L’invenzione della famiglia tradizionale di B.Sarasini

Bia Sarasini
Il manifesto, 30 gennaio 2016

Dici famiglia e sembra tutto chiaro, e non solo ai pasdaran del family day che si ritrovano oggi a Roma. Padre, madre, figli. Un nucleo che condivide la stessa abitazione, di solito senza convivere con altre persone. E sembra chiaro che a questo pensa la Chiesa, quando parla di famiglia e di natura. Questa specie di indistinto senso comune è la zona grigia in cui tutto si confonde, e in cui sguazzano “Sentinelle”, ultrà leghisti e fondamentalisti vari. Perfino chi critica non avere in mente altro che la coppietta felice.

È questo, il modello naturale a cui si fa riferimento? È la famiglia mononucleare l’esempio? Famiglia è una parola di origine latina, e, dicono i vocabolari, indicava l’insieme dei servi che abitavano in una casa, e non alludeva a nessun legame di parentela. Anche matrimonio ha cambiato significato nel corso del tempo, spiega Emile Benveniste (Il vocabolario delle istituzioni indo europee, Einaudi).

Nelle lingue indoeuropee non esiste un’unica parola che indichi quello oggi si intende per matrimonio, ma esistono parole diverse, per gli uomini e le donne. In particolare matrimonium significava esclusivamente il diventare sposa della donna, c’è voluto del tempo perché nelle lingue romanze assumesse il significato di «unione legale tra uomo e donna».
La ricerca delle etimologie, delle fonti, è molto utile quando una parola, un concetto, una formazione sociale sono sottoposte a tensione sociale, sono al centro di un conflitto. Come è oggi per famiglia e matrimonio. Uno scontro che non ha nulla a che fare con la natura, che viene impugnata come una clava, come se anche della natura ci fosse un’unica idea.

Come se non fosse necessario chiedersi a quale natura si fa riferimento quando la si invoca come fonte di una norma sociale – e legale – da imporre a tutti. Si intende l’istinto che spinge all’accoppiamento, per usare un linguaggio ottocentesco? O gli ormoni, per attestarsi sul biologismo diffuso dei nostri tempi? E se per stabilire di quale natura stiamo parlando occorre accordarsi, trovare un linguaggio comune, questo non comporta che ci riferiamo in ogni caso a qualcosa che gli umani significano? Che è l’interpretazione umana a dare senso a quei fatti, a collocarli in un ordine? C’è una vignetta divertente, che circola nel web.
«Ogni volta che si dice ’natura’, un antropologo muore».

Certo, gli antropologi non sono popolari come gli archeologi (dopo l’effetto Indiana Jones), ma si dovrebbe insegnare nelle scuole che la famiglia non si è sempre chiamata così, e soprattutto ha cambiato forma innumerevoli volte nel corso del tempo. E che in particolare la famiglia mononucleare è una forma molto recente, legata all’industrializzazione e connessa urbanizzazione. Una della forme meno equilibrate, visto l’isolamento in cui lascia i suoi membri, tagliati fuori anche dai più stretti legami parentali. E per questo fonte di ansia e di angoscia, accanto ai motivi molto materiali, di sopravvivenza.

Si vive peggio da soli, e per questo si creano oggi nuove famiglie, nuove convivenze – in grandi case per esempio – per mettere in comune vite, servizi, accudimenti, cure. Del resto questo è stato anche uno degli argomenti del Sinodo 2015 dedicato alla famiglia, nel corso del quale si è preso atto che oggi nel mondo famiglia e matrimonio hanno forme diverse. E che le difficoltà vengono soprattutto dalle faticose condizioni di vita, dalla mancanza di lavoro, dalla necessità di migrare. Per questo è curioso che il cardinale Bagnasco abbia detto qualche giorno fa: «La famiglia è un fatto antropologico, non ideologico» per affermare il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre. Cosa significa antropologico, in questo contesto?

Del resto, non occorre essere essere esegeti particolarmente rifiniti per comprendere che Gesù nei Vangeli butta all’aria i ruoli definiti, anche quelli parentali. La sua chiamata divide, se necessario: «Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre» (Matteo 10, 34) e tutto quello che segue. Viene insegnato che non deve essere preso alla lettera, che il testo ha una valore simbolico. Eppure il messaggio è chiaro, esprime una critica netta, per i legami troppo stretti, che guardano solo se stessi.
Del resto, la famiglia del tempo di Gesù, farebbe inorridire ora, certo assomiglierebbe ben di più alle tribù islamiche che minaccerebbero oggi l’Occidente cristiano che alle belle coppie che celebrano il matrimonio con sfarzo e wedding planner.
E le coppie omosessuali? In che senso ciò che spinge a unirsi persone dello stesso sesso è fuori dalla natura? È nell’antropologia, cioè nelle relazioni tra gli umani, la possibilità di dare senso. Il priore di Bose Enzo Bianchi anche di recente ha ricordato che degli omosessuali Gesù non dice nulla: «L’onestà» ha detto «quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere».

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Siamo sicuri che la famiglia tradizionale sia la migliore possibile?

Chiara Maffioletti
http://27esimaora.corriere.it/

Sono giorni in cui ognuno strilla la sua opinione quando si parla di famiglia. Come se urlando — o organizzando cubitali slogan attraverso complicati incastri di finestre (vedi Pirellone) — il proprio punto di vista si trasformasse nella realtà. Poi però senti la voce di una bambina, figlia di due donne. Guarda in camera e dice: «Ogni tanto, quando dico che ho due mamme lesbiche mi guardano strano». Le fa eco un’altra, anche lei figlia di genitori gay: «Ma a volte le cose strane sono anche le più belle».

Se avessimo anche noi adulti il buon senso dei bambini, il dibattito sulle unioni civili si risolverebbe nel tempo di una merenda. Purtroppo la strada è ancora lunga. C’è ancora — e sono in tanti — chi è convinto che una famiglia con una mamma e un papà abbia una superiorità morale (a cui quindi spettano di diritto più diritti) rispetto a quella formata da due mamme o due papà. Come se la differenza la facesse il sesso di appartenenza e non la persona. Spesso però accade che il primo passo per scardinare le convinzioni su una realtà che — il più delle volte — semplicemente si conosce poco, è entrarci in contatto, vederla per quello che davvero è e non attraverso le lenti del pregiudizio. Chi fosse interessato a farlo, ne ha un’occasione domenica 31 gennaio, quando su Real Time, in prima serata, andrà in onda uno speciale per raccontare le storie di alcune famiglie omogenitoriali. «Di fatto, famiglie», come recita anche il titolo dello speciale.

Un bambino ha bisogno di una mamme e di un papà. Questo è il mantra che più spesso si sente ripetere da chi crede che la famiglia tradizionale sia la migliore possibile. Meno scontato è il seguito dell’argomentazione alla domanda: perché?

Entrare nelle case, nelle vite di queste famiglie può dare sicuramente degli elementi in più. Ci sono Roberta e Chiara, ad esempio, che vivono a Ferrara con Emma e Giada, le due gemelle nate nove anni fa grazie a un’inseminazione cui Roberta si è sottoposta in Spagna. Oppure Federico e Rosario: abitano a Palermo e sono diventati papà di Jacopo e Tommaso, grazie a una donatrice e a una portatrice californiane. Ma c’è anche la storia di Barbara, mamma single di Damiano, un bambino biondo con gli occhi azzurri. Quando gli domanda: come è composta la nostra famiglia, lui, risponde d’istinto: bene.

E fa un certo effetto (bello, ma anche in questo caso dipende dai punti di vista, immagino) vedere un prete che, mentre battezza Viola, Melissa e Sofia, le tre gemelline di una coppia gay formata da Roberto e Simone, dice, in Chiesa (anche davanti alle mamme surrogate, arrivate dal Canada e grazie a cui i due sono diventati papà): «Il loro è un amore puro, sincero, un amore che non ha paura, e io non voglio avere paura. La Chiesa vorrei che non avesse paura».

Non è come la vede la maggioranza degli italiani, ma quel prete non è nemmeno il solo. Perché, come dice anche una bambina, sempre nello speciale: «Non sono una mamma e un papà che fanno una famiglia. E’ il voler bene».