Utero in affitto, perché la ‘gestazione per altri’ non è sfruttamento della donna di D.Accolla

Dario Accolla
IlFattoQuotidiano

Ero al corteo dell’otto marzo – anni fa a Catania – organizzato da alcune associazioni, tra cui quella in cui militavo. Alla testa della parata solo donne, ci dissero. Uomini e altre realtà, subito dietro. Comprensibile, pensai. A un certo punto mandarono una canzone – forse di Raffaella Carrà – e noi gay ci unimmo con le compagne in prima fila, per ballare insieme. Alcune femministe storiche, però, ci cacciarono via: non era il nostro posto. Eravamo maschi. Non importava se eravamo contro quel sistema patriarcale che vuole la donna “sposata e sottomessa”, come di moda in altre piazze. Il doppio cromosoma XY era una tara che non ammetteva eccezioni. Fu così che imparai cosa significa, per certe donne, essere femministe.

Torniamo ad oggi. A gennaio si riprende con le unioni civili e fuori dal Pd, intanto, è partita una campagna contro il ddl Cirinnà, legandolo all’”utero in affitto”. Tra gli acerrimi nemici della legge ricordiamo: cattolici, movimenti antigay, antiabortisti, estrema destra. Il testo in discussione non prevede l’adozione. Se uno dei partner ha prole (avuta precedentemente e senza altro genitore) può essere adottata dal compagno o dalla compagna. Nessun riferimento, quindi, sulla gestazione per altri (Gpa). Nonostante questo, le voci contro essa si levano sempre più numerose.

Aurelio Mancuso, ex presidente di Arcigay, e Paola Concia, ex deputata dem, si sono scagliati contro l’omogenitorialità maschile, mettendo in relazione stepchild adoption e “utero in affitto”. In questa gara, si distingue anche Arcilesbica. Posizione un po’ bipolare, quella dell’associazione, visto che poi ha aderito alla Marcia per i diritti, prevista a Roma per il 12 dicembre, che alla genitorialità gay è favorevole. Ultimo, in ordine di tempo, Se non ora quando – Libere che lancia un appello contro la surrogacy.

Il corpo della donna non si sfrutta, dicono. E su questo siamo tutti/e d’accordo. E poi ancora: «Una madre non è un forno» dichiara Cristina Comencini, tra le firmatarie, su Repubblica, «il rapporto tra il bambino e la mamma è una relazione che si crea» e mettere in vendita i propri figli è svilire la maternità. Un’altra aderente, Francesca Izzo, fa notare che la questione “non c’entra con i diritti dei gay che abbiamo sempre difeso. Ad esempio sostenendo la possibilità, per tutti, di adottare”. Peccato che in tale prospettiva verrebbe meno però proprio il rapporto “madre-figlio” che Se non ora quando dice di voler proteggere. Perché il problema della figura materna si pone solo in caso di GPA e poi scompare in caso di adozione? Bipolarismo anche qui?

Mi chiedo se sappiano davvero cos’è la Gpa, queste persone. Essa è praticata in forma ora gratuita ora a pagamento da parte di donne libere ed economicamente autosufficienti, nei paesi dove è consentita a termini di legge. Dove starebbe qui lo sfruttamento? In altri paesi, invece, esistono forme di abuso, legate a miseria e a scarsa cultura (anche di genere), e perpetrate in maggioranza da coppie eterosessuali, che pagano per avere dei figli. È tuttavia sospetto, converrete, che si agiti questo problema per screditare i genitori gay maschi e proprio adesso. E per fugare ogni dubbio sulla questione: il movimento Lgbt condanna ogni forma di mercificazione a danno delle categorie più deboli.
Pubblicità

Facciamo un’ulteriore puntualizzazione: nei paesi in cui c’è sfruttamento della maternità, molto spesso troviamo il lavoro minorile, la prostituzione infantile, ecc. Come mai le Concia, i Mancuso e certe femministe si svegliano solo ora e contro l’omogenitorialità, confondendola con pratiche illecite? Sollevo un’ipotesi: il governo potrebbe essere messo in difficoltà dall’approvazione del ddl che allora si prova a depotenziare. Quello che si profila come “fuoco amico” tornerebbe utile, a tal proposito, per creare un clima culturale favorevole ad ulteriori passi indietro. Se pure gay, lesbiche e femministe si scagliano contro l’“utero in affitto”, e se le stepchild adoption vengono confuse con esso, allora sarà meglio non approvarle.

Adesso, che tale disegno sia portato avanti da certi attori politici già menzionati, è abbastanza naturale: non potendo impedire a gay e lesbiche di avere diritti minimi, lavorano alacremente contro i loro figli, giocando sporco sul dibattito politico. Che sia però cavalcato da personaggi interni al Pd, alla gay community e adesso anche da certo movimento femminista, è semplicemente ignobile: Se non ora quando e altri si stanno schierando, di fatto, dalla parte di chi è contro la legge 194, contro la dignità femminile, contro i diritti delle persone Lgbt.

Soprattutto fa specie che quelle per cui “il corpo è mio e lo gestisco io”, poi pretendano di decidere sulla vita di altre donne che permettono, in piena libertà, ai gay maschi di divenire genitori. Un po’ come se volessero escludere dalla danza della vita quanti e quante cercano solo di autodeterminarsi, nel rispetto delle reciproche umanità, magari per una lettura sbagliata del “maschile” – visto sempre come naturale nemico – o, peggio ancora, per mero opportunismo politico.

——————————————————–

StepChildAdoption rinviata a mai. Complimenti alle “femministe”!

laglasnost
https://abbattoimuri.wordpress.com

In questi giorni si svolge una discussione che coinvolge femministe, coppie omosessuali, cattolic* integralist*, omofob*, quell* che “natura viene prima di cultura”. Tutto inizia da un allarme che arriva da quei cattolici i quali, per bloccare il disegno di legge sulle unioni gay, che fa riferimento anche alla stepchildadoption, hanno urlato forte “dove stanno le femministe?”.

Già. Dove stanno le femministe? Le prime a rispondere alla chiamata alle armi sono alcune femministe della differenza che esortano altre a prendere posizione su questo a partire dalla posizione espressa dalle colleghe francesi. Dopo una assemblea fatta il 22 novembre a Roma le stesse femministe si sono precipitate a pubblicare report dell’iniziativa che corrispondono solo alla loro opinione. Tante altre non si sono espresse in pubblico e quelle interpellate prendono le distanze. Il potere dei media, però, riconosce a quelle femministe della differenza il diritto di sentirsi egemoni rispetto alla discussione in corso.

A seguire sono intervenute quelle di Se Non Ora Quando (Libere). Repubblica titola in grande che le Se Non Ora Quando (in senso generico) fanno appello a tante persone, consegnando al pubblico le firme di alcuni Vip, affinché si blocchi in tutta Europa la pratica dell’utero in affitto.

Tali prese di posizione hanno trovato il plauso di Giovanardi, Binetti, Miriano, Adinolfi, e altre personalità che da sempre cercano un pretesto per bloccare quel disegno di legge. La stepchildadoption aprirebbe alla pratica della GPA (Gestazione per Altri), così dicono. Per il genitore non biologico o per i genitori, inclusi quelli eterosessuali, che hanno avuto figli grazie ad una GPA è necessario che passi quel punto perché i loro bambini non siano considerati figli di serie B. Riconoscere diritti per quei figli però, secondo le parti più reazionarie, vorrebbe dire legittimare la pratica de ‘l’utero in affitto’.

Quel che appare chiaro da subito, quanto meno a quelle femministe che conoscono l’abc della strategia politica di un certo contesto, è che le femministe stesse diventano funzionali a legittimare una posizione omofoba e reazionaria. Quelle che in seguito capiscono il guaio in cui si sono cacciate balbettano qualche distinguo e da lì in poi assistiamo alla corsa a prendere le distanze da parte di quelle che “si, Muraro e Dominijanni si sono espresse contro ma le femministe della differenza non c’entrano). Oppure “la parte di Snoq che si è espressa non rappresenta le Snoq e le Snoq Factory. Sono solo un piccolo gruppo”. Un piccolo gruppo che trova spazio sui media e quei media fanno confusione, generalizzano, mentre quelle poche usano parole in rappresentanza di tutte le altre.

Le critiche da parte di femministe, laiche, che giammai vorrebbero essere strumentalizzate da contesti omofobi, arrivano una dietro l’altra. A danno fatto c’è chi racconta che disconoscere le iniziative di altre non è bello. Far la guerra tra donne non è bello. Ma il punto è che se c’è chi pretende di parlare al posto mio devo necessariamente raccontare quel che penso. Le famiglie (arcobaleno) omogenitoriali raccontano altre verità. Chiara Lalli parla di paternalismo. Alcuni gruppi lesbici usano la parola “omofobe”. Di contro a difendere quelle femministe sono persone cattoliche molto vicine alle sentinelle in piedi che pubblicano su media come “Avvenire”.

La storia va così: da un po’ di tempo alcune femministe, della differenza e Snoq, sostengono che le donne non hanno alcun diritto alla gestione autodeterminata del proprio corpo. Impongono una morale a tutte le altre, colpevolizzando quelle che non sono d’accordo e invisibilizzando l’opinione di chi, per esempio, dice che la Gestazione per Altri potrebbe essere possibile se non in cambio di denaro, il che è molto diverso dal divieto posto dalle femministe.

“Il corpo è mio e lo gestisco io” comunque non può essere un concetto da dimenticare. Se le donne fanno scelte non condivise da tutte ciò non vuol dire che debbano restare sottomesse al volere altrui. Sottomesse a donne cis, classiste, neocolonialiste, con la narrazione tossica che parla di povere donne del terzo mondo costrette a vendere il frutto del proprio grembo. Parlano di tutte le altre come figlie del neoliberismo, come se l’anticapitalismo dovesse esprimersi attraverso uno stalinismo di ritorno per cui sei un’anticapitalista solo se ti sottometti alle decisioni di un donnesco comitato centrale che ordina quel che tu puoi o non puoi fare del tuo corpo.

La StepChildAdoption? Non gliene frega nulla. Quei figli nati e già in Italia sono figli di serie B. I diritti delle coppie omosessuali, chissenefrega. E se pensavate che le femministe potessero aprirsi ad una discussione aperta e inclusiva, vi siete sbagliat* perché alcune femministe ci stanno trascinando rovinosamente a destra, mettendo in atto un separatismo autoritario, nel senso che stanno separate da chiunque, incluse persone lgbt, ed è un separatismo imposto, contro chi vorrebbe invece discutere di tante cose con le persone appartenenti a qualunque genere. Sembra la rivolta delle dame di carità, le proibizioniste del secolo scorso, quelle che salvavano le fanciulle da mestieri indecorosi per riportare le donne sulla retta via. Prima era la faccenda dei corpi delle donne vincolate all’opinione di quelle che si indignano se scopri un po’ di corpo nei manifesti pubblicitari; poi c’è la storia delle sex workers che dovranno essere salvate anche se non lo hanno mai chiesto e non si sentono vittime di nulla e di nessuno; ora assistete alla crociata per salvare le donne da questi mostri gay che vorrebbero sfruttarci per farci partorire addirittura senza il nostro preciso consenso.

In tutto ciò non hanno ben riflettuto sul fatto che stanno affossando la discussione sul ddl Cirinnà e sulle conseguenze che questa loro posizione impone a tutte le donne che ancora oggi fanno fatica, per esempio, a godere del diritto alla libera scelta quando si parla di aborto. Al nuovo e reazionario “io corpo è tuo e lo gestisco io” preferisco sempre il nostro “il corpo è mio e lo gestisco io”. Ditemi se mi sbaglio.

Ps: leggo che su Repubblica si parla di accordo nel PD per stralciare la step child adoption dal ddl sulle unioni gay (significa eliminarlo dal disegno di legge rinviando la discussione su quel punto in futuro, che per me vuol dire “mai”). Infine si è capito il senso di alcune iniziative di “femministe” (le Snoq in primo luogo) vicine alle istituzioni, al governo, ai partiti. Complimenti vivissimi. Che pena!