Emozione del profeta di G.Codrignani

Giancarla Codrignani

Quando Stefano Toppi ha raccontato della visita alla Comunità di San Paolo di dom Dotta, attuale abate del Monastero e del card. Harvey, arciprete, mi è venuto un sorriso di compiacimento: finalmente un gesto amicale, occasionato anche dalla consegna alla comunità in comodato della sua sede storica.

Poi ho letto di Giovanni Franzoni: “la notte precedente non aveva dormito ed era molto felice che finalmente si fosse dissolta la cortina che per tanti anni aveva separato l’abbazia dalla CdB”. Infine la cerimonia, conclusa con la benedizione dei locali da parte del cardinal Harvey che ha invitato l’Abate e Giovanni a seguirlo.

Debbo dire che mi sono commossa e mi ha fatto sentire partecipe della comunità perfino “il rinfresco di dolci preparati in casa”.
Ho conosciuto Giovanni quando era Abate e, in piazza Navona, manifestava in una delle prime iniziative pubbliche a favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio; poi vennero le vicende non così note come la storia di quegli anni meriterebbe, a Bologna fu fondato COM, poi diventato Com/Nuovi Tempi e ora Confronti e incominciò un lungo cammino. Di cui erano capifila alcuni “ribelli” che non avrebbero mai voluto essere tali perché amavano la “loro” chiesa. Si capiscono dunque l’emozione che impedisce il sonno e il respiro gaudioso che solleva il cuore del vecchio Abate che benedice la sede con l’Abate nuovo e prega finalmente “insieme”.

Un pezzo di “storia della Chiesa” e una meditazione di conciliarità e sinodalità. La fatica di quella parte della comunità dei cristiani che aveva colto il senso – ma anche l’esigenza di effettività – che si doveva alla liberazione portata da Giovanni XXIII, le sue due encicliche, il suo Concilio, annunciato in conferenza stampa proprio a San Paolo quando in Vaticano nessuno ne sapeva nulla (solo mons. Capovilla era al corrente sotto il vincolo del segreto confessionale) e già le telescriventi (l’internet di allora) lo comunicavano al mondo. Ma venne anche la constatazione di essere minoranza – come siamo ancora – e l’amarezza di vedere che l’etichetta “dissenso” diventava escludente mentre le diocesi recuperavano l’autorità della tradizione contestando la pastoralità del Vaticano II e annullandone la carica innovativa. Cinquant’anni di crisi a cui il nuovo Papa cerca di porre rimedio perché è in gioco il futuro della stessa fede. I tempi non erano maturi, anche quando i frutti scoppiavano di vita? nemmeno ora i tempi offrono agibilità, mentre le religioni sono tutte al palo, senza che “i fedeli” si rendano ancora conto del danno prodotto dall’immobilismo di Giovanni Paolo II.

Ma Giovanni Franzoni – e gli altri come lui che hanno pagato un prezzo più alto di noi laici alla loro coerenza – è sempre rimasto l’Abate emerito di San Paolo. Oggi la sua Chiesa riconosce il suo profeta. Ne siamo commossi e lieti. Ma la sua testimonianza va raccontata sui tetti e portata oltre da laici finalmente maturi, consapevoli della responsabilità di dirsi cristiani: la tradizione che ha preteso di accantonare il Vaticano II non ama neppure papa Francesco e ha ancora bisogno della coerenza e del coraggio secondo l’esempio di Franzoni e degli altri che, come lui, sono stati profeti.