Per un Giubileo di liberazione dalla schiavitù del debito di L. del Savio e M. Mameli

Lorenzo del Savio e Matteo Mameli

www.micromega.net, la pagina dei blog 10 Nov. 2015

Mancano poche settimane all’inizio del Giubileo. Se Papa Francesco volesse dare una valenza genuinamente liberatoria e rivoluzionaria a questo Giubileo da lui proclamato potrebbe farlo semplicemente tornando al significato e alla funzione originaria del Giubileo. Il Giubileo era anticamente un meccanismo di liberazione dalla schiavitù del debito, una schiavitù che deturpava la vita di molti e impediva alla società intera di prosperare. È di questa liberazione che oggi c’è impellente necessità.

Il termine Giubileo deriva da una parola ebraica che indica il corno di caprone con cui si annunciava l’inizio dell’anno santo fra gli israeliti, di solito a cadenza cinquantennale. Di Giubileo si parla per esempio nell’Antico Testamento, e nel Levitico in particolare, dove ci viene detto che nell’anno giubilare tutti devono essere affrancati, e devono poter tornare alle proprie famiglie e riprendere possesso della proprio pezzo di terra.

Come spiega l’economista Michael Hudson, succedeva abbastanza spesso che gli appartenenti al popolo, i contadini per esempio, si trovassero costretti – per sopravvivere e per nutrire e dar rifugio ai propri cari – ad indebitarsi, e a dover impegnare i propri campi e gli averi, ma anche i figli e le mogli, e in ultimo se stessi. Se poi non riuscivano a ripagare il debito, dovevano cedere figli e mogli, che venivano fatti schiavi, e loro stessi venivano ridotti in schiavitù. Diventavano così strumenti con cui i potenti potevano accumulare ulteriori ricchezze. Le disuguaglianze crescevano.

Quando il numero di coloro ridotti in schiavitù aumentava, le tensioni all’interno della società si acuivano. Lo stato di umiliazione, sofferenza e rabbia degli schiavi era ovviamente un fattore importante. La crescente conflittualità diveniva un ostacolo al benessere di tutti e alla prosperità collettiva. Il Giubileo, ossia la remissione universale dei debiti decretata dalle autorità politico-religiose, permetteva di resettare il sistema e di ricostituire l’ordine sociale. Coloro che erano stati strappati alle famiglie, e a cui erano stati portati via gli averi, venivano affrancati. Essi potevano ricominciare a vivere una vita non alla mercé di altri, e ritornare a contribuire alla cooperazione sociale con più libertà e soddisfazione.

L’idea della remissione universale dei debiti gli israeliti la presero dai mesopotamici durante il periodo della cattività babilonese. Tutti gli stati mesopotamici conoscevano e usavano varianti di questa idea. A cadenza regolare e in occasioni speciali – come quando veniva intronizzato un nuovo re, oppure in caso di emergenza – il sovrano dichiarava estinti tutti i debiti privati. In sumero tale liberazione si chiamava amargi, che significava tornare alla madre, con riferimento al ricongiungimento familiare identico al passo del Levitico dove si parla del Giubileo. Oppure ci si riferiva alla liberazione dei debiti col termine babilonese masa´um, che significava lavare, e che indicava la cancellazione del debito per mezzo del lavaggio dei libri contabili, che a quel tempo erano nient’altro che tavolette d’argilla.

Fu Neemia, il coppiere ebreo del re di Persia Artaserse, che introdusse il meccanismo giubilare a Gerusalemme. Una volta diventato il confidente di Artaserse, Neemia chiese e ottenne di essere inviato a Gerusalemme come governatore, e fu tramite la cancellazione dei debiti e la redistribuzione delle terre che fece rinascere la città, che prima del suo arrivo si trovava in una profonda crisi. Pochi cristiani sanno che quando intonano l’Alleluiah stanno utilizzando il termine rituale alulu, che indicava la liberazione dalla schiavitù per debiti a Babilonia.

Più in generale, la religione cristiana è piena di riferimenti al debito e al credito, e alla periodica necessità di cancellarli per far rinascere la comunità. Il redentore è colui che redime, ovvero colui che dà allo schiavo i denari di cui ha bisogno per ricomperare se stesso e riappropriarsi della sua libertà. Non è certo un caso se nel Padre Nostro ci si rivolge al Redentore Maximo, il redentore di ultima istanza, per chiedergli umilmente: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il riferimento originario era non ai debiti metaforici, ma a quelli veri, quelli economici, e ai rapporti di dominio che da essi scaturivano.

Bisognerebbe recuperare questi riferimenti e il loro senso profondo. L’attuale distribuzione del potere politico ed economico ha reso le nostre società dei sistemi in cui il debito – nelle varie sue forme – viene usato per opprimere porzioni sempre maggiori della popolazione. In particolare, l’austerità, che di giubilare non ha nulla, serve a proteggere e far arricchire i pochi, e a tenere in sottomissione i molti. L’austerità è una delle forme contemporanee della schiavitù del debito.

La famosa “conferenza europea sul debito”, che Varoufakis invocava insistentemente pochi mesi fa quando era ministro delle finanze greche, costituiva in fin dei conti (se vogliamo tradurre il linguaggio politico in linguaggio biblico) la proposta di un parziale Giubileo, al fine di riappianare gli scompensi tra stati europei e fermare le politiche di austerità imposte dalla troika stessa per favorire i creditori più potenti. Alle oligarchie europee l’idea ovviamente non piacque, e della proposta non si fece nulla.

Pensando ai vari squilibri economici che esistono nel mondo contemporaneo (e non solo al caso europeo), oggi come al tempo degli israeliti c’è la necessità di liberare coloro che sono oppressi dal debito e le cui vite sono “rattristate” dall’austerità. C’è bisogno di una ripartenza. C’è bisogno riappianare almeno in parte le disuguaglianze di potere economico e politico, in modo che la cooperazione sociale possa tornare a far crescere il benessere di tutti, e non solo di pochi privilegiati. C’è bisogno insomma del corrispettivo contemporaneo di un autentico Giubileo.