L’Isolotto, un quartiere e una comunità: un libro che parla di noi di M.Vigli

Marcello Vigli

Raccontarsi in un libro è sempre un regalo per quelli che hanno condiviso parte della stessa esperienza: li sollecita a rivederla con occhi diversi. Lo ha fatto alle Comunità cristiane di base italiane Mira Furlani con il suo libro Le donne e il prete (1) scritto per “raccontare l’Isolotto”  – la prima volta da parte di una donna – attraverso la sua partecipazione al suo costituirsi Comunità.

Trasferita  da Milano a Firenze con la famiglia, era andata  a vivere in un appartamento in una striscia di terra che sarebbe diventato il quartiere dell’Isolotto. Giovane impiegata in una società di trasporti  percorreva ogni giorno, per andare al lavoro, uno stradello usato anche dal giovane prete Enzo Mazzi per raggiungere la cappella dove celebrava la messa in attesa che fosse completata la costruzione della chiesa, sede della parrocchia, di cui era stato nominato parroco dal cardinale Elia della Costa.

Un incontro occasionale da cui inizia la sua partecipazione alle attività della nuova parrocchia nella costruzione di un rapporto sempre più stretto con il quartiere  attraverso la realizzazione di case-famiglia per ospitare bambini abbandonati. Un’esperienza difficile che Mira racconta con dovizia di particolari perché in questo contesto s’inserisce il difficile rapporto personale di Mira con lo stesso don Mazzi.

In essa Mira si coinvolge sempre di più fino a lasciare il lavoro andando a vivere nelle stanze che la parrocchia concede a due delle tre case-famiglia, ben presto diventate il retroterra simbolico di una nascente comunità parrocchiale. Esse, secondo Mira, furono fin dall’inizio il centro che marcava non solo l’attività della parrocchia, ma anche tutte le altre iniziative politiche che nascevano sul territorio. L’impegno per lei si fece sempre più coinvolgente, ma, al tempo stesso,  il rapporto con Mazzi diventò difficile sollecitando Mira a individuare altri settori e forme d’impegno sociale e culturale che la portarono, prima, fra i terremotati nella valle del Belice e, poi, per oltre venticinque anni nella sanità fiorentina alle dipendenze dell’Amministrazione Provinciale di Firenze. L’intensità e la complessità del rapporto traspare nella narrazione degli eventi, che si snoda nelle pagine del libro, e nelle riflessioni che l’accompagnano.

Emerge in particolare in quelle in cui presenta la lunga esperienza del Belice, vissuta, inizialmente, come occasione per uscire dalla difficile situazione  che si era creata per le divergenze interne alla parrocchia; ma l’esperienza  diventò subito sede di un impegno coinvolgente perché Mira fu sollecitata a diventare responsabile del coordinamento dell’opera dei volontari e costretta a “incontrare” la mafia.

Tornata a Firenze, tensioni e difficoltà sono ridimensionate dall’insorgere del “sessantotto” che, per l’Isolotto, significa l’esplosione del conflitto fra il nuovo arcivescovo mons. Florit  e Mazzi,  concluso con sua destituzione da parroco.

In questo contesto nasce quella che diventerà una delle prime Comunità cristiane di base in Italia.

Troppo coinvolgente era stato il rapporto fra parroco e parrocchiani perché questi non reagissero da protagonisti allo sconvolgimento della loro comunità parrocchiale; Mira condivise con gli altri la decisione di respingere l’iniziativa di Florit, abbandonando la parrocchia dove avrebbero celebrato i preti mandati dalla curia per sostituire Mazzi e il suo vice. Fu deciso in una assemblea convocata in quella che era stata per anni la “loro”chiesa: l’assemblea, però, non era stata legittimamente convocata, la chiesa, pertanto, fu considerata illegalmente “occupata”. Fu facile a Florit ottenere che i più attivi dei parrocchiani, considerati responsabili, venissero denunciati e processati.

Fra questi Mira. Accusata di istigazione a delinquere e impedimento di funzione religiosa, per aver sostenuto nell’assemblea dei parrocchiani la necessità di disertare la chiesa parrocchiale,  fu rinviata a giudizio. Durante l’udienza in tribunale fu chiamata a contestualizzare i fatti contestati nella “storia” dell’Isolotto. Parlai per sei ore di fila, scrive Mira, riuscendo a confutare le accuse e ad essere assolta insieme agli altri imputati.

L’appassionato racconto di tale evento le offre l’occasione per alcune puntualizzazioni. Mira non si considera partecipe di un “dissenso” cattolico – espressione che giudica di per sé impropria – dichiarando: In verità il mio era stato ed è tutt’ora il percorso di una donna comune che a un certo punto della sua vita ha creduto giusto e possibile prendere alla lettera il messaggio d’amore contenuto nel Vangelo di Gesù, rendendosi poi conto che di per sé tale messaggio si poneva contro una chiesa solo maschile , gerarchica, dottrinale e dogmatica.

Con questo spirito Mira si coinvolge con grande impegno nell’esperienza di quelli che saranno i gruppi donne: avviata dal 1980 all’interno delle Cdb e sviluppatasi negli anni successivi, in particolare dopo il seminario nazionale delle Cdb Le scomode figlie di Eva (1988), si è costituita autonomo spazio di ricerca. Uno spazio separato di autocoscienza e acquisizione di competenza simbolica; un cammino che ha sicuramente contribuito alla nostra crescita spirituale e comunitaria come lo definiscono nella prefazione Doranna Lupi e Carla Galetto della Cdb Viottoli di Pinerolo.        In questo spazio, in cui Gruppi donne delle Cdb da anni si incontrano in piena autonomia e si confrontano con altri gruppi di donne in ricerca, Mira continua ad operare convinta che: Noi, io, che siamo passate dal silenzio alla parola, dalla cancellazione della storia alla scoperta di noi stesse e di tante altre che ci hanno precedute, abbiamo visto l’immensa possibilità che l’umanità possiede nel creare e ri-creare se stessa, oltre l’imposizione di una cultura maschile.

In verità, questa conquista della parola da parte delle donne, di cui il libro di Mira – se ne condivida o meno l’impostazione – rappresenta una  testimonianza, costituisce per le Cdb un arricchimento per l’intero movimento, nonostante le difficoltà e le resistenze che l’hanno accompagnata.

Lo invita ad affrontare le contraddizioni, che l’hanno attraversato e l’attraversano , senza ostacolare la costruzione delle diverse esperienze confermandole nell’impegno a considerare le differenze, un valore da utilizzare nel rispetto reciproco, e il confronto, uno strumento per progredire in piena autonomia. In questo crogiuolo si sono consumate le difficoltà dei preti nel riconoscersi uguali agli altri e dei laici nell’assumersi le nuove responsabilità senza prevaricare. Si va faticosamente sperimentando un nuovo rapporto uomo donna nella conquista di un’uguaglianza che non è solo parità, ma interiorizzazione del valore delle differenze.

Le difficoltà di questa sperimentazione aumentano se l’uomo è un prete come emerge nel rapporto che Mira descrive nel suo libro, e come si verifica in altre Cdb se il prete non rinuncia al suo ruolo accettando la riduzione del “ruolo” a “funzione”  da condividere  con gli uomini e le donne della comunità.

Difficoltà e contraddizioni non hanno impedito al movimento delle Cdb di continuare a perseguire il suo scopo di testimoniare un modo diverso di vivere il Vangelo senza cedere alla tentazione di costruire un’altra chiesa o di sciogliersi nella convivialità delle differenze, pur se alcune, invece,  hanno preferito considerare conclusa la loro esperienza.

1) M. Furlani, Le donne e il prete, L’Isoloto raccontato da lei, Gabrielli editori S. Pietro in Cariano, 2016

Roma, 2 dicembre 2016