I compagni di parrocchia di D.Accolla

Dario Accolla
www.italialaica.it
Tempo fa mi sono imbattuto in un articolo di Repubblica, il cui titolo era «L’allarme del premier su temi etici e unioni civili “I cattolici non capiscono”». Renzi, secondo quell’articolo, si era dovuto giustificare con la sua parrocchia sulle civil partnership. Mi è davvero difficile comprendere cosa ci sia di incomprensibile in un assunto di base. Ovvero: in un sistema laico se la tua religione ti vieta una certa condotta, puoi benissimo non seguirla. Chi, invece, non ha problemi inerenti alla fede può fare altre scelte rispetto a certe credenze. Semplificando ancora: se nel tuo paese c’è il divorzio e sei cattolico nessuno ti obbliga a separarti, chi vuole invece può farlo. Si chiama libertà ed è qualcosa che lo stato democratico garantisce alla società tutta.

Eppure non dovrebbe essere difficile. Nel mondo avanzato (oserei dire “normale”), quello in cui gli stessi cattolici vanno in vacanza, dagli Stati Uniti alla Germania, passando per l’Irlanda e la Nuova Zelanda, le coppie costituite da persone dello stesso sesso possono accedere o direttamente al matrimonio oppure a un istituto equivalente che dà gli stessi diritti (reversibilità della pensione, assistenza ospedaliera, congedo matrimoniale, adozioni, ecc), se una persona si trova in fase terminale, per una brutta malattia, può decidere di rifiutare le cure (in quanto non solo non si arriverebbe a nessun beneficio, ma si prolungherebbero sofferenze e angoscia). E via dicendo. Non credo siano concetti difficili da interiorizzare, ma purtroppo nella parrocchia frequentata dal nostro presidente del Consiglio comprendere tutto ciò prevede un’applicazione che si richiede per lo studio della relatività o della fisica quantistica. A quanto pare anche dentro lo stesso Pd molti onorevoli cattolici hanno problemi in tal senso. E quindi “non capiscono”.

Sempre navigando su Internet, mi sono pure imbattuto a un certo punto in un articolo del Fatto Quotidiano secondo cui un ragazzo di sedici anni – che tra le altre cose, frequenta una scuola confessionale – è stato costretto a seguire le lezioni dal corridoio perché avrebbe influenzato negativamente i suoi compagni dichiarando apertamente la sua omosessualità. Adesso, è chiaro che tutti i messaggi circolati in questi ultimi mesi circa il presunto “gender” devono aver generato molta confusione negli animi più semplici, ma qui occorre capire cosa si intende per influenza negativa rispetto la propria identità sessuale. Non vorrei che nella scuola in questione si potesse pensare che essere gay sia contagioso. A meno non si creda ancora che l’omosessualità sia qualcosa di cui aver vergogna o di moralmente illecito. Se così fosse, occorrerebbe ricordare a chi la dirige che i soldi che lo Stato italiano versa nelle casse degli istituti cattolici sono anche quelli delle persone Lgbt. Sarebbe interessante capire se il dirigente dell’istituto in questione chieda ragione sulla provenienza dei finanziamenti e se, coerentemente col proprio pensiero, lasci “fuori dalla porta” un buon 10% di quel denaro (secondo le stime, sarebbe questa la percentuale delle persone omosessuali nella nostra società).
In buona sostanza, pare che il dibattito sull’omosessualità e sulle unioni civili fornisca una cartina al tornasole per testare il grado di democrazia del nostro paese. I cattolici, in virtù della loro scarsa propensione a comprendere chi non la pensa come loro, vorrebbero lasciar fuori dalla porta del diritto una parte della società italiana. Quella parte dovrebbe avere gli stessi diritti in un contesto in cui si richiedono uguali doveri (quando pagano le tasse, gay, lesbiche, trans, ecc vengono trattati/e esattamente come persone eterosessuali). Qui dovrebbe essere la politica a fare il suo mestiere, ovvero: spiegare cos’è la diversità, tutelarla – perché è nella difesa di tutte le differenze che sta lo spirito democratico di un paese – e legiferare di conseguenza. Il nostro premier, invece, si allarma perché i suoi compagni di parrocchia non sono in grado di capire l’ovvio. Ovvero, che un paese è davvero civile se consente l’accesso alla libertà: libertà di fare o non fare alcune scelte, a prescindere dalla morale religiosa (sempre più prossima all’arroganza) di chi vorrebbe imporre i suoi veti morali a chi, invece, non si riconosce in certi sistemi di credenze.