Misericordia voglio e non sacrifici di J.M.Castillo

José María Castillo
www.periodistadigital.com (traduzione di L.Tommaselli)

Il vangelo di Matteo cita due volte il testo del profeta Osea (6, 6) che ho messo come titolo di questa riflessione. Lo ricorda quando riferisce che Gesù mangiava con pubblicani e peccatori (Mt 9, 13). E lo ripete nello spiegare perché i discepoli, quando avevano fame, violavano le norme religiose sul riposo del sabato (Mt 12, 7). Se l’evangelista Matteo ripete due volte la stessa massima sul tema della misericordia, senza alcun dubbio questo si deve al fatto che l’evangelista pensava che in questo punto si dice qualcosa di molto importante. In cosa consiste questa importanza?

Come è logico, Gesù in questo passo afferma che Dio vuole che noi esseri umani abbiamo viscere di bontà e di misericordia con gli altri, anche se sono gente cattiva e persino quando la pratica della bontà comporti la violazione di una legge religiosa. Questo – benché risulti scandaloso per i più puritani – è quello che dice il Vangelo. Ma non si tratta solo di questo. Quello che dice Gesù è molto più forte. Perchè stabilisce una “antitesi” tra la “misericordia” ed il “sacrificio” (Ulrich Luz). Ossia, quello che Gesù dice è che, se bisogna scegliere tra l’“etica” ed il “culto” (tra la “giustizia” e la “religione”), la prima cosa è l’etica, l’onestà, la difesa della giustizia ed i diritti delle persone. Se questo non si antepone a tutto il resto, Dio non vuole che tranquillizziamo le nostre coscienze con messe, preghiere, devozioni e cose simili.

È decisivo ricordare questo proprio ora. Quando celebriamo l’anno della misericordia. E quando vediamo che la corruzione, la sfrontatezza, le disuguaglianze e la prepotenza sui più indifesi gridano al cielo. Io non so perché, ma di fatto molto frequentemente la gente che accumula più denaro, più potere e più privilegi è allo stesso tempo la gente che ha le migliori relazioni con la Chiesa, che difende con le unghie e con i denti i privilegi della religione e le migliori relazioni possibili con il clero.

Termino ricordando che, come è ben dimostrato, i rituali religiosi (osservati e compiuti nei minimi dettagli) di solito producono due effetti: 1) tranquillizzano la coscienza dell’osservante che li compie; 2) nella maggior parte dei casi si trasformano in abitudine, ma non modificano il comportamento, soprattutto quando si vede che questo comportamento è mal visto dalla religione. Da quello che raccontano si vangeli, Gesù andava “con cattive compagnie” e non era un modello di “osservanza religiosa”. Ed è in questo modo che in Gesù si è rivelato a noi Dio. Se questo ci risulta strano e anzi ci scandalizza, probabilmente è perché assomigliamo più ai farisei che ai veri seguaci di Gesù. Se non pensiamo a questo seriamente, praticheremo poca misericordia.

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La Terra è di Dio

Giorgio Nebbia

Il 13 marzo scorso Papa Francesco ha annunciato l’indizione di un Giubileo straordinario per il 2015-2016, un anno “santo” per ricordare al popolo di Dio l’importanza della misericordia. Un giubileo, come è noto, è ispirato a principi che il cristianesimo ha ereditato dall’Antico Testamento. Secondo la narrazione biblica Mosè, al ritorno dall’esilio dell’Egitto, intorno al 1200 avanti Cristo, fu ispirato da Dio a stabilire delle leggi per il popolo ebraico che stava tornando in Palestina; tali leggi sono poi state rielaborate nei tre o quattro secoli successivi e sono contenute nel libro del Levitico.

In particolare il capitolo 25 dispone che, nella settimana, un giorno ogni sette debba essere dedicato al riposo, al “non fare”: è il sabato degli Ebrei, la domenica dei cristiani, il venerdì dei musulmani. Un anno ogni 50 doveva poi essere celebrato come anno di totale riposo. Nell’anno del giubileo, che cominciava con un solenne suono del corno, in ebraico jobel (da cui giubileo), la terra non doveva essere coltivata, doveva essere lasciata “riposare” anche lei; una norma che aveva precisi motivi ecologici perché la terra coltivata a lungo in maniera intensiva diventa meno fertile e recupera le sostanze nutritive perdute interrompendo per qualche tempo la coltivazione.

Nell’anno del giubileo chi si era appropriato della terra altrui doveva restituirla perché, come Dio ricorda nel versetto 23, “la terra è mia” e noi siamo ospiti di un bene non nostro. Inoltre dovevano essere liberati gli schiavi, quelli che per povertà erano stati costretti a vendere se stessi e la propria famiglia, e i poveri potevano riscattare le case che avevano dovuto vendere.

Ha senso ricordare queste norme così antiche ai cristiani del ventunesimo secolo ? Una lettura teologica e insieme ecologica del Giubileo è contenuta in una “lettera pastorale”, intitolata “La Terra è di Dio”, pubblicata alla vigilia del giubileo del 1975, da Giovanni Franzoni, abate della basilica di San Paolo fuori le Mura di Roma e poi ripresa dallo stesso Franzoni nel libro “Lasciate riposare la terra” alla vigilia del successivo Giubileo del 2000.

Ha senso eccome: guardate a che cosa è ridotta “la Terra di Dio”; nel nome di quello che Papa Francesco chiama “il dio denaro” le terre dei contadini e agricoltori poveri vengono espropriate per dedicarle a coltivazioni e allevamenti intensivi, da parte di grandi proprietari terrieri o di multinazionali, con l’effetto di trarre grandi profitti gettando nella miseria e nella fame le popolazioni locali, di impoverire la fertilità dei suoli e di aumentare l’inquinamento delle acque con concimi e pesticidi.

Guardate le terre devastate dall’assalto per la conquista di minerali o di combustibili, invase da montagne di scorie quando le miniere e i giacimenti non producono più e da cimiteri di rifiuti quando le fabbriche vengono abbandonate. Guardate come i terreni sono asfaltati dalla speculazione edilizia per costruire edifici e quartieri per le classi abbienti; guardate i quartieri ridotti a squallidi agglomerati di poveri, privi di servizi, sede di violenza, alle opere che alterano il flusso naturale delle acque e accelerano l’erosione del suolo. Le ricchezze da restituire agli antichi proprietari, caduti in miseria, sono quelle accumulate attraverso le ingiustizie sociali, economiche e commerciali all’interno dei paesi ricchi e nei rapporti economici fra paesi ricchi e paesi poveri del mondo.

Per non parlare poi dell’invito alla liberazione degli schiavi; gli schiavi del XXI secolo sono i lavoratori pagati con salari di fame, quelli privati del lavoro, le persone costrette a migrare in paesi che le respingono, sono le minoranze etniche e gli immigrati sfruttati e emarginati nei paesi che si dicono cristiani, le famiglie prive di una abitazione dignitosa. Questi sono i mali che dovrebbero essere rimossi da quella “misericordia” che il Papa invoca come motivazione dell’imminente anno santo. Ma le nostre società pensano a tale evento in termini di soldi, a quei miliardi di euro che i milioni di “pellegrini” porteranno a Roma e in Italia, utilissimi per l’economia nazionale e, naturalmente, per le tasche di alcuni. La stessa città di Roma si appresta alla imprevista invasione con strade dissestate, tombini intasati, rifiuti da smaltire, periferie miserabili, un traffico congestionato e scadenti servizi pubblici di trasporto.

Eppure l’anno santo potrebbe essere l’occasione per ripensare i rapporti fra gli esseri umani e la terra e le risorse della natura, beni comuni di cui non ci si può appropriare senza arrecare danni al prossimo e alla natura stessa. Davanti ai segni sempre più vistosi di impoverimento e di contaminazione dell’ambiente sarebbe necessario avere il coraggio di “non fare”, di rallentare e interrompere il loro sfruttamento, di usarli con equità e nel rispetto delle popolazioni locali. Il Giubileo potrebbe essere l’occasione per riconoscere le nuove schiavitù, per provvedere all’accoglienza degli stranieri e degli immigrati, per assicurare abitazioni decenti a chi ne è privo, per garantire salari giusti.
Se non lo si vuole fare per misericordia, per quella “compassione per i miseri” a cui dovrebbe essere dedicato il prossimo Giubileo, sarà bene farlo per motivi egoistici, per disinnescare la violenza, interna e internazionale, che agita gli schiavi del XXI secolo; la giustizia è infatti l’unica premessa per la pace, come diceva, inascoltato, il profeta Isaia.