Le persone omosessuali devono trovarsi a loro agio nella Chiesa… di NoiSiamoChesa

NOI SIAMO CHIESA
Comunicato stampa

Roma, 4 ottobre 2015

Le persone omosessuali devono trovarsi a loro agio nella Chiesa, con diritti e doveri e a pieno titolo. Mons. Charamsa ha contribuito a riproporre il problema

La questione delle persone omosessuali nella Chiesa fu discussa al Sinodo dello scorso ottobre. Una nuova attenzione sembrava emergervi (si veda la Relatio post disceptationem). Nei due questionari sottoposti alla discussione del Popolo di Dio ci risulta, per quello che si è potuto sapere, che la questione di una pastorale diversa di tipo inclusivo sia stata proposta in modo diffuso.

Però il documento di base per il Sinodo (l’Instrumentum Laboris al cap. 131), ha toccato la questione in poche parole e ha sostanzialmente confermato la posizione ufficiale contenuta nel Catechismo del 1992. Si è così pensato di cancellare la discussione su questo problema?

E’ quindi più che comprensibile che gli omosessuali cattolici nel mondo, di fronte a tanto non casuale silenzio, abbiano organizzato l’importante incontro “The Ways of love-Istantanee di incontri cattolici con le persone LGBT e le loro famiglie” tenutosi ieri a Roma per dare testimonianza di situazioni in cui gli omo nella Chiesa sono presenti e accolti e ciò per inviare un eloquente messaggio al Sinodo.

Si tratta di realtà significative ma ancora isolate che dovrebbe essere compito dei padri sinodali ascoltare per poi proporre che l’accoglienza di tutte le sorelle e i fratelli omosessuali, a pieno titolo e con ogni diritto e dovere, diventi la linea pastorale di tutta la chiesa universale .

A margine di questo incontro il problema degli omosessuali nella Chiesa è esploso a livello dei media per il coming out di Mons. Krzystzof Charamsa. Si può, più che legittimamente, discutere sull’opportunità, sui tempi e sulle modalità di questa esternazione, ma non si può, a mio giudizio, contestarne la sofferta sincerità e il fatto che essa contribuisca a riproporre, con urgenza, questa tematica all’attenzione del Sinodo in un’assemblea in cui gli omosessuali (e tante altre situazioni famigliari) sono assenti.

Dietro ad essa non ci vedo nessun complotto o manovra ma solo l’urgenza da parte di Charamsa di un atto di rottura, non più rinviabile, per uscire da silenzi e da ipocrisie che mi sembra siano piuttosto diffusi negli ambienti ecclesiastici e che nascondono situazioni irregolari di diverso tipo.

I vescovi e tanti altri si guardino allo specchio, vedano le cose come stanno, rifiutino la vecchia logica, sempre pensata e sussurrata, del fare finta di niente (“purchè non si sappia”) e riflettano su come affrontare il problema sui tempi lunghi, a partire dall’educazione nei seminari.

Era scontata la reazione di Padre Lombardi e delle strutture ecclesiastiche che hanno provveduto all’immediato allontanamento di Mons. Chamarsa da ogni responsabilità ma mi chiedo, con tristezza e sofferenza, perché analoghi, immediati e drastici interventi non siano stati assunti, per lunghissimi decenni, nei confronti dei preti pedofili o anche di chi ha mal governato le risorse della Chiesa. E’ stata invece necessaria una pressione mediatica virtuosa perché la Chiesa iniziasse a fare pulizia al proprio interno.

I padri sinodali discutano serenamente. Mi confortano le parole di accoglienza e di misericordia di papa Francesco che, nella veglia di ieri sera e nell’allocuzione di questa mattina durante il pontificale di inizio del Sinodo, si sono direttamente ispirate al Vangelo.

Vittorio Bellavite
coordinatore nazionale di noi Siamo Chiesa

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Scacco all’ipocrisia

Alessandro Esposito
pastore valdese

Certo non potevo immaginare provocazione migliore all’incipiente riflessione dell’episcopato cattolico sulla famiglia: la sacra, inviolabile famiglia, ipostasi dell’occultamento della realtà.

Krzysztof Charamsa, sacerdote cattolico di nazionalità polacca e membro della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex, ma neanche troppo, Santa Inquisizione, che ha modificato i suoi metodi ma non la logica che ad essi soggiace), ha fatto, come si suol dire, “coming out”, rivelando apertis verbis il proprio – libero ed insindacabile – orientamento affettivo e sessuale.

A ciò egli ha opportunamente aggiunto una lucidissima ed inoppugnabile analisi della – cito – «omofobia esasperata e paranoica» che regna incontrastata nei “sotterranei del vaticano” di gideiana memoria.

La stucchevole, secolare retorica dell’amore asessuato eppure sessualmente connotato non poteva che condurre all’emergere di una realtà tanto più evidente quanto più negata: il muro compatto di un’omertà millenaria incomincia a presentare le prime crepe, avvisaglie di un crollo che appare imminente.

Sarà il crollo dell’ipocrisia che ha condannato al silenzio ed alla simulazione innumerevoli vite a cui è stata impedita la fioritura sotto una coltre di neve che ammantava di falso pudore una verità considerata scabrosa. Il crollo di quell’ipocrisia che ha costretto l’amore a sopravvivere clandestinamente per non soffocare entro le spire di una normalità comandata e solamente presunta.

Su tutto questo grava l’ombra di una complicità fatta di perbenismo e luoghi comuni, di inescusabili genuflessioni intellettuali ed omissioni etiche cui un popolo considerato alla stregua di un gregge si è troppo a lungo prestato.

Ora, di fronte a queste rivelazioni di inusitata sincerità, si levano voci la cui affettata meraviglia risulta poco credibile perché macchiata della stessa ipocrisia che connota una fede bigotta e pervicacemente aggrappata all’immobilità propria di ogni moralismo.

In questo quadro avvilente, al cattolicesimo viene offerta, una volta ancora, l’opportunità di uscire dal suo lungo medioevo: perché ciò avvenga, però, santa romana chiesa dovrà chiudere definitivamente i conti con l’inveterata abitudine a raccontarsi una storia che non è né è mai stata. Ma alla quale, ancora, sostiene – mentendo – di credere.