In Messico il papa ha chiesto perdono ai popoli nativi di L.Boff

Leonardo Boff *

15 febbraio 2016: data memorabile. Papa Francesco è andato nella città coloniale di San Cristobal de las Casas, capitale dello Stato più povero del Messico, proprio nella regione dove nel 1994 era scoppiata la ribellione degli Zapatisti, durata fino al 2005. Ha avuto un incontro con i popoli nativi, maias, quichés e altri. Davanti a 100 mila persone ha celebrato la messa utilizzando la loro lingua.

È stata una visita con doppia riparazione. Prima di tutto rispetto ai popoli nativi, chiedendo perdono per i secoli di dominazione e sofferenza: “Molte volte in modo sistematico e strutturale, i vostri popoli furono oggetto d’incomprensione e esclusi dalla società. Alcuni considerarono inferiori i vostri valori, la vostra cultura e le vostre tradizioni, (…) e questo è molto triste. Farebbe bene a tutti noi un esame di coscienza e imparare a chiedere perdono”.

Risuonano anche nelle nostre orecchie le parole commoventi del profeta maia Chilam Balam Chumayel: “E allora ci siamo rattristati, perché erano arrivati… erano venuti per far appassire i nostri fiori, affinché vivessero soltanto i loro; tra noi penetrò la tristezza, era venuto il cristianesimo; questo è stato il principio della nostra miseria, il principio della nostra schiavitù”.

L’impatto dell’invasione degli spagnoli fu così violento che i 22 milioni di Astechi esistenti nel 1519 quando Hernan Cortés penetrò in Messico, erano ridotti, nel 1600, a un solo milione. Molti morirono in guerre; la grande maggioranza a causa di malattie portate dagli Europei, contro le quali non avevano difese immunitarie. È stato uno dei maggiori genocidi della storia umana. I colonizzatori assoggettarono i corpi, i missionari conquistarono le anime. Nel linguaggio degl’indigeni del secolo XVI, gli spagnoli, tutti cristiani, “ sono stati l’anti-cristo in terra, tigre dei popoli e sfruttatori di indios”.

Ora è venuto un Papa dall’America Latina, non fa trucchi , come sempre hanno fatto la Chiesa ufficiale e la Spagna, questa devastazione di intere nazioni. Riconosce i peccati e gli abusi e chiede perdono.

Ha fatto una seconda riparazione: il riscatto del vescovo Don Samuel Ruiz Garcia, incompreso dalla gerarchia messicana composta in gran parte da conservatori e letteralmente perseguitato dal Vaticano perché introduceva diaconi indigeni e perché metteva le basi di una “chiesa indigena” che assemblava elementi del Cristianesimo e delle culture autoctone, che includono rami di pino, uova e riferimento a Dio come Padre e come Madre. Il Papa ha riconosciuto le tre lingue principali come lingue liturgiche: chol, tzotzil e tzeltal.Si è fermato davanti alla tomba di Don Samuel Ruiz e ha pregato a lungo.

Ancora di più. Il papa riconosce il grande contributo che possono dare al mondo con il loro modo di trattare la Pacha Mama, con rispetto, venerazione e armonia.

Riprende il discorso dell’enciclica su “La cura della casa comune” e dice enfaticamente: “Non possiamo restare indifferenti davanti a una delle maggiori crisi ambientali della storia. In questo voi avete molto da insegnarci. I vostri popoli, come hanno riconosciuto i vescovi dell’America Latina, sanno relazionarsi armoniosamente con la natura, che rispettano come fonte di alimento, casa comune e tavola per l’umana condivisione”.

E dice ancora: “Insieme ai popoli abbandonati e maltrattati è compreso il nostro pianeta, devastato e oppresso. Non possiamo far finta di essere sordi e ciechi davanti a una delle maggiori crisi ambientali della storia”. E nuovamente convoca questi popoli nativi perché siano riferimento vivente di un altro stile di abitare la ‘Casa comune’, di produrre, distribuire e consumare in accordo con la natura e nell’equa partecipazione ai beni e ai servizi naturali.

Nel mio andare attraverso svariati paesi latino-americani costato due fenomeni tangibili: il riscatto biologico dei popoli nativi. Essi stanno crescendo in numero, rifacendo una popolazione, in altri periodi quasi sterminata. Il secondo è la riappropriazione della loro cultura con le religioni e con la loro sapienza ancestrale, trasmessa dalle nonne e dai nonni, di generazione in generazione. È un’esperienza indimenticabile partecipare alle loro celebrazioni officiate da sacerdoti, sacerdotesse e saggi. Lì si sente un profondo senso del sacro, di comunione con la Terra e con tutti gli elementi dell’universo, della natura e della Madre Terra.

Questi non sono figli della modernità secolarizzata. Loro sono nutriti di venerazione per tutte le cose,sentono di essere figli delle stelle, in profonda comunione con gli antenati. Questi stanno presenti seguendo il popolo con i loro consigli trasmessi dagli anziani e dai sapienti, soltanto che non sono visibili.

Dobbiamo rivisitare queste culture ancestrali. In esse sono ancora vivi principi e valori, che potranno suggerirci il modo di superare la nostra crisi di civiltà e garantire il nostro futuro.

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*Leonardo Boff, columnist del JB on line
Traduzione di di Romano Baraglia e Lidia Arato