Il Vino nuovo dell’Altro che rompe gli otri vecchi del nostro Essere di ComunitàOperaSemplice

Partecipazione della Comunità Opera Semplice e delle comunità di Fittà e Marcellise al Convegno Nazionale delle Comunità di Base a Verona

“Restituire la comunità ai poveri è vino nuovo in otri vecchi!”

Introduzione

L’altro, che irrompe nel mio essere, l’altro che entra con insistenza e perseveranza nella comunità che non mi appartiene ma mi è data, l’altro popolo in viaggio, in cammino nella sua sete di terra, libertà e giustizia diventa il mio popolo, il ‘Totalmente Altro’ che viene ad abitare il mio quotidiano vivere: vino nuovo in otri vecchi!

Ecco il vino nuovo che è riversato nei nostri otri ormai vecchi e fragili, che non possiamo più permetterci di riparare, usare, riempire. Un vino che porta vita nuova nel nostro mondo interiore, comunitario, ecclesiale, umano. Un vino che squarcia tutto ciò che tenta di resistere all’azione dirompente dello Spirito. Un vino che espande il nostro essere nel mondo fino ai confini della terra, dell’umanità, del creato e della storia: luoghi della vita di Fede, luoghi dell’Incontro con il quotidiano Divino, luoghi e spazi della testimonianza di una Resurrezione possibile, qui ed ora.

Vino che fa dell’oggi il Regno dei cieli: quella realtà visibile che abita gli albori del desiderio e del sogno umano e si rende incredibilmente realizzabile nelle azioni che scaturiscono dalle nostre mani che, “gettate nel mondo”, possono costruire il Possibile in noi.

Sì, perché davvero Lui/Lei è in mezzo a noi, viene dentro di noi e noi in Lui/Lei.

Il Convegno di Verona per la nostra piccola Comunità è stato una opportunità splendida per respirare la libertà e la forza di un Vangelo che non soffoca la sua vitalità dentro a sovrastrutture ma che permette all’umano di essere un ‘luogo liberante’, uno spazio in cui la misericordia e la verità si baciano, la giustizia e la pace si contemplano, si cercano e si incontrano, unendosi simbolicamente ed efficacemente tra cielo e terra, in quello spazio che lascia a tutti il respiro, che non lascia nessuno senza fiato, e che si chiama ‘bene comune universale’.

Il Convegno, per la nostra comunità e in particolare per il gruppo di giovani che vi ha partecipato, è diventato giorno dopo giorno un luogo di riappropriazione di una memoria storica che rende testimonianza ancora oggi della travolgente vitalità del Concilio Vaticano II, della perseveranza e della coerenza di uomini, donne e comunità di fede che hanno accolto seriamente, primariamente ed instancabilmente il messaggio evangelico del Concilio vivendo insieme il ‘coraggio della Parola’, la profezia dell’uguaglianza e della democrazia, la determinazione del popolo di Dio che si muove libero sulle orme di Gesù Cristo promuovendo la partecipazione, la giustizia, i diritti e la pace;  un popolo in cui non vi è ministero se non solo nel servizio alla comunità e all’umanità; un popolo che sente e che crede che il Volto di Dio è l’umanità di Gesù Cristo; un popolo dove la misericordia ha davvero sempre la meglio sul giudizio, dove la parola è realmente e quotidianamente “restituita ai poveri”, come diceva con forza Mazzolari; dove la comunità è una comunità di fede che vive la spiritualità come dinamica creativa dell’incarnazione dell’amore di Dio che si fa evento nei nostri gesti, nelle nostre parole, nelle nostre opere e nelle nostre scelte fraterne, comunitarie, sociali, culturali, lavorative, economiche, etiche, politiche… umane.

Una giovane donna al Convegno

Sara, una ragazza di 24 anni che vive con noi in comunità ha condiviso la risonanza dell’esperienza che ha fatto al Convegno di Verona:

«Studio Teologia da circa tre anni e vivo da quasi quattro in una piccola comunità di accoglienza, trascorrendo la mia quotidianità nel profumo di quella solidarietà che don  Tonino Bello definiva come “la possibilità di uscire insieme da fatiche e difficoltà”.  Quotidianamente cerco di vivere ciò che studio e viceversa cerco di ritrovare i Volti di quel Cristo che incontro ogni giorno, nelle pagine che studio. Un’osmosi di Vita e Vangelo che è fatta prima di tutto di una Rivelazione che è prassi, eternamente generata in ogni gesto che non è per noi ma per l’altro e l’Altro.

La spontaneità è ciò che caratterizza questo movimento, un muoversi spontaneo e leggero che rende fratelli e sorelle le persone con cui vivo. Dare una definizione teologica di ciò che per me è quotidiano risulta difficile, spesso poco soddisfacente e parziale davanti alla grandezza del lasciarsi coinvolgere responsabilmente da questo mondo, da quest’umanità. Se definire non è possibile, è invece importante la capacità di lasciarsi interrogare, di lasciarsi toccare dalla banalità di una vita aperta e comunitaria, che diventa altro Volto di una Chiesa universale. Il porsi delle domande insieme è una ricchezza grande all’interno di questa Chiesa, un movimento di Spirito che rinnova e crea nuovi spazi, nuovi tempi dove vivere ogni relazione.

Il ritrovare queste domande nei giorni trascorsi al Convegno delle Comunità di Base e il forte desiderio di risposte fuori dall’ambiente di studio è stato per me molto stimolante. Una vera boccata d’aria che mi ha permesso di confrontarmi con donne e uomini che da anni ormai cercano di proporre e vivere in un modo “altro” la realtà ecclesiale di cui facciamo parte. Un dialogo intergenerazionale che non può far altro che portare nuovi frutti, nuove proposte di dialogo e confronto in un terreno che spesso resta privo della giusta quantità d’acqua.

Ascoltare, dialogare, interrogarsi, provocarsi è diventato così il punto di forza di questo Convegno, un punto fondamentale per riscoprirsi vicini come realtà parrocchiali e comunità di base, insieme in uno stesso cammino di ricerca, insieme nella stessa costruzione di ponti che permettano di vivere con gli stessi sentimenti di Cristo, solidali con ogni essere umano e con il creato che ci è stato donato. La sinergia tra parrocchie e comunità, tra donne e uomini, tra anziani e giovani, tra esperti e  inesperti è stata la bellezza di questo Convegno che merita di continuare ad aprirsi, per allargare la riflessione ad altri, per includere più diversità possibili, per scambiarsi più esperienze e provare a vivere davvero insieme quello stesso Vangelo».

Il vino che “spacca”

Se è vero che il vino nuovo irrompe perché viene dato gratuitamente alla storia, è parimenti vero che gli otri vecchi sono pronti e disponibili alla rottura per lasciare che la fecondità e la vitalità di questo vino rompa i confini e si diffonda ovunque, partendo da ciascuno di noi e dall’essere ancora insieme, nella Chiesa.

Siamo in cammino con l’umanità intera dove Gesù ci ha indicato la via di riconoscimento dell’altro con le sue parole e i suoi gesti, per entrare nel mistero della verità della storia della Salvezza e diventare promotori di una nuova vita interiore, relazionale, sociale, culturale e civile! Con le parole di papa Francesco, ripetiamo con forza: ‘Non preoccupiamoci solo di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di speranza e di sapienza’ (EG 194). ‘La bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via’ (EG 195); e ancora il papa continua nell’esortazione apostolica: ‘per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica (EG 198)’.

Se c’è un vino nuovo che è stato riversato nella comunità parrocchiale di Fittà – piccola frazione del Comune di Soave (Verona) – è proprio il vino della vita dei poveri e degli esclusi che sono tornati ad abitare la comunità, riprendendo un posto nel cuore della vita comunitaria. Da questo vuoto riempito dalla grazia, sono nate l’Associazione Sulle Orme Onlus e la Cooperativa Multiforme di cui facciamo parte e che dal 2005 promuovono azioni di accoglienza con alcune comunità parrocchiali della provincia di Verona, partecipando così al fiorire fecondo di una Pastorale della Carità.

Da allora facciamo esperienza della bellezza di piccole comunità che si lasciano “spaccare” dal vino dirompente della vita di poveri che tornano così ad abitarla. ‘Soltanto a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli nel loro cammino di liberazione. Soltanto questo renderà possibile che «i poveri si sentano in ogni comunità cristiana, come a “casa loro”. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno ?»’ (EG 199).

Comunità che tornano ad aprire spazi chiusi da troppo tempo e liberare energie nuove per rinnovati cammini di liberazione reciproca: i poveri liberati dalla solitudine dell’emarginazione e le comunità liberate dalla chiusura, dall’auto-determinazione e dall’auto-referenzialità spesso alimentata da una pastorale di controllo del territorio. Quante volte i nostri progetti mal si  adattano all’azione di uno Spirito che non sopporta essere imprigionato in perfetti piani pastorali? Quante volte per finalizzare quegli stessi progetti trasformiamo il valore dell’unità e della comunione nella comodo ripiegare all’uniformità e alla superficiale regolamentazione? Spesso, purtroppo, il nostro agire pastorale si preoccupa eccessivamente di riempire i vuoti con nuove strategie e metodi accattivanti.

Sopportare il vuoto

Come ci ricorda Simone Weil: ‘Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire sopportare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo. La grazia colma, ma può entrare soltanto là dove c’è un vuoto a riceverla; e, quel vuoto, è essa a farlo. Amare la verità significa sopportare il vuoto. Chi sopporta per un momento il vuoto, o riceve il pane sovrannaturale, o cade. Terribile rischio, ma è necessario correrlo.’

La storia ha aperto squarci di vuoto che dobbiamo imparare a “sopportare” perché la grazia li riempia di quella novità evangelica che ha caratterizzato il vivere di Gesù, il vivere umano, sociale, religioso, relazionale, comunitario, economico e politico.

Il potere dell’amore concreto, operoso, il potere di fare dell’azione il luogo della profonda contemplazione emerge solo dall’esperienza del vuoto riempito dalla grazia. Ecco che il senso dei vuoti nelle nostre esperienze comunitarie va assolutamente “sopportato” affinché la Presenza del Dio dei poveri riempia nuovamente gli spazi che si sono aperti per grazia. Spazi aperti nelle strutture, nei ruoli, nelle gerarchie, nelle modalità di espressione, negli stili e nelle forme di vita, nelle catechesi e nelle liturgie…non dobbiamo e non possiamo cadere nella tentazione di subire la paura e l’angoscia del vuoto, e correre ai ripari riempiendo i vuoti ancora una volta di noi stessi. È necessario che prima di tutto sia Lui ad entrare passando dalla “porta dei piccoli”: la porta stretta che tutti siamo invitati ad attraversare, ciascuno nella propria storia e, insieme, nel nostro comune vissuto comunitario. Questa è la porta santa della riconciliazione con il creato e con l’umanità.

Il Convegno delle Comunità di base è stato per tutti noi l’opportunità di ritornare a guardare a quella porta stretta dei piccoli che da tempo tanti cercano insieme di tenere aperta, a volte forse soltanto socchiusa ma tentando, sempre e comunque, di vigilare sulle soglie della povertà, della fragilità, della debolezza e della nudità, nella consapevolezza che ogni soglia aperta sul vivere umano è un punto di accesso al mistero dell’Altro.

Le proposte di riflessione, i momenti di condivisione e di gruppo, i laboratori, lo spettacolo ma anche e soprattutto gli scambi spontanei e fraterni, sono stati vissuti con grande affetto e il sorriso colorava le riflessioni anche più profonde, un sorriso che ha creato un clima di amicizia e comunione. Il volto di una Chiesa matura e determinata, di una Chiesa-popolo-di-Dio che non ha timore di cambiare, di servire, di morire, che non ha paura neppure di scomparire per far emergere il Volto del Suo Amore Universale.

Anche se il cammino delle Comunità di base, spesso viene percepito dalla parte ecclesiale più istituzionale solo come un cammino orientato in direzione ostinata e contraria, dal Convegno sembra essere emersa una direzione comune da intraprendere tutti insieme nel grande cambiamento epocale che il mondo, la società e quindi anche la Chiesa stanno vivendo in questa nuova era.

Ci sono linee comuni prioritarie, evidenziate oggi con toni sempre più forti anche dal Vescovo di Roma, che vengono percepite nella loro importanza vitale in modo trasversale ai vari contesti ecclesiali e che ci spingono, insieme, a cercare e trovare nuovi linguaggi di comprensione, di accoglienza reciproca nell’impegno comune della promozione dell’altro: la conversione ecologica integrale e la cura della Madre Terra, l’opzione per i poveri come punto focale di ri-orientamento dell’azione ecclesiale e di ri-centramento delle priorità pastorali, l’accoglienza con gioia e determinazione di un tempo propizio per una reale profezia laica del Vangelo, il pensare seriamente, concretamente e radicalmente ad una gerarchia di servizio, il ruolo determinante della donna nel vivere ecclesiale come segno di un vero ripensamento globale di tutta la Chiesa e della stessa vita sociale.

Insomma, forse la direzione ostinata e contraria è semplicemente quella del Vangelo vissuto sine glossa che nella nuova era diventa l’unica direzione possibile e percorribile per mantenere una coerente credibilità come comunità cristiane che dalla base si lasciano squarciare, permettendo al vino del nuovo tempo di fare davvero nuove le cose di sempre.