Lettera a Maria di A.Guagliumi

Antonio Guagliumi
(CdB San Paolo – Roma)

(dopo aver letto “Generare Dio” di M. Cacciari)

Quale figlio ubbidiente di Santa Romana Chiesa sono tenuto a credere alla verità indubitabile e irreformabile, proclamata solennemente non molti anni or sono da un Augusto Pontefice, secondo cui Maria di Nazareth è stata assunta direttamente in cielo, anima e corpo.

Da questa sua lontananza non incolmabile, ella infatti ogni tanto nostalgicamente torna sulla terra per piangere sulle nostre infelicità e per proclamare alle folle attonite, miranti ai suoi occhi e alle sue labbra, semplici parole di commiserazione e di esortazione che ad onor del vero qualunque buon parroco potrebbe pronunciare durante l’ omelia della domenica o in confessionale.

Ma prima o poi, ne sono certo, la madre di Gesù comparirà davanti a un sinodo, o ad un affollato congresso biblico o a una conferenza episcopale per invitare innanzitutto i presenti all’umiltà e ad usare parole semplici che siano comprensibili a tutti, dotti e illetterati, e a lei per prima e poi per risolvere almeno qualcuno dei molti dubbi che dotti e illetterati pongono sulla sua persona, per esempio su suo marito e sui “fratelli” e “sorelle” di suo figlio.

Premesso quanto sopra, ritengo che nessuno oserà ironizzare sul fatto che io scriva alla suddetta Maria, l’”almà”, la giovane figlia di Israele, una semplice lettera. E, se sapessi, la scriverei in aramaico.

L’occasione, il casus belli, la provocazione che mi ha spinto a raccogliere le mie forze residue per mettere penna su carta e difendere l’integrità di Maria, in attesa che lei stessa intervenga, è il libretto di Massimo Cacciari “Generare Dio”; tuttavia ciò che sento di dover dire può valere per tutti gli scritti e per tutte le opere di coloro i quali, anziché lasciare questa povera ragazza alle sue speranze, al suo dolore e alla sua consolazione, la caricano di elucubrazioni e di intenzioni che mai le sono passate per la mente. Così facendo non solo commettono un falso per farsi belli loro, ma trascurano e soffocano quel poco che con buona approssimazione si può dire di lei, madre di vari figli e figlie di cui uno, probabilmente il primogenito, si rivelò molto diverso da quello che lei forse prevedeva e pensava e, dopo averle procurato molte sofferenze, riuscì soltanto alla fine a coinvolgerla nella sua opera di salvezza.

Poiché questo è il punto, cara Maria: possiamo attribuire a te tutto ciò che di bello o di brutto gli esseri umani hanno pensato su di te a partire da quando il cristianesimo ha cominciato a diffondersi alla grande oppure, nel contesto dell’annuncio e della testimonianza del tuo figlio Gesù, dobbiamo rivolgere lo sguardo riconoscente a te che ne fosti madre condividendo con te speranza, delusione, resurrezione? Ma tu, chi fosti?

Non metto in dubbio infatti che il sapiente Cacciari riesca magistralmente a leggere fino in fondo, con acume e sensibilità, ciò che i quadri (le icone) da lui ammirati dicono o suggeriscono di te interpretando a loro volta il bellissimo racconto di Luca. Ma, reso omaggio a quei grandi, peraltro figli del loro tempo e partecipi della loro cultura, forse non sarebbe stato fuori luogo che il maestro avesse riservato qualche pagina, o almeno fatto un rinvio, a ciò che gli studiosi della Bibbia ci dicono su di te. Che è poco, d’accordo, perché di te, rimanendo nell’ambito più autorevole degli scritti “canonici” si parla soprattutto nei vangeli, che sono scritti di fede e non di storia. Eppure anche in quei testi di fede qualcosa di storico traspare.

Certo, la ricerca si appunta soprattutto su Gesù; tu rimani sullo sfondo, necessaria sorgente della vita di tuo figlio “nato di donna” (Gal 4,4). E così sappiamo proprio dai vangeli che ti sei molto preoccupata, insieme ai tuoi figli, quando hai visto Gesù, che intanto era probabilmente diventato il capo famiglia visto che di tuo marito Giuseppe non si sa più nulla, lasciare la casa e la bottega per seguire, così ti hanno detto, un profeta che nel deserto della Giudea chiamava al pentimento e al battesimo i suoi concittadini in previsione del prossimo manifestarsi dell’ira di Dio. Ma con chi ti sei messo, figlio mio, che facevi tanto bene sperare quando ancora fanciullo, qui, in sinagoga, facevi domande curiose e intelligenti? ( Mc 6,3). Hai saputo poi che, dopo la morte di Giovanni Battista, ha continuato a predicare l’imminente avvento di un Regno di Dio, spostandosi dal deserto nella sua Galilea, ma dando nel contempo fiducia e speranza ai poveri e ai derelitti. Hai saputo anzi che faceva segni mai visti fare a Giovanni. Che si metteva contro i dottori della legge e i potenti farisei, che frequentava persone di cattiva fama. E ti rivolgevi a Giacomo, il più grande e il più riflessivo dei figli rimasti, che ti diceva di attendere. Attendere? Attendere cosa se l’unica volta che è venuto a Nazareth non è nemmeno venuto a salutarti? E poi hai visto come l’hanno accolto! E i suoi discepoli che pensavano mi avesse rivelato chissà che, io li interrogavo e loro ne sapevano meno di me.

Ah, Maria, se un angelo fosse veramente venuto da te, se Giuseppe non ti avesse mai toccata, e tu avessi concepito e partorito tuo figlio miracolosamente, se schiere di angeli avessero circondato la sua culla quasi elevandola al cielo, se poveri pastori fossero venuti ad adorarlo, ti saresti risparmiata queste angosce e questi dolori, anzi avresti potuto essere di aiuto ai suoi discepoli anche loro vaganti nelle ombre del dubbio. “Chi dice la gente che io sia? “ ”E voi, voi chi dite che io sia?”
Risposte varie, incerte, eccessive. Se un angelo ti fosse apparso sin dall’inizio e ti avesse preannunciato ciò che poi avvenne (salvo la croce) non ti saresti meravigliata che a 30 anni se ne fosse andato di casa, ma piuttosto lo avresti sollecitato tu a fare quello che ti era stato preannunciato – diventare segno di salvezza e di contraddizione in Israele – già quando ne aveva 20 o 25, che per quei tempi era già un’età adulta. Ma purtroppo l’angelo nulla ti disse, e tu hai dovuto soffrire, temere, sperare, accompagnarlo alla croce, e risorgere con lui assieme ai suoi discepoli e alle sue discepole.

Scusaci, Maria, se invece di soffrire con te le sorprese e le angosce che questo figlio ti ha procurato e vivere con te il suo strazio e la sua resurrezione, ora andiamo dicendo che già tutto sapevi fin dall’inizio, eccetto la croce, ma già del trionfo. Scusa se ti abbiamo divinizzata, fatta quasi corredentrice alla pari di Gesù. Abbiamo replicato di te, della quale non abbiamo uno straccio di descrizione, una miriade di icone che ti rappresentano, violando l’antico divieto di Mosè. Ti abbiamo fatta d’oro e d’argento come gli antichi dei, come l’Artemide efesina cui le donne pagane affidavano le loro sofferenze e i loro dolori riguardo alla fecondità e ai figli. Ai poveri uomini e alle povere donne non è più annunciata la buona novella della liberazione, ma la tua immagine sorridente o addolorata, perché si consolino. E intanto ribaldi e mafiosi confidano in te, non per convertirsi, ma per sentirsi protetti, loro che vendono la protezione a caro prezzo. E intanto filosofi e teologi intessono lunghe elucubrazioni su di te e finiscono col confonderti sempre più nel fumo delle fantasie. Più ti moltiplicano e meno ti si vede.

Ma forse, se accettiamo anche noi che i nostri figli e le nostre figlie ci lascino; che vadano soli o con amici inattesi sulle strade del mondo, a incontrare nuovi fratelli e nuove sorelle o a reincontrare antichi fratelli e sorelle fatti nuovi , forse allora anche noi, lasciate le ingannevoli certezze, ti conosceremo meglio. Diceva il mio caro Maestro Giuseppe Barbaglio che più si approfondisce l’umanità di Gesù, più risplende la sua divinità. Solo essendo vero uomo, egli può essere vero Dio. Così, mi sento di dire che solo accettando fino in fondo la tua femminilità, il tuo vissuto di donna tra le donne, possiamo sperare di giungere anche noi a intravvedere una via di riscatto e di salvezza, per le donne innanzitutto e poi per l’umanità “nata di donna”.