Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: esperienza conclusa, cantiere aperto di L.Kocci

Luca Kocci
Adista Notizie n° 2 del 16/01/2016

Quella di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” è stata una delle più vivaci iniziative nate dal basso degli ultimi anni: 105 associazioni, 30 riviste, decine di singoli credenti riuniti in un coordinamento nazionale per rilanciare le istanze del Concilio Vaticano II – soffocate dal lungo inverno durato 35 anni dei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – e il “sogno” roncalliano della «Chiesa di tutti e dei poveri».

Un percorso cominciato nel settembre 2012 con una prima convocazione a cui hanno risposto oltre 800 persone, proseguito con altri tre incontri nazionali sulla Pacem in Terris, la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes, e concluso poche settimane fa con un grande evento internazionale, Council50, in occasione dei 50 anni dalla conclusione del Concilio.

Pochi giorni prima di Natale il comitato promotore di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” (composto, fra gli altri, da Vittorio Bellavite, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini) ha inviato una lettera a tutti gli aderenti per rilanciare l’iniziativa. Ne parliamo con Vittorio Bellavite.

Proviamo a fare un bilancio del percorso di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”?

Direi che il bilancio è positivo. Quando siamo partiti con il primo incontro c’erano oltre 800 persone. Eravamo in una fase molto diversa da quella attuale: c’era papa Benedetto XVI, il Vaticano II era stato messo da parte – anche precedentemente dal lungo pontificato di Wojtyla –, e credo che siamo stati capaci di aggregare tutti coloro che avevano voglia di ribadire di essere “figli del Concilio”, nonostante tutto. Sono seguiti poi altre tre incontri sicuramente meno “affollati”, ma ugualmente ricchi e intensi nella partecipazione e nei contenuti.

Credo che questa sia stata l’unica iniziativa dal basso degli ultimi anni che è riuscita e mettere insieme tutte le aree “conciliari” della Chiesa e del mondo cattolico italiano, dai cattolici democratici alle Comunità cristiane di base, che non hanno posizioni esattamente coincidenti su tutto. In questi tre anni è cambiata anche la Chiesa, perché Benedetto XVI si è dimesso è al suo posto è arrivato Francesco.

La presenza di Francesco può aver contribuito al calo di partecipazione? Con Benedetto XVI, in un certo senso, bisognava organizzare la “resistenza”, con Francesco le cose sono cambiate.

Rispetto al numero dei partecipanti – comunque sempre numerosi – credo si sia trattato di un calo fisiologico dopo il boom, per certi versi inaspettato, del primo incontro. Poi, certamente, la nuova situazione ha avuto un suo peso.

Quindi il percorso di “Chiesa dei tutti Chiesa dei poveri” non è cambiato?

Sì e no. Sicuramente c’è stato un passo avanti rispetto a prima. Per quanto ci riguarda, Francesco va bene soprattutto sotto il profilo della “profezia”, ma rileviamo che nella “gestione quotidiana” non è cambiato molto, anche per i boicottaggi e le resistenze che Francesco sta incontrando. E questo riguarda soprattutto la Chiesa italiana. Per cui vogliamo continuare a svolgere un ruolo critico e di pungolo nei confronti della Chiesa, insieme a Francesco. Insomma resistiamo con Francesco.

E adesso? L’esperienza è conclusa o si aprono nuove prospettive?

Ci eravamo lasciati, nell’ultimo incontro di maggio 2015, con l’ipotesi di dare vita ad un “Sinodo dei discepoli” permanente. Come abbiamo scritto nella lettera inviata a tutti gli aderenti a “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, questa proposta può essere un importante traguardo di medio/lungo periodo che deve però trovare consensi e organizzazione che, ci sembra, al momento manchino.

Abbiamo constatato infatti che non c’è una grandissima sensibilità a portare avanti un discorso di coordinamento e di iniziativa nazionale dal basso. Molti gruppi partecipano quando vengono coinvolti in iniziative estemporanee, investono molto su iniziative di grande qualità ma di valore locale, mentre sono più restii a dare gambe ad un percorso collettivo più ampio.

E per quanto riguarda il “Sinodo dei discepoli” questo aspetto invece è fondamentale: o si fa bene, oppure è inutile, anzi rischia di diventare un autogol se decolla a stento e se non ha continuità nel tempo. Quindi sarebbe bello, ma siccome ci sembra che ora manchino le condizioni, forse è meglio proseguire su altre strade, anche perché non abbiamo intenzione di “chiudere bottega”.

Intanto abbiamo deciso di rendere il nostro sito internet (www.chiesadituttichiesadeipoveri.org) uno spazio in cui i “discepoli” possano prendere liberamente la parola e intervenire su vari temi, ma soprattutto una testimonianza di quanto fanno i “discepoli” nella diffusa periferia cattolica del nostro Paese. E di ciò si occuperà direttamente Raniero La Valle.

E poi organizzare, almeno una volta all’anno, un’iniziativa nazionale, interregionale o regionale, per discutere di temi e questioni che entrino nel merito di nodi e problemi della Chiesa italiana di cui nessuno, o ben pochi, parlano. Oppure di cui si parla solo nel circuito ristretto del mondo ecclesiastico. Non una serie di convegni “accademici”, ma degli incontri di confronto su alcuni temi sensibili, per dare il nostro contributo alla Chiesa.

Puoi fare qualche esempio?

Per esempio il nodo della carenza del clero, che in Italia si cerca di risolvere in tante diocesi con le cosidette unità pastorali, ovvero accorpando le parrocchie, decretando di fatto un forte stravolgimento del modo di essere delle nostre comunità cristiane. Invece si dovrebbe rovesciare il discorso e pensare ad affidare davvero molte competenze ai laici.

Fra queste, il tema della povertà e della Chiesa povera e dei poveri. I vescovi non rispondono o rispondono pochissimo a questa istanza. È un problema che, nel concreto, non si pongono proprio. I bilanci delle diocesi continuano ad essere segreti. Si potrebbe affrontare il discorso in maniera seria e soprattutto trasparente, coinvolgendo tutto il popolo di Dio.

Poi c’è il tema della pedofilia: ultimamente un gruppo di cattolici brindisini ha preso la parola pubblicamente, ma si tratta di uno di quei nodi che ha una rilevanza nazionale e non solo locale.

E poi l’informazione religiosa: Avvenire, finanziato surrettiziamente con l’8 per mille, è il quotidiano dei cattolici, ma non rappresenta assolutamente tutto il mondo cattolico e tutte le posizioni dei cattolici. Fortunatamente ci sono alcuni strumenti di informazione dal basso che resistono, come Adista.

Insomma “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” non solo non vuole chiudere bottega, ma intende continuare ad essere di stimolo?

Esatto. Non ci interessa discutere anzitutto di questioni teologiche, pure molto importanti, ma parlare di problemi pastorali, che riguardano la vita della Chiesa – e in particolare della Chiesa italiana –, non per fare accademia, ma per essere di stimolo. Nel comitato promotore ne stiamo parlando, a breve decideremo iniziative concrete.

Counci50, a cui “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” ha preso parte, è stato un successo. Anche in questo caso, si tratta di un’esperienza conclusa o andrà avanti?
L’iniziativa è andata molto bene, sotto tutti i punti di vista, e andrà avanti. È nato il primo network mondiale della Chiesa conciliare organizzato dal basso, si sta costituendo un gruppo di coordinamento, e in cantiere ci sono già altri incontri internazionali, in America Latina, forse in Africa. Il cantiere, cioè, è aperto.