Siamo tutti parigini di G.Giulietti

Giuseppe Giulietti
www.articolo21.org

“Mai piú, mai piú….”, questo il grido che milioni di persone hanno urlato di fronte alle immagini della strage di Parigi. Lo stesso grido lo abbiamo pronunciato dopo gli attentati alle Torre gemelle, le bombe nella metro di Londra, la strage di giovani turchi e curdi, l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo.. Lo stesso grido, ad Assisi, lo abbiamo alzato anche di fronte alle immagini di tanti innocenti morti sotto le bombe occidentali in Iraq o in Afghanistan.

L’assalto portato nel cuore di Parigi dai militanti dell’Isis si propone di avvicinare la guerra totale tra occidente ed Islam, tra fedeli e Infedeli, in una spirale di odio reciproco che provochi la fine di ogni possibile dialogo. Il loro obiettivo è quello di chiudere in un recinto tutti gli islamici e di impedire loro qualsiasi contatto con l’Occidente e soprattutto con quei diritti che ne costituiscono l’essenza: dalla libertà di opinione alla libera circolazione delle persone, dai diritti delle donne al pluralismo politico e religioso.

La strage di Parigi richiede risposte rapide e radicali, ma non certo strumentalizzazioni becere alla caccia dei “Voti della paura”. Se davvero si vuole condurre una lotta senza quartiere ai boia dell’Isis, bisogna in primo luogo unire chi é nel loro mirino, a prescindere dalla fede, dalle razze, dal colore della pelle, a cominciare da quei milioni di profughi che scappano proprio da questi assassini che dicono di ammazzare nel nome di Allah.

Chi, anche in queste ore, invoca la guerra contro L’Islam non sa quello che dice e soprattutto ignora le conseguenze di queste bestialità propagandistiche. Mai come in questo momento ci sarebbe invece bisogno di ritornare ad una politica internazionale capace di stabilizzare le zone dell’infezione, dalla Siria al Libano, di tessere alleanze, di porre fine alle ambiguità di chi ha giocato con il terrore pur di strappare posizioni strategiche, basterebbe pensare alla scarsa solidarietà accordata al popolo curdo che, da anni, combatte i terroristi dell’Isis o alle ambiguità dell’Occidente sulle alleanze in terra siriana.

Che ci piaccia o no, la capacità di rispondere alle stragi e agli assassini passa solo e soltanto dalla politica, intesa come capacità di analizzare i problemi e di elaborare le risposte più efficaci, anche in questo caso il cervello deve guidare i muscoli e non viceversa. Le risposte militari, quando non sono sostenute da una visione politica complessiva e dalle necessarie alleanze, in primo luogo nel mondo musulmanano, sono destinate alla sconfitta e a produrre altre stragi, moltiplicando per mille le terribili immagini di sangue e di morte.

Questo non significa, ovviamente, rinunciare alla repressione e al contrasto piú duro, immediato ed efficace, ma sempre nel contesto di una azione concordata e guidata dalle agenzie internazionali. Coloro che invocano la ritorsione generalizzata contro l’Islam e chiedono di procedere alla espulsione dei musulmani dall’Europa sono i migliori alleati dei tagliagole, appartengono anche loro al mondo dell’integralismo e dell’oscurantismo. In queste ore tornano in mente le parole di Francesco che, nella sua enciclica Laudato Si, puntava il dito proprio contro il vuoto della politica e la debolezza dell’Onu, causa dell’impotenza della azione internazionale, anche nel contrasto delle guerre e del terrorismo.

Chi vuole davvero andare oltre la pur sacrosanta indignazione ,deve ripartire da queste parole e tentare di unire quanti vogliono vivere in pace, fieri delle proprie identitá e diversitá, ma senza mai trasformarle in muri invalicabili o in filo spinato elettrificato. Di fronte agli assassini che inseguono lo scontro tra ” Inciviltà” serve invece un’alleanza tra quanti ancora credono nella possibilitá di una nuova alleanza civile tra credenti, diversamente credenti e non credenti, nel nome della pace, dell’accoglienza, della giustizia sociale.

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Strage Parigi: la risposta sia politica e diplomatica

Antonella Napoli
www.articolo21.org

La ‘terza guerra mondiale a pezzi’ citata da Papà Francesco è deflagrata in tutta la sua devastante virulenza nel cuore dell’Europa. I segnali, gli avvertimenti da Charlie Hebdo, a Copenaghen, dal Belgio, al Canada non sono bastati a farci aprire gli occhi su una verità che non volevamo, non vogliamo, accettare. L’attacco al mondo occidentale, non solo di matrice religiosa, riguarda tutti noi. Ci siamo illusi che la prova di coraggio e di solidarietà a Parigi, dopo quel sanguinario 7 gennaio, con la marcia di un milione di persone sui boulevard, potesse allontanare lo spettro del terrore, mettere in guardia chi credeva di averci indebolito. Poi abbiamo rimosso, dimenticato, quei momenti. Abbiamo voluto credere che loro, i giornalisti del giornale satirico francese, se la fossero andata a cercare. Abbiamo preferito far finta di niente perché ciò ci rassicurava, ci aiutava a convincerci che l’Isis fosse lontano. Che non ci avrebbe mai toccato. Ora sappiamo che non è così.

In questo momento sarebbe sciacallaggio accusare qualcuno di non essere stato abbastanza ‘preparato’, come affermare che era tutto prevedibile. Ma che la nostra Europa fosse ormai diventato un obiettivo prioritario per il terrorismo islamico, il ‘nemico’ fuori i propri confini da trasformare in campo di battaglia, era ormai evidente. E chi come Michel Houellebecq raccontava un’ascesa finalizzata alla ‘sottomissione’ non doveva essere isolato, ma ascoltato. Quello di gennaio, quello di ieri, non sono solo attacchi a Parigi, contro il popolo francese, ma contro tutta l’umanità e i valori universali della democrazia, della libertà e della civiltà che una gran parte di essa condivide. Parigi stessa incarna principi senza tempo del progresso umano e di un percorso di evoluzione che ha portato a un esempio di integrazione che sembrava ottimale. Chi ha straziato la Francia lo ha fatto anche per questo. Volevano terrorizzare la popolazione francese, dell’Europa e i valori che rappresentano. La guerra ibrida che sta dilagando dall’Iraq, alla Siria, fino al cuore dell’occidente coinvolgendo una generazione di terroristi che non arriva da fuori, ma è nata, cresciuta e formata nei nostri Paesi, dimostra che il nostro mondo, la nostra civiltà, ha fallito.

I nuovi terroristi semplicemente ci odiano e non perché sono stati plagiati dalla religione islamica. Molti di loro hanno un’idea pressoché blanda dell’Islam. Siamo difronte a uno scontro generazionale prima ancora che culturale. Padri musulmani di successo, integrati, colpevoli di essersi allontanati da ciò che erano e che oggi non controllano più i propri figli, nipoti, cresciuti senza una vera identità. Ed è questo il punto vero della questione. L’occidente, tutti noi, abbiamo delle responsabilità. In primis per aver giustificato invasioni e attacchi armati guidati da fini non certo umanitari, né animati da volontà di giustizia e democrazia. Non si può invadere ‘paesi sovrani’ e ‘portare la pace’ solo per tornaconto economico e interessi geo-politici. Forse è tardi per evitare altre stragi, il terrore ormai imperversa nelle nostre città, ma non è certo con la guerra globale all’Isis che si può fermare tutto questo. Anzi. Se il blocco occidentale attaccherà lo Stato islamico l’Arabia Saudita si schiererà sempre più al suo fianco. Magari non con truppe, ma coi soldi. Dobbiamo capire che questa è una guerra prima di tutto all’interno stesso del Mondo islamico. L’unica possibile soluzione, forse, è lasciare che loro trovino il loro equilibrio.e al tempo stesso bisogna agire a livello politico-diplomatico.
Se si fossero investite risorse per promuovere politiche di integrazione della popolazione musulmana in Europa piuttosto che nei bombardamenti in Medioriente e Africa non saremmo arrivati a questo punto.