E se nel 2016 ricominciassimo a parlare di diritti? di S.Bagnasco

Sergio Bagnasco
http://cronachelaiche.globalist.it

E’ appena terminato un altro anno in cui i diritti sono stati i grandi assenti. Con il prossimo anno, inizierà una nuova stagione dei diritti? È il mio augurio, ma non vedo segnali che vadano in questa direzione.

Molti dicono che il lavoro è la priorità; invece per i diritti non è mai il momento giusto. Sicuri che lavoro e diritti non possano andare a braccetto? Sicuri che i diritti civili e individuali non aiutino l’economia?

Personalmente ritengo che investire sulla fiducia e sulla dignità dei cittadini contribuirebbe alla crescita economica e al benessere della collettività.

Ogni cittadino troverebbe nuove energie e motivazioni, nuovo spirito di appartenenza a una collettività, se fosse destinatario di attenzioni da parte delle Istituzioni al fine di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 della Costituzione).

Siamo tutti consapevoli della bassissima fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nei partiti politici, nel sindacato.

Siamo tutti consapevoli che tutto ciò non è un dato statistico: si tratta delle nostre esistenze, del nostro futuro, della nostra percezione del futuro.

Siamo consapevoli delle nuove povertà e della crescente disuguaglianza. E anche queste possiamo rappresentarle con indici e parametri statistici per registrare un dato e avere la misura dei complessi avvenimenti di cui ci sfuggirebbe diversamente la portata, ma mai dovremmo guardare a questi avvenimenti con distacco, indifferenza o senso di impotenza.

Siamo consapevoli che noi tutti siamo stati privati della rappresentanza politica e ogni decisione è nelle mani di un ristretto nucleo di persone che decide al di fuori di ogni processo democratico.

In questo contesto, ripartire dai diritti contribuirebbe a rifondare la fiducia nelle Istituzioni.

Ridare fiducia al cittadino riconoscendo i diritti di ogni individuo a vivere liberamente la propria esistenza.

Riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, senza distinzione di preferenza sessuale e assortimento di genere.

Affermare il diritto di governare liberamente la propria vita dalla nascita alla morte, senza subire ricatti morali e pretese di primati etici.

Diritto alla salute che significa anche diritto di scelta e diritto di rifiutare un trattamento (art. 32 della Costituzione).

Diritto alla istruzione e alla libertà di istruzione perché sia effettivamente gratuita nel periodo di obbligatorietà (art. 34 della Costituzione) ma soprattutto perché sia reso effettivo il diritto alla istruzione ai meritevoli e capaci ma privi di mezzi.

Ripristinata la legalità mediante i diritti, trasformato il suddito in cittadino nella pienezza dei diritti di cittadinanza, acquisterebbe altra credibilità la sempre declamata attenzione al tema che sta a cuore a tutti: il lavoro.

Il diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione) rimarca il passaggio da una società primordiale, basata sulla fatica per procurarsi i mezzi necessari alla sopravvivenza, a una società evoluta e organizzata fondata sul lavoro retribuito in misura “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 della Costituzione).

Il tema lavoro non può essere ridotto a una questione privata tra datori di lavoro e lavoratore. I rapporti di forza tra datore di lavoro e lavoratore sono asimmetrici, e non basta il sindacato a riequilibrare i rapporti, anche per i limiti della rappresentanza sindacale. In ogni caso, siamo sempre fiduciosamente in attesa di una Repubblica che promuova le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione).

In questa ottica occorre interrogarsi sulla necessità di garantire a tutti un reddito di cittadinanza: trait d’union tra lavoro, cittadinanza, dignità. Nel Paese delle pensioni d’oro, immeritate e irragionevoli, non è accettabile che ci sia ancora chi muore di freddo o si toglie la vita per la perdita del lavoro.

Una società che non sa prendersi cura di ogni suo cittadino è una società che non conosce equità e giustizia. Occorre riflettere su quale debba essere il punto di equilibrio tra la libertà di iniziativa economica, la proprietà privata, il diritto al lavoro e la giustizia sociale.

Occorre allora interrogarsi sulla portata dell’art. 42 della Costituzione che mentre afferma il diritto alla proprietà privata sancisce che la legge ne determina i modi “di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Come si concilia tutto ciò con la disponibilità sul territorio nazionale di milioni di abitazioni inutilizzate e le tante famiglie senza un tetto o gli immigrati incarcerati in strutture prive di servizi? E che dire degli innumerevoli edifici pubblici inutilizzati? Quali inconfessabili interessi impediscono di riqualificare le tante inutilizzate caserme militari per dare ospitalità ai senza tetto e agli immigrati?

Non posso fare a meno di ricordare l’essenziale diritto alla giustizia e al ricorso in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 della Costituzione). Giustizia negata e diritto negato se i processi durano in modo irragionevole e se la complessità delle norme sembrano più a tutela di chi delinque che a tutela dei diritti e degli onesti.

E non è di alcun conforto che un sistema giudiziario, incapace di garantire giustizia, riservi ai carcerati un trattamento disumano e contrario al diritto e alle leggi (art. 27 della Costituzione). Vogliamo giustizia e la vogliamo anche per chi sbaglia e commette crimini.
Diritti, questi sconosciuti. Solo una nuova stagione di diritti potrà ridare fiducia nella politica, nelle Istituzioni e sconfiggere il disfattismo e la sempre più diffusa demagogia. Buoni diritti a tutti.