Nella Chiesa la domanda di riforma viene da lontano di M. Vigli

L’elezione di papa Francesco ha rilanciato la speranza che il cammino di rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II possa riprendere. Sono in molti  a scrivere sull’argomento  proponendo, auspicando, augurando, fantasticando riforme e trasformazioni. Si colloca fra questi l’autore del libro Caro Papa liberaci dal male che sotto il nome di Fra Michele da Cesena raccoglie in poco più di 50 pagine undici Lettere a papa Francesco di bambini e ragazzi d’Italia (*).

Lui, un pediatra testimone dell’autenticità delle situazioni in cui vivono gli autori degli  interrogativi descritti nel libro, assumendo questa identità – un francescano del XIV secolo ministro generale dell’ordine ai tempi di Marsilio da Padova e di Guglielmo da Occam e con loro in conflitto con il papa avignonese sul tema della povertà –  intende collocarsi in linea con quelli che la riforma l’hanno invocata da gran tempo, già da prima del Vaticano II. Attribuendo, inoltre, le sue proposte all’ingenuità di ragazzi, che scrivono lettere indirizzate al papa, intende caratterizzarle  all’insegna dell’ovvietà: se persino dei ragazzi le avanzano, non possono che essere ormai irrinunciabili!

Nelle lettere vengono, infatti, proposti casi particolari nei quali emergono esigenze o situazioni che offrono occasioni ai “ragazzi” per porre interrogativi, avanzare proposte, proporre ripensamenti sulla situazione della Istituzione Chiesa.

L’esclusione delle donne dal servizio all’altare sollecita la richiesta di rivedere il ruolo della donna nella chiesa, magari equiparandola all’uomo nella possibilità di essere chiamata a diventare prete. Allo stesso modo perché non consentire alla donna di abortire in presenza di una diagnosi che il nascituro sarà talassemico?  Meno convincente è invece la proposta di regolamentare la prostituzione “promuovendo” le donne, che la esercitano, a impiegate del sesso impegnate ad esercitare il loro normale lavoro in “alberghi” ad hoc – nuovo nome da are ai tradizionali “casini” – con orari definiti e pari dignità.

Non è chiaro chi dovrebbe gestirli e soprattutto quale rapporto dovrebbe avere con le donne, dato che nello stesso testo se ne rivendica l’assoluta indipendenza. Puntuale e condivisibile torna ad essere, invece, la denuncia dello stato di subalternità in Italia dei fedeli di altre religioni. Obbligati, nella scuola, a lasciare la classe, nella quale fra l’altro incombe un crocefisso,  durante l’ora di religione confessionale, sono costretti,  nella società, a non avere un proprio luogo di culto per l’ipocrisia dello Stato, dei sindaci, dei preti che, senza opporsi formalmente alla costruzione di una moschea, la impediscono  di fatto, mentre finanziano quella di nuove chiese cattoliche. Anche il diritto dei preti a sposarsi viene rivendicato rilevando che ne trarrebbe vantaggio la loro azione pastorale.

Dall’esperienza della loro vita in famiglia potrebbero trarre preziose indicazioni per capire  ed aiutare meglio i loro parrocchiani che vanno spesso dal parroco per i loro guai familiari. Non poteva mancare la denuncia della esclusione degli omosessuali dal riconoscimento legale della loro convivenza perché considerati inadeguati a costituire una famiglia naturale. Particolarmente dura è la critica nei confronti di questa discriminazione che impedisce, fra l’altro, ogni partecipazione ereditaria al partner, sopravvissuto al convivente di una vita. Lo è anche la denuncia della negazione del diritto all’eutanasia e alla fecondazione eterologa, formulata da due donne, anch’esse con lettera al papa, per essere state costrette a violare la legge. L’una ha dovuto portare il nonno a morire in Svizzera, per evitargli, con la pratica dell’eutanasia, da lui esplicitamente richiesta quando era ancora nelle sue piene facoltà mentali, una prolungata inutile agonia. L’altra, è dovuta andare in Spagna per partorire una figlia concepita con fecondazione eterologa, per di più, dopo la morte del marito. Entrambe fuori legge, specie la seconda costretta a sopportarne le conseguenze nel crescere, donna sola, una figlia, in realtà, non sua, perché essendo sterile l’ha concepita con un ovulo ricevuto, ma da lei voluta, portata in grembo e partorita con amore.

Dopo aver esaurito la sua funzione di mittente per conto terzi il frate, al secolo Francesco Ciotti, non “resiste alla tentazione” di rivolgersi direttamente al papa con una sua lettera  per suggerirgli di non disperdere la sua attenzione sui diversi quesiti da lui stesso proposti inviandogli le lettere precedenti, ma di concentrarsi sulle due istanze essenziali da sempre urgenti nella chiesa: praticare la povertà e rinunciare ad ogni forma di potere.

(*) Fra Michele da Cesena (a cura di), Caro Papa liberaci dal male. Lettere a papa Francesco di bambini e ragazzi d’Italia, Società editrice “Il Ponte Vecchio”, Cesena, 2015

Marcello Vigli
Roma, 9 maggio 2016