si risolve con teorie scientifiche o dogmi culturali, la differenza sessuale ci attraversa da dentro, uno per uno, una per una.

Sottolineo quest’ultimo punto: la sessuazione della specie non è fatta una volta per tutte, uomini di qua, donne di là, è un processo vitale che dai primordi della vita mi porta qui e ora a essere quella che sono, io singola, una donna differente da tutte le altre.

In questo processo, in cui la biologia si mescola con la libertà, il tramite principale è costituito dal linguaggio ma c’entra anche la politica.

Come dice giustamente Judith Butler, l’umano sarà sempre impegnato nella negoziazione della differenza sessuale per cui non si arriva mai a una definitiva organizzazione sociale della sessualità (Undoing Gender, 2004).

Devo aggiungere che io, sicuramente influenzata dallo spirito degli anni Sessanta, in contrasto con la cultura politica oggi prevalente nei movimenti, non credo nei diritti come risposta, non mi rivolgo cioè alle entità statali o sovrastatali per i cambiamenti che più m’interessano.

Perciò termino con un invito, che vale in primis per me, a tener conto delle differenze di pratica politica, e uno ancor più pressante, a evitare gli schieramenti.