Ernesto Bonaiuti 70 anni dopo di G.Codrignani

Giancarla Codrignani

Settant’anni dopo la loro scomparsa gli uomini che sono stati grandi non si commemorano perché sono stati dei “personaggi”: loro stessi avrebbero voluto che contassero le loro idee, che viaggiano nel tempo e interpellano i nuovi contemporanei. Anche chi non l’ha conosciuto, ma l’ha sentito maestro, prova ancora emozione per la sua storia e la sua testimonianza.

E’ di qualche soddisfazione che l’ Avvenire di domenica 17 aprile abbia ricordato Ernesto Bonaiuti come “modernista e profeta”. Fu un prete nato nel 1881, ordinato nel 1903, scomunicato nel 1921 e, di nuovo, nel 1924; che era docente universitario, ma non avendo voluto giurare fedeltà al regime fascista, fu dimesso dalla cattedra.

Resta ancora da studiare – non che manchino analisi scientifiche al riguardo – che cosa sia stato il modernismo; ma da parte della chiesa cattolica non ci sono state prese di posizione che abbiano messo in luce quanto la chiesa ha perduto per la solita miopia: non ha saputo “antivedere” in tempi che esigevano una coscienza vigile.I “duecento anni di ritardo” accusati dal cardinal Martini comprendono anche gli anni di mancata intelligenza dei tempi da parte della gerarchia cattolica nel secolo scorso, quando anche Angelo Roncalli probabilmente aveva simpatie moderniste ma con il suo pontificato tentò di accompagnare – non solo i cristiani, ma anche quel “popolo di Dio” che non si riconosce nei dogmi cattolici – fuori dalla ristrettezza di orizzonti ormai incompatibili con un mondo che non poteva perdersi, come fa ancora il vescovo Negri di Ferrara, a recriminare l’Illuminismo e il Risorgimento prima ancora del vecchio “comunismo”.

La Chiesa ha, dunque, la responsabilità dell’infelicità di molti, simboleggiata in Ernesto, un uomo coerente, un prete fedele (che solo quando gli fu vietato smise di portare la talare), che meritava non la scomunica ma il rettorato di un’università pontificia.

Era anche la chiesa che avrebbe chiamato Mussolini “l’uomo della provvidenza” ed evidentemente stava scrivendo pagine – non le prime e non le sole – che non avrebbe dovuto scrivere.

Comunque, anche dopo la seconda guerra mondiale, sono continuate le vittime dell’incapacità di concepire la ricerca teologica come libertà intellettuale: senza citare i teologi della liberazione, chi legge Kung non può non rendersi conto della sottrazione di “perfetta letizia” alla libera coscienza di uomini che sono nati maestri e interpretano per noi il fluire della storia che non toglie senso, ma lo rinnova e lo rende comprensibile e davvero trasformatore.

Nel nostro secolo, anzi millennio, la libertà religiosa è ancora un problema. Un problema mantenuto dal rapporto mediocre che la politica italiana ha sempre conservato per ciò che riguarda i rapporti con il Vaticano. Non è facile dire quanto della tensione escatologica del Regno, che è uno dei temi di Bonaiuti, oppure della sua fede nell’istituzione la cui unità voleva comunque preservata facciano di lui un profeta.

La stessa presa di posizione contro il fascismo trova per lui ragione prioritaria nel Vangelo che non ammette il giuramento. Se soprattutto negli ultimi anni abbia mostrato maggior interesse per la politica, fino ad impegnarvisi personalmente, non abbiamo dimostrazione di assoluta laicità: forse sarebbe stato un buon democristiano se la Dc avesse avuto il coraggio di presentarlo.

Ma quello che vale oggi non è solo la necessità di studiarlo per perfezionarne la conoscenza ancora incompleta, e nemmeno le giuste firme per l’appello di Noi Siamo Chiesa a favore del suo pieno reintegro nella Chiesa, nella teologia e nella storia cattolica, bensì nel coraggio morale che ogni libera coscienza si deve dare.

Se Gesù fa liberi gli uomini, la Chiesa non ne può imprigionare lo spirito. I laici non hanno così compreso la lungimiranza Giovanni XXIII e difeso il suo Concilio da non essere un po’ complici nel suo soffocamento. Oggi altro Papa poco comune, consapevole dell’accumularsi dei ritardi (mortali, ormai) corre – e correrà – pericoli in futuro di attacchi di una conservazione che non demorde e che conta sull’ignoranza (vedere il Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia di Alberto Melloni) della gente. Forse – non ci sono nemmeno più le scomuniche – tocca a noi, soprattutto noi laici, di aiutarlo.