Omelie di V.Bellavite

Vittorio Bellavite
(
coordinatore di Noi Siamo Chiesa)

L’intervento di un amico biblista che mi comunica il suo disappunto per una omelia deludente udita nella domenica in Albis in una importante parrocchia di Milano da parte di un importante esponente della curia diocesana mi sollecita a un “Primo piano” un po’ insolito.

Penso che nelle Comunità di Base non sia frequente la partecipazione alla celebrazione eucaristica nelle chiese, lo è invece più facilmente per chi simpatizza per Noi Siamo Chiesa o fa parte del circuito di Chiesadituttichiesadeipoveri.

Mi sembra che sia utile socializzare, per punti sintetici, alcune informazioni e riflessioni che ho fatto in proposito sperando di avviare un dibattito e di non annoiare chi non ascolta mai omelie.

–sulla base del numero delle chiese in Italia (40.000), delle messe che vi si celebrano ogni domenica (facciamo due) e per una partecipazione –mettiamo – di 70-80 persone di media si può sostenere che, a spanne, siano non meno di cinque o sei milioni quanti ascoltano una omelia ogni settimana;

–queste omelie sono l’unica comunicazione orale di qualche rilevanza quantitativa che ci sia nel nostro paese al di fuori del bombardamento mediatico di ogni tipo in cui siamo avvolti;

–è anche l’unica occasione di intervento sulla Parola di Dio, a partire dalla ben nota distanza del cattolico medio dal rapporto diretto con la conoscenza e la lettura del Vangelo o, comunque, dalla frequentazione di incontri infrasettimanali in sedi ecclesiali. Quindi l’omelia domenicale sarebbe una grande unica occasione di formazione spirituale;

–di questo potenzialmente straordinario strumento il clero ha il monopolio completo. Nel nostro paese è rigorosa l’osservanza dell’intervento esclusivo del prete e l’esclusione di altri, del resto secondo l’ordinamento canonico .All’estero mi risulta che ci siano situazioni di fatto diverse, molto più libere;

–non esiste nessuna verifica della qualità della predicazione, ovviamente non ci sono applausi in chiesa. Anche per timidezza e consuetudine il popolo cristiano spesso è insofferente della qualità delle omelie ma lo è silenziosamente. Che esse siano troppo lunghe (non dovrebbero superare i dieci minuti), generiche, prive di approfondimento biblico, con rituali riferimenti al principio d’autorità (“l’ha detto il papa, l’ha detto il vescovo”) visibilmente improvvisate, con divagazioni inutili, ripetitive, spesso saccenti e mai problematiche alla ricerca del senso del Messaggio a confronto con la realtà quotidiana ecc… è esperienza comune anche se è difficile fare generalizzazioni. Mi pare che ci siano anche pochi ottimi predicatori;

–don Aldo Ellena, nostro amico e tra i primi studiosi di sociologia religiosa, fece, tempo, fa una ricerca nella diocesi di Milano (“Ricerca interdisciplinare sulla Predicazione” EDB 1973) constatando una situazione molto difficile. Il sentire comune ci dice non essere ancora cambiata la situazione.

–faccio un’ipotesi. Nel la gestione quotidiana della vita del prete l’omelia è una delle cose da fare, non la “cosa” più importante della settimana. Essa viene preparata? Mi risulta che sia tutto molto diverso per i pastori protestanti per cui il sermone domenicale ha grande importanza ed esige studio dei testi, delle interpretazioni , magari incontri ad hoc ecc…Il prete si pone il problema di chi ha davanti quando predica? Riesce a dire qualcosa ai matrimoni e ai funerali che possa essere ascoltato davvero da chi frequenta la Chiesa solo in queste occasioni?

–faccio una seconda ipotesi. Nei seminari e nelle facoltà teologiche l’omiletica è questione di poco conto. Bisogna fare una ricerca su questo aspetto della preparazione del clero. In un testo di 150 pagine del novembre 2006 dei vescovi italiani sulla struttura dei seminari vi sono dedicate poche generiche parole. Mi è capitato di ascoltare una omelia di 38 minuti di uno dei maggiori teologi italiani, poco sopportabile anche per la sua supponenza;

–il prete che non ha doti comunicative o non ha attitudini per un buon approfondimento dei testi o anche semplicemente non ha proprio tempo travolto dall’ordinaria amministrazione delle strutture parrocchiali, degli oratori ecc… può ora ricorrere gratis a sussidi di alto livello che si possono ricevere online. Leggere dieci minuti cose pensate da altri non può essere un disonore ma il semplice rispetto di chi partecipa alla celebrazione eucaristica. E ci siamo mai chiesti perché ci sia chi frequenta scarsamente la messa anche infastidito dalla inconsistenza di una tale comunicazione della Parola? E ci siamo mai chiesti perché nelle chiese dove un prete sa quello che dice aumenta la partecipazione?

–in maggio l’assemblea annuale dei vescovi italiani parlerà soprattutto del “rinnovamento del clero a partire dalla formazione permanente”. Nella convocazione si fa una sbrodolata delle cose di cui si parlerà ma la Predicazione non c’è nell’elenco. Quest’assenza mi fa pensare che si tratti proprio di un grave deficit culturale e pastorale. Dovrebbe essere interesse di tutti nella Chiesa usare in modo evangelico uno strumento unico, quello dell’omelia, per fare opera di vera evangelizzazione invece di fare i soliti piagnistei (leggi Bagnasco) “su un clima che vuole cambiare le categorie elementari dell’umano” e “sui segni della decomposizione culturale” della nostra società laicista;

–tutto ciò premesso, sarebbe importante una iniziativa ecclesiale dal basso su questo problema specifico. Il consenso- suppongo- potrebbe andare ben oltre quanti si richiamano più esplicitamente al Concilio;

–ma infine una constatazione veramente importante e piacevole : nella “Evangelii Gaudium” papa Francesco dal capoverso 145 al 159 parla esplicitamente della Predicazione. L’ho riletto. Non ci sarebbe che da seguire pari pari quanto egli ha scritto. E’ uno dei punti migliori di quel bel testo.