Volkswagen, le auto e i bidoni di M.Paris

Michele Paris
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Lo scandalo delle emissioni truccate dei motori diesel installati sulle auto della Volkswagen sta assestando un colpo pesantissimo alla credibilità e alla situazione economica del colosso tedesco. Esploso negli Stati Uniti, il caso si è rapidamente allargato fino a includere le vetture vendute praticamente in tutto il pianeta, con l’amministratore delegato della compagnia, Martin Winterkorn, costretto a un’umiliante ammissione pubblica di responsabilità.

Winterkorn ha rassegnato le proprie dimissioni nella giornata di mercoledì, affermando di accettare la responsabilità per le “irregolarità riscontrate nei motori diesel”, ma dichiarando la sua estraneità ai fatti. Tra i possibili sostituti, la stampa tedesca ha citato il numero uno di Porsche, Matthias Müller, o quello di Audi, Rupert Stadler.

L’inganno rilevato dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente americana (EPA) ha a che fare con un software installato sulle auto diesel che determina una riduzione delle emissioni inquinanti durante i test di laboratorio, mentre in modalità normale queste stesse emissioni aumentano fino a 40 volte.

Se, ad esempio, l’Unione Europea riconosce che le auto possono in generale inquinare di più rispetto ai dati rilevati nelle prove di emissione, quanto fatto da Volkswagen appare una vera e propria truffa. I modelli interessati risultano essere, tra gli altri, Passat, Golf, Jetta e Beetle, ma anche Audi A3.

La manipolazione dei dati sulle emissioni aveva l’obiettivo di rendere i modelli Volkswagen più appetibili sul mercato, in particolare su quello americano, dove i limiti sono più stringenti rispetto all’Europa e i motori diesel risultano decisamente meno diffusi.

L’attivazione del meccanismo che consente di limitare le emissioni durante la guida può infatti provocare effetti non particolarmente graditi a molti automobilisti, come una riduzione dell’accelerazione del veicolo o l’aumento della rumorosità e dei consumi.

Inizialmente, i livelli ingannevoli di emissione sembravano dover riguardare circa mezzo milione di auto vendute solo negli Stati Uniti, ma l’azienda ha dovutto ammettere che tutti i veicoli con un motore modello EA-189, ovvero 11 milioni, sono equipaggiati con lo stesso software.

A seguito dell’indagine dell’EPA, svariati altri paesi hanno annunciato iniziative, come l’Italia, la Germania, la Francia e la Corea del Sud. Sempre negli USA, anche i procuratori di alcuni stati, tra cui quello di New York, stanno creando commissioni d’inchiesta sulla vicenda, mentre il senatore democratico della Florida, Bill Nelson, ha chiesto alle agenzie federali di regolamentazione di intervenire per tutelare i possessori delle auto Volkswagen.

Il danneggiamento dell’immagine della Volkswagen appare particolarmente significativo, poiché l’azienda tedesca è riuscita a conquistare una posizione di assoluto rilievo nel mercato automobilistico mondiale grazie alla reputazione di qualità e affidabilità dei propri modelli, in media più cari rispetto a quelli dei concorrenti.

Le responsabilità interne a Volkswagen non sono ancora chiare. Winterkorn è sembrato assegnare la colpa della truffa ad altri non identificati dirigenti della compagnia. L’amministratore delegato, prima delle dimissioni, aveva parlato di “gravi errori di alcuni” e promesso sia di collaborare con le autorità sia di condurre un’indagine interna sui fatti che hanno portato alla falsificazione dei test di emissione.

Winterkorn è tuttavia considerato un tecnico esperto e non un manager con una formazione finanziaria. In quanto tale, il “CEO” pare avesse il controllo di tutti gli aspetti tecnici dei veicoli realizzati dalla sua azienda.

La posizione di Winterkorn, nonostante il raddoppio delle vendite e il triplicarsi dei profitti negli ultimi otto anni, non era peraltro saldissima nemmeno prima dell’esplosione dello scandalo. Quest’anno, Winterkorn era stato infatti al centro di una lotta interna di potere con l’allora numero uno del Consiglio di Sorveglianza della compagnia, Ferdinand Piëch.

Alla fine, la famiglia Porsche, che detiene la maggioranza di Volkswagen, aveva appoggiato Winterkorn, costringendo Piëch alle dimissioni. Proprio venerdì il Consiglio avrebbe inoltre dovuto riunirsi per allungare di altri due anni il contratto del manager 68enne.

Le ripercussioni finanziarie su Volkswagen potrebbero essere dunque consistenti. L’azienda ha già fatto sapere di avere messo da parte 6,5 miliardi di euro – pari a sei mesi di profitti – per far fronte alle spese legali e ad altri costi legati allo scandalo. I giornali americani hanno poi ipotizzato che il governo potrebbe decretare una sanzione fino a 18 miliardi di dollari. Il titolo Volkswagen, intanto, nei primi giorni della settimana è letteralmenre crollato, spazzando via oltre 25 miliardi di dollari di capitalizzazione.

La vastità dello scandalo appena emerso ha spinto molti a dubitare del fatto che Volkswagen sia l’unica casa automobilistica ad avere manomesso deliberatamente i livelli di emissione. A questo scopo, i governi che si sono mossi in questi giorni hanno annunciato indagini simili anche sui modelli delle altre compagnie.

Ad ogni modo, la truffa di Volkswagen non rappresenta un’eccezione nel settore automobilistico, nel quale anzi gli episodi che hanno visto le varie compagnie impegnate nell’architettare inganni per limitare i costi o evitare guai legali sono innumerevoli e, spesso, con conseguenze molto gravi.

Uno degli scandali più recenti è ad esempio quello cha ha coinvolto General Motors (GM) negli Stati Uniti, dove la compagnia di Detroit ha per anni occultato un difetto all’accensione di vari modelli. In milioni di automobili la chiave poteva facilmente ruotare e causare lo spegnimento del motore, lasciando il guidatore senza nessun controllo sulla vettura.

Il difetto, ben noto ai vertici della compagnia, ha provocato almeno 124 morti e centinaia di feriti. Proprio pochi giorni fa, il dipartimento di Giustizia americano ha annunciato un accordo con GM che prevede il pagamento di una multa di soli 900 milioni di dollari, mentre nessun dirigente subirà conseguenze penali.

Sempre negli USA, il fornitore giapponese di air-bag Tataka è stato al centro di una causa legale per il funzionamento errato di questo dispositivo. Anche in questo caso era stato registrato un accordo con il governo di Washington. Tataka ha dovuto richiamare oltre 30 milioni di automobili dopo che il difetto era costato la vita a sei persone, di cui cinque in America.

In più di un’occasione, infine, Toyota – cioè la rivale di Volkswagen per il primato nel numero di auto vendute nel mondo – è stata costretta a richiamare milioni di veicoli a causa di un malfunzionamento che provocava improvvise accelerazioni fuori dal controllo del guidatore.

Nonostante i sensibili progressi tecnologici del settore automobilistico di questi anni, dunque, gli incidenti provocati dal cattivo funzionamento delle vetture o gli elevati livelli di emissioni e inquinamento persistono in tutto il mondo, molto spesso, come conferma il caso Volkswagen, a causa del comportamento deliberato delle stesse case automobilistiche.

La feroce competizione sui mercati e la subordinazione alle ragioni del profitto di qualsiasi miglioramento tecnico implementato sembra in definitiva impedire uno sviluppo razionale e sicuro dell’industria automobilistica.