Il volto materno della chiesa? di B.Pavan

Beppe Pavan

Ho letto su La Stampa del 4 marzo un articolo firmato da Papa Francesco, che sembra rispondere alle suore di cui parlava un articolo su Il Manifesto del giorno prima, che riprendeva dal numero di marzo del mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo” una “strepitosa inchiesta sullo sfruttamento delle suore al servizio di uomini di Chiesa: preti, cardinali, maschi”. Ho cercato gli originali…

Quello del papa è, in realtà, la prefazione a un libro sulla vita del fondatore di un ordine religioso nato per dare assistenza sanitaria e collaborazione domestica alle persone e alle famiglie povere. Ma mi riesce stupefacente il nesso, anche temporale, tra questi due scritti.

A prima vista mi è parso di assistere a uno scambio di ruoli: l’Osservatore Romano è il quotidiano ufficiale del Vaticano, la casa-madre o, meglio, il regno di quei vescovi e cardinali che sfruttano il lavoro delle suore… siamo all’autocoscienza?05

Dall’altra Francesco, che mi aspetterei di vedere schierato al fianco delle suore contestatrici, viceversa mette in campo la sua paterna autorità – in forma, direi, paternalistica – per richiamare le suore a continuare ad incarnare quello spirito di servizio, di abnegazione e di “pura gratuità”, che le rende icone perfette della sottomissione femminile ai “padri”, i quali, mentre le riconoscono come “il volto materno della Chiesa”, autorizzano e giustificano se stessi a continuare a incarnarne il volto paterno, maschile e patriarcale.

L’articolo de Il Manifesto termina così: “Le religiose auspicano che la denuncia della povertà e della sottomissione a cui sono indotte sia «un’occasione per una riflessione sul potere» nella chiesa. E, va aggiunto, anche fuori”. E’ esattamente il tema e il nesso che cercheremo di affrontare nel corso del prossimo convegno europeo delle CdB, che si svolgerà a Rimini dal 21 al 23 settembre.

Non mi stupisco certo di questa scissione tra materno e paterno nella visione del papa. Mi capita spesso di ascoltare uomini e donne dissertare con convinzione sulla “parte femminile degli uomini” e sulla “parte maschile delle donne”, contribuendo così, a mio parere, a mantenere viva quella cultura che vuole prerogative femminili la dolcezza, la tenerezza, l’affettività, la compassione, il servizio… e prerogative maschili l’aggressività, l’assertività, lo spirito di comando, l’autoritarismo… e via distinguendo. A non comportarsi da “maschiaccio” o da “femminuccia” viene insegnato fin da subito a bambine e bambini, indirizzandole/i sulla strada “giusta”, quella della consolidata aspettativa sociale nei confronti dei due “generi”.

La Chiesa cattolica è dominata da una gerarchia di uomini che di questa cultura sono fieri paladini (spesso sessuofobi a parole, misogini e omofobi nei fatti): difficilmente accoglieranno l’invito a riconoscere valida e conveniente anche per sé l’appartenenza all’ordine simbolico della madre.

Eppure è possibile che anche gli uomini dichiarino morto il patriarcato, abbandonandone con consapevolezza e coraggio dividendi e privilegi. In tanti l’abbiamo già fatto.

Com’è stata mia moglie per me, così auguro che siano queste suore per tutti i maschi gerarchi della Chiesa cattolica: invito e stimolo quotidiano alla conversione, al cambiamento delle proprie modalità di vita. Cominciando dall’ascolto attento e rispettoso delle loro denunce: “Le suore di vita attiva sono vittime di una confusione sui concetti di servizio e gratuità. Sono viste come volontarie di cui si può disporre a piacere, il che dà luogo ad abusi di potere”.

Da questo ascolto potrà svilupparsi, a poco a poco, anche in preti, vescovi, cardinali e papi, la consapevolezza che donne e uomini sono “uguali in dignità e diritti”, come il mito di creazione di Genesi 1 ha tentato invano di suggerire.