Non sappiamo più pretendere di B.Pavan

Beppe Pavan
(della CdB Viottoli di Pinerolo)

Venerdì 3 febbraio scorso a Pinerolo (TO) si è svolta un’assemblea pubblica, molto partecipata, per discutere e condividere la proposta di chiedere all’amministrazione comunale di conferire la cittadinanza onoraria a Abdullah Ocalan, leader del PKK kurdo da 18 anni segregato in carcere sull’isola di Imrali in Turchia, grazie anche (si fa per dire) al complotto internazionale a cui ha partecipato attivamente il governo D’Alema.

Durante il dibattito un uomo è intervenuto dicendo che “dobbiamo pretendere una politica di pace”. Mi sono ricordato l’appello, pubblicato su Il Manifesto del 26 gennaio scorso, con cui molti e molte docenti universitari/e dichiarano che “di fronte ai problemi elementari in cui si dibatte il nostro Paese – la cui soluzione potrebbe generare centinaia di migliaia di posti di lavoro – riteniamo moralmente intollerabile lo sperpero di tante risorse a fini di guerra” e “chiediamo alle forze politiche che in Parlamento svolgono un’azione di opposizione di mettere in stato d’accusa il Governo della Repubblica, per l’aperta e continuata violazione di un principio costituzionale e per la responsabilità piena e consapevole nel privare i cittadini italiani delle risorse necessarie per la loro sicurezza”. Il testo integrale dell’appello l’abbiamo pubblicato sul Foglio di febbraio della nostra Cdb.

Quando avevo fatto io la stessa proposta, mi era stato risposto che iniziative del genere non hanno alcuna possibilità di esito positivo… Leggendo il loro appello mi viene da pensare che questa possibilità dipenda da quanti e quante saremo a pretenderlo.

Purtroppo da molti anni abbiamo subito una sorta di ammansimento: chiediamo, ma di fronte a risposte negative ci acquietiamo in silenzio. Non sappiamo più pretendere. Parlo dei diritti sacrosanti, e sanciti, di ogni persona e dei popoli, alla pace, alla vita dignitosa, a un’equa distribuzione delle risorse che garantisca loro l’accesso libero e universale al lavoro, alla sanità, all’istruzione, alla mobilità, alla giustizia…

Vedo che anche i giovani non scendono più in piazza con la determinazione e la resistenza necessarie a pretendere lavoro, dignità e futuro. Mentre i vecchi ricchi continuano a rubare, speculare e arricchirsi sempre di più, condannando masse enormi alla miseria. In cambio ci danno gli smartphone e tutte le diavolerie tecnologiche che, come moderni “circenses”, ci tengono occupati e beoti. Il “panem” è quel dollaro al giorno che impedisce alle masse più misere la morte per fame.

Davvero siamo contenti di questo, come il popolo romano sotto il giogo degli imperatori? Ci manca una sinistra di lotta? Ricordo che nella FIM-Cisl degli anni ′67 e seguenti a partire dal basso, con la ribellione dei giovani nelle fabbriche e il dibattito coinvolgente nelle leghe, abbiamo cambiato i gruppi dirigenti ai vari livelli e il sindacato ha conosciuto una formidabile stagione di conquiste per i lavoratori.

Purtroppo le conquiste finiscono per afflosciare la spinta: ti adagi e i dirigenti non osano spingere oltre… Ci ricordiamo sempre la fine ingloriosa della trattativa dopo la marcia dei 40.000 a Torino e la frenata imposta dal PCI a Lama… Come succede in America Latina: tanta gente vota socialista per conquistare maggior benessere e poi vota a destra per mantenere il benessere raggiunto, condannandosi a un triste declino. Non siamo capaci di resistenza.

Io penso che non ci sia che la strada del partire sempre da sé, dal sé individuale e dal sé collettivo, dal basso, da ciò che posso fare io insieme a tanti altri e tante altre come me: questo si può, con coraggio e tenacia. Possiamo far crescere in noi e seminare attorno a noi questa consapevolezza e scendere di più in piazza, senza violenza, ma con tenacia e perseveranza.

Senza delegare le nostre esigenze ai leader, che sanno solo competere tra loro per affermare se stessi, indifferenti al bene comune. Noi dobbiamo astenerci dalla competizione, ma dire sempre con chiarezza cosa vogliamo: politica ed economia di pace; e pretenderle fino ad ottenerle, cercando di realizzarle nei nostri contesti di vita.

Il sé collettivo pretenda dalle amministrazioni comunali politiche di pace coerenti; e che nei rispettivi partiti rivendichino politiche altrettanto coerenti. Dal basso arriveremo a cambiare le politiche internazionali.

Chi conosce altre strade le proponga, per favore, e parliamone. Ma pretendiamo pace; quindi cominciamo abbandonando guerre, armi, eserciti, come chiedono i firmatari e le firmatarie di quell’appello. E come chiediamo tutti e tutte coloro che eravamo all’assemblea per Ocalan venerdì scorso. Lo chiederemo portando “in massa” al Consiglio Comunale la richiesta di cittadinanza onoraria che nei prossimi giorni verrà redatta.