Verso Firenze 2015: una nuova immagine di uomo di G.Piana

Giannino Piana
www.viandanti.org, 31 ottobre

La chiesa italiana ha scelto per il Convegno nazionale, che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre, il tema dell’antropologia cristiana. Nell’intenzione dei promotori di questa importante assise si tratta di ripensare e di ridefinire, di fronte ai profondi cambiamenti socioculturali prodottisi con un ritmo accelerato negli ultimi decenni, il senso e le strutture portanti dell’umanesimo cristiano.

La scelta risponde senz’altro a un’esigenza vera e indilazionabile.La radicalità dei cambiamenti intervenuti (e tuttora in corso) non può essere affrontata mediante interventi settoriali, per quanto importanti. Esige un approccio globale, che risalga alle categorie interpretative dell’identità dell’umano; in gioco vi è infatti il senso stesso dell’esperienza umana e, più radicalmente, il futuro dell’uomo e della specie umana. Le domande che affiorano e alle quali occorre rispondere sono allora: quale immagine di uomo viene oggi emergendo? Si può ancora parlare di umanesimo? Quale? E, infine, a quale modello etico occorre dar vita per affrontare, in modo adeguato, la situazione attuale?

L’egemonia della tecnica
All’umanesimo classico, che ha avuto nella letteratura e nelle arti la sua più alta espressione e che integrava in sé anche la ricerca scientifica – è sufficiente ricordare qui le figure di Leonardo e di Galileo –, e che ha rappresentato a lungo il modello di riferimento, pur con indubbie e considerevoli varianti, della civiltà occidentale (europea in particolare), è oggi subentrata una nuova stagione, la cui portata e i cui connotati non sono facilmente decifrabili. La postmodernità non ha certo rinunciato ad alcuni aspetti della tradizione passata, ma l’elemento che ha preso il sopravvento e che è divenuto egemone è la tecnica, che ha finito per modificare (e tuttora modifica) profondamente la coscienza che l’uomo ha di sé.

Vi è chi, a partire da questa constatazione e mettendo in evidenza alcuni aspetti della mutazione da essa provocata non esita a parlare di “postumanesimo” (o, in termini meno radicali, di “transumanesino”). L’uomo è oggi dotato di strumenti sofisticati e pervasivi, di vere e proprie “protesi” – è sufficiente richiamare qui la robotizzazione e la rivoluzione digitale – le quali se offrono, da una parte, nuove possibilità espressive, rischiano, dall’altra, di atrofizzare alcune  facoltà ed attitudini e di modificare, in ogni caso, la percezione che egli ha della vita e delle relazioni interumane e con la natura. Le scienze moderne poi, a loro volta, in particolare lo strutturalismo e in tempi più recenti le neuroscienze, quando radicalizzano in senso ideologico i loro risultati, finiscono per smontare il mondo interiore dell’uomo, mettendo radicalmente in discussione l’esistenza della libertà, in ragione di un determinismo meccanicistico, e attentando alla stessa originalità della coscienza.

La priorità della “cultura sulla “natura”
La supremazia della tecnica, che si estende trasversalmente ad ogni ambito della vita – da quello della salute a quello dell’informazione, da quello economico a quello politico (per non citare che i più importanti) –, al punto che si può senz’altro considerare la tecnocrazia come il potere dominante, dà origine a una nuova ”immagine” di uomo, ad una mutazione dell’identità umana, i cui lineamenti meritano di essere, sia pure sommariamente, delineati. L’assoluta priorità della “cultura” sulla “natura” obbliga ad abbandonare le tradizionali categorie interpretative dell’esperienza umana per accostarsi ad essa a partire dal contesto nuovo (in larga misura artificiale) entro il quale l’esistenza si dispiega.

A venire profondamente modificate (e persino del tutto accantonate) sono anzitutto le coordinate spazio-temporali, che consentivano alla persona di “situarsi” – allo spazio circoscritto del passato si sostituisce uno spazio indefinito, mentre al ritmo naturale del tempo subentra una sorta di “eterno presente” (il “tempo reale” in cui tutto avviene) – con la conseguenza immediata (ed evidente) dell’assenza di riferimenti precisi che supportino la costruzione della personalità.

Tra “realtà” virtuale e “pensiero unico”
A questo si connette (e da esso, in qualche modo, discende) il progressivo distacco dalla “realtà”, grazie alla presenza di una rete sempre più ampia e complessa di strumenti attraverso i quali essa viene mediata, e dunque interpretata (e inevitabilmente tradita), e la sua sostituzione con il “virtuale”. Come ci ha ricordato a suo tempo J. Baudrillard, sta qui il “delitto perfetto” che l’uomo oggi consuma, l’uccisione cioè del reale.

Infine, un rilievo particolare merita l’avanzare di una ideologia (che in teoria si propone come antiideologia, perché nasce sulle ceneri delle ideologie totalitarie del secolo breve), cioè la dottrina del mercato, divenuto “pensiero unico”; una dottrina la cui logica produttivista e mercantile finisce per permeare di sé la coscienza, fungendo da criterio determinante (persino esclusivo) tanto delle scelte personali che di quelle sociali, con la rinuncia a porsi la domanda di senso (che senso ha?) per sostituirla con una valutazione pragmatica (a che cosa serve?).

Tutto ciò ha una serie di pesanti ricadute tanto sulla costruzione (o decostruzione) della soggettività quanto sullo sviluppo delle relazioni interpersonali. È sufficiente ricordare qui, da un lato, l’affermarsi di tendenze individualiste e autoreferenziali e, dall’altro, la difficoltà di costruire rapporti intersoggettivi autentici, che esigerebbero il confronto diretto e il superamento di logiche meramente strumentali.

Luci e ombre di un cambiamento profondo
Le trasformazioni segnalate non hanno certo effetti soltanto negativi. Accanto ai pericoli di disumanizzazione cui si è accennato, ed anche ad altri – si pensi soltanto alla drammaticità assunta dalla crisi ecologica – non manca il proporsi di nuove potenzialità creative, che investono i diversi campi dell’esperienza umana: dal prolungamento medio della vita, frutto delle conquiste della medicina, all’estensione universalistica dell’area dello scambio sociale, fino al dialogo interculturale e interreligioso con una dilatazione degli orizzonti di interpretazione della realtà. Ma non si può (e non si deve) negare la profondità del cambiamento in corso, soprattutto per quanto riguarda l’identità e l’autonomia del soggetto umano. Non è soltanto questione – come qualcuno sostiene – dell’uso che si fa del mezzo; è questione di riconoscere che il mezzo si è trasformato in messaggio – come già osservava McLuhan a proposito della televisione – e che il potere esorbitante che esso esercita rischia di mortificare profondamente l’uomo, riducendolo ad oggetto.

Ridefinire le categorie di fondo
Ma è soprattutto questione di ammettere che a venire  modificate sono le categorie tradizionali di definizione dell’umano. Corpo e spirito, vita e morte, natura e cultura (per limitarci a quelle più importanti) non possono più essere lette come in passato; vanno soggette, grazie alle acquisizioni della scienza e alle variazioni prodotte dalla tecnica, a un processo evolutivo che ne modifica in profondità i significati.

Questa situazione sollecita l’impegno a identificare i lineamenti di una nuova immagine di uomo, che non rinunci a preservarne l’identità originaria ma che tenda, nello stesso tempo, a reinterpretarla e ad integrarla, accogliendo le istanze positive, derivanti dal nuovo contesto entro il quale l’uomo si trova oggi a vivere. Ad essere chiamato in causa è allora il modello culturale: scienza e tecnica, che – come si è ripetutamente detto – non sono dati semplicemente sovrastrutturali ma realtà che incidono sulla formazione della mentalità, vanno integrate con i valori dell’umanesimo classico, il quale, a sua volta, non può essere tuttavia riproposto in termini chiusi e ideologici, ma va situato all’interno del quadro attuale di approccio alla realtà per fornire una risposta adeguata alla domanda di senso, che inevitabilmente (anche se spesso in maniera latente e sotterranea) si fa sentire e alla quale la cultura scientifico-tecnica non è in grado di rispondere.

L’importanza del discernimento etico
Le ricadute di tutto questo sul terreno dell’etica sono numerose e complesse. La risignificazione delle fondamentali categorie antropologiche, alle quali si è fatto riferimento, implica una profonda rivisitazione anzitutto di aree tematiche come quelle della sessualità, della famiglia e della bioetica, ma poi anche di quelle economico-sociale e politica. I criteri di lettura e di valutazione in passato adottati (e per molti aspetti ancor oggi persistenti), non sono in grado di interpretare processi come quelli attualmente in atto in tali aree. Ciò che deve anzitutto essere ridisegnato è il  quadro valoriale (e la sua interna gerarchizzazione); ma, più ancora, ciò a cui occorre dare vita, quando ci si muove sul terreno normativo, è un lavoro multidisciplinare e interdisciplinare che consenta, grazie alla presenza di competenze plurime, di cogliere gli effetti reali delle trasformazioni, valutandone con rigore la portata.

Il modello al quale è allora giocoforza riferirsi è quello di un’etica della responsabilità, che, senza rinunciare al confronto con il mondo dei valori (anzi prendendo avvio da esso) si misuri tuttavia, di volta in volta, con le conseguenze o con gli effetti delle azioni, adottando un criterio di proporzionalità basato sulla verifica del rapporto tra il fine perseguito e il mezzo (o i mezzi) usato per perseguirlo.

Ricercare il “bene possibile” e il “male minore”
Si tratta di un’”etica del bene possibile” (non dunque del bene assoluto che finisce per essere astratto e sterile perché mai raggiungibile) e, in qualche caso, del “male minore”; un’etica cioè che avendo di mira anzitutto l’ideale non esita, nello stesso tempo, a confrontarsi con la realtà e a compromettersi con essa (in questo senso si può parlare di “etica del compromesso”) per rendere trasparente nell’azione il valore (o i valori) nella loro effettiva possibilità di realizzazione.

Non è questa, d’altra parte, la prospettiva propria dell’etica evangelica come ci viene continuamente riproposta dagli interventi di papa Francesco? In essa, infatti, il richiamo alla radicalità, mai smentito anzi costantemente ribadito, si accompagna all’annuncio della misericordia, che non va interpretata come facile indulgenza nei confronti della debolezza umana, ma anzitutto come consapevolezza del limite costitutivo dell’essere umano derivante dalla sua creaturalità, e dunque come esigenza di mediazione dei valori nelle concretezza delle situazioni. Solo in questa prospettiva la considerazione della perenne distanza tra l’altezza dell’ideale e la povertà delle proprie azioni, lungi dall’originare sentimenti di colpevolezza paralizzanti, spinge il discepolo a camminare sempre oltre, nella certezza di fruire del perdono illimitato di Dio, che non abbandona l’uomo peccatore ma lo persegue instancabilmente con il suo amore infinito.