Sinodo e donne – adista.it

a cura di Ludovica Eugenio
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Sinodo e donne/9. Comité de la Jupe: l’ordinazione dei viri probati allontana il diaconato femminile

«Cosa pensare delle notizie del Sinodo? Si può dire che il “dossier” delle donne avanza ma che bisogna continuare a essere molto vigili rispetto agli accenti che verranno messi sulle varie proposte del testo finale. In effetti, l’ordinazione al sacerdozio dei diaconi permanenti allontana le donne dal diaconato in questa forma». Lo scrive, in un post su Facebook, il Comité de la Jupe (“Comitato della gonna”), movimento nato dall’esigenza di vedere riconosciuta pari dignità alle donne nella Chiesa cattolica, fondato da Christine Pedotti e Anne Soupa. «In effetti, Benedetto XVI, nel 2009, aveva chiarito che il diaconato permanente non era più direttamente collegato al sacerdozio. Il servizio ha un ruolo centrale rispetto al sacerdozio e all’episcopato, dove l’autorità di Cristo è centrale. 

Questa affermazione permetteva di coinvolgere le donne ma ancora con molte difficoltà. Ora che questo collegamento si sta ricostruendo, sarà necessario inventare un altro “diaconato” per le donne. Si rischia di concepirlo come un ministero “laicale” gerarchicamente posto sotto i sacerdoti e senza la dimensione della trasmissione dei sacramenti. Nello stesso ordine di idee 1) il papa ha recentemente suggerito di allontanare i diaconi dall’altare. Torneranno quando diventeranno “viri probati” – sacerdoti sposati; 2) Il lettorato, che rimane simbolicamente legato al sacerdozio, resta inaccessibile alle donne. Il papa ha recentemente suggerito di creare un altro ministero laico della lettura della parola per aggirare questo ostacolo. In breve, vedremo le donne entrare nei ministeri autorizzati a trasmettere i sacramenti o verrà solo riconosciuto ciò che le donne stanno già facendo come laiche?».

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Sinodo e donne/8. Donne per la Chiesa: il documento finale enfatizza una discriminazione

Come Donne per la Chiesa abbiamo seguito il Sinodo appena concluso con grande attenzione, nella preghiera e nella mobilitazione, grate che la Chiesa abbia scelto l’Amazzonia e la sinodalità per rispondere alle sfide del nostro tempo, anche se convinte che l’impossibilità per le madri sinodali di partecipare alle votazioni abbia rappresentato un vulnus nell’intero processo. Il documento finale che è stato reso noto nei giorni scorsi parla di una Chiesa che vuole con tutte le sue forze porsi dietro ai passi del Maestro, scegliendo i poveri e facendo proprio il loro volto: volto indigeno, campesino, afrodiscendente, migrante.

Ci lasciamo toccare profondamente dall’ammissione che “spesso l’annuncio di Cristo è stato fatto in collusione con i poteri che hanno sfruttato le risorse e oppresso le popolazioni. Attualmente, la Chiesa ha l’opportunità storica di differenziarsi dai nuovi poteri colonizzanti ascoltando i popoli amazzonici per poter esercitare la loro attività profetica con trasparenza” e ci sentiamo chiamate anche individualmente, come madri, mogli, amiche, educatrici, docenti, professioniste ad “agire di fronte a una crisi socio-ambientale senza precedenti” con “una conversione ecologica”. Nella gratitudine per il cammino sinodale compiuto, un solo punto ci lascia amareggiate e riguarda proprio le donne. 

Ancora una volta a grandi proclami sulla necessità che la donna “assuma più fortemente la sua leadership all’interno della Chiesa” e al riconoscimento della “ministerialità che Gesù ha riservato alle donne” non fanno seguito passi concreti. Da un lato si chiede esplicitamente che uomini sposati di provata fede ed esperienza, in particolare gli attuali diaconi permanenti, possano accedere all’ordinazione presbiterale; invece per le donne si domanda l’invenzione di un ministero “ad hoc”, quello delle leader di comunità, che non fa che enfatizzare una discriminazione. I ministeri ordinati e in particolare il diaconato restano inaccessibili alle donne, senza considerare che se è vero che lo Spirito soffia dove vuole, la vocazione al servizio ministeriale può e di fatto raggiunge anche le battezzate. L’instrumentum laboris conteneva una coraggiosa proposta di cambiamento nella visione dell’evangelizzazione, ma il documento finale sembra più connotato da calcoli di necessità (riguardo ai viri probati) e prudenza (riguardo alle donne). 

Ora si rimanda a ulteriori lavori della commissione sul diaconato istituita nel 2016 e questo nonostante molti vescovi e almeno un circolo minore si fossero espressi chiaramente per la sua restituzione. Parliamo di restituzione perché le evidenze storiche del diaconato delle donne sono molteplici e altrettante sono le esigenze concrete da parte delle comunità, soprattutto in Amazzonia. Eppure non basta. Quando si tratta delle donne sembra che non ci siano mai abbastanza ragioni per rompere il muro della diseguaglianza, come se il comune Battesimo non fosse sufficiente. Non si riesce a credere che la dignità delle donne stia davvero a cuore alla Chiesa, quando si teme di condividere il ministero, facendone di fatto un privilegio maschile.

È di pochi giorni fa la notizia che in Italia ormai le donne stanno lasciando la pratica religiosa più degli uomini, così avviene anche in altri paesi dell’occidente, e questo in gran parte per il mancato riconoscimento di uno status paritario. Speravamo che “dalla fine del mondo” e grazie alle nostre coraggiose sorelle dell’Amazzonia, arrivasse un vento nuovo anche per noi, il vento fresco della corresponsabilità e del camminare insieme, le une accanto agli altri. Così non è stato, una ennesima occasione mancata. E a quanti ci dicono che occorre pazientare rispondiamo che etimologicamente la pazienza rimanda a una situazione patologica, malata, che provoca sofferenza. Una situazione dalla quale è legittimo desiderare di uscire.

Amando la Chiesa, continuiamo anche a interrogarla: perché una Chiesa che non riconosce uguale dignità ai propri figli e figlie, inesorabilmente perde di credibilità quando si appella al riconoscimento della dignità dei popoli e del creato.

Donne per la Chiesa

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Sinodo e donne/7. Cristina Simonelli (CTI): il documento finale è solo una tappa

Il Sinodo dei vescovi sulla regione panamazzonica è giunto a una tappa importante: la “conclusione” con un documento finale approvato con larga anche se diversificata maggioranza (qui una sintesi in italiano). Vi risuona la forza di una Chiesa che prende parola per la terra e per i poveri, contro ogni ingiustizia, “con” le popolazioni indie e afrodiscendenti non “per” loro. Molto più moderato l’aspetto ecclesiale e ministeriale, sulla ordinazione di uomini sposati al presbiterato e sui diversi ruoli di leadership delle donne, ordinate o meno. Per questo è importante tenere presente l’intero percorso, prima e durante l’assemblea sinodale. E sapere che è solo una tappa, verso altro.

Aver pensato di usare il Sinodo dell’Amazzonia – come spesso si è chiamato in termini abbreviati –per risolvere problemi ministeriali e alleggerire zavorre della Chiesa cattolica tutta è stato un atteggiamento in primo luogo ingenuo e – mi rendo conto meglio adesso, a percorso parzialmente concluso – ingiusto. In fondo, una sorta di estrattivismo ecclesiale e teologico, uno sfruttamento cioè del coraggio e delle difficoltà di quelle chiese per poter discutere quello che la vecchia Europa sembra voler lasciare al disagio comune ma inespresso o a piccoli gruppi che possono essere considerati velleitari (come noi teologhe o varie associazioni di donne cattoliche). 

Intanto sarebbe un porre le questioni tipicamente legate alla gestione delle comunità al primo posto, ignorando che specie in Amazzonia donne e uomini delle Chiese vivono nella carne nel cuore nella mente l’urgenza posta dal grido della terra, dallo sfruttamento delle foreste, dal disastro dell’ecosistema, che in Europa è ancora istanza prevalentemente intellettuale ed elitaria, anche se in progressivo miglioramento (si vedano ad esempio le comunità e l’associazione Laudato si’).

Non si può dunque tralasciare tutto questo e leggere il Sinodo solo a partire dagli ultimi numeri, legati alla conversione ecclesiale (Capitolo V: Conversione sinodale). È comprensibile tuttavia che sia alto l’interesse per i paragrafi dedicati alla conduzione delle comunità, alla leadership e in generale alla teologia e alla disciplina dei ministeri ordinati, per gli uomini e le donne.

È precisamente a questo punto tuttavia che si impongono alcune precisazioni, già anticipate all’inizio: il cammino sinodale in generale e questo in specie è molto, ma molto, di più della assemblea dei vescovi in senso stretto e del documento finale che ne è uscito. C’è stato un lavoro di scambi e consultazioni capillari e attente, confluito anche, non solo, nella Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM) e poi nei dibattiti dei nei circoli minori. C’è stata cioè una sinodalità in atto, di uomini e donne, teologhe e teologi oltre i vescovi, che già è quel liderazgo, quella leadership a disposizione di tutti che già esiste e che il documento finale chiede venga riconosciuta.

Per questo giustamente la stampa diffonde anche tanti interventi di donne, laiche e religiose, ma non è proprio il momento di dividersi su questi aspetti, che sono parte importante di questo Sinodo, di ciò che è stato e di ciò che ancora sarà. Per ciò che riguarda le donne, ad esempio, l’affermazione netta che esse rappresentano l’80% di chi opera la pastorale non può essere disattesa, semplicemente: ne risponderemo alla storia. Certo questo aspetto coinvolge la struttura stessa del Sinodo, che è formalmente dei vescovi e che non c’è dubbio chieda una riflessione, spesso presentata nella forma civile della richiesta di voto per le superiore generali. La questione può essere affrontata da punti di vista diversificati, ovviamente, ma l’anomalia che segnala non deve essere semplicemente archiviata.

Per tutti questi motivi ritengo che non si debba individuare la conversione sinodale solo nella lettera del documento, in ciò che c’è scritto, ma occorra leggerla attraverso di esso. Leggere solo nel documento infatti lascerebbe l’impressione di una cosa limitata: tante giustificazioni e lodi al celibato ecclesiastico del (solo, mi permetto di sottolineare) clero cattolico latino, da dove nascono? Perché ordinare uomini sposati – secondo l’antica e veneranda tradizione della Chiesa indivisa e secondo la prassi delle altre Chiese – dovrebbe chiedere tante precauzioni? Non è un matrimonio obbligatorio: perché dovrebbe porre in discussione il libero carisma del celibato?! O abbiamo paura di eliminare le gerarchie spirituali, una sorta di concorso a punti tra stati di vita? 

Nello stesso modo, la richiesta di forme non ordinate di leadership delle donne, letta in Europa può sembrare riduttiva, analogamente alla richiesta di “ammettere” le donne ai ministeri istituiti di lettorato e accolitato, che di fatto svolgono ovunque, e che sembra un “minimo sindacale”. Evidentemente tuttavia (visti anche i voti ricevuti dai singoli passaggi) le resistenze sono alte e di altro tipo, come si è più volte detto: è riduttivo pensarle unicamente sul piano del diritto canonico.

In questo quadro si colloca anche la sensatissima richiesta di avere accesso ai documenti della Commissione che ha già lavorato sull’ordinazione diaconale delle donne (n. 103). Prima di farne un’altra, discutiamo pubblicamente di quella, magari. In tutti questi casi e per tutti questi aspetti, appunto, l’importante documento che è stato approvato, è un’area di sosta, una transizione importante, che ha alle spalle molto cammino e al suo interno molte voci plurali, che non finiscono certo adesso. Con gratitudine per chi ha percorso intanto questa via, proseguiamola con dedizione e speranza, per la Chiesa e la terra.

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Sinodo e donne/6. Women’s Ordination Worldwide: donne trattate come una categoria a parte

Anche Women’s Ordination Worldwide (WOW), rete ecumenica di gruppi nazionali e internazionali che dal 1996 è impegnata sul fronte dell’accesso al sacerdozio per le donne, esprime la propria delusione per il documento finale del Sinodo panamazzonico, pur dicendosi «non del tutto scioccata nell’apprendere che il Sinodo dell’Amazzonia ha concluso che alcuni uomini sposati riceveranno il via libera per essere ordinati sacerdoti mentre il ministero delle donne rimarrà emarginato e richiederà ulteriori studi». «Ci viene detto – si legge nel comunicato del 27/10 – che l’apertura dell’ordinazione di uomini sposati nella regione amazzonica è un riconoscimento della leadership sacramentale che emerge dalla comunità. 

Ma la comunità ecclesiale comprende anche le donne e sono le donne che sono attualmente presenti nella maggior parte dei ruoli ministeriali e sono già riconosciute come leader dalle persone che servono». Perché, si chiede WOW, la Chiesa «deve riaprire una commissione sul diaconato femminile quando le prove storiche della sua esistenza sono abbondanti e la vocazione diaconale per le donne, anche all’interno della sala del Sinodo, è assolutamente chiara»? Perché la Chiesa deve creare nuovi ministeri per le donne, trattando così le donne «come un sottogruppo che richiede percorsi eccezionali e categorie distinte, senza confrontarsi con il fatto che le donne vivono già vocazioni sacerdotali e diaconali e dovrebbero essere ordinate»? 

Questa «palese disparità nel trattamento delle vocazioni e del ministero maschili e femminili – prosegue WOW – è un rafforzamento del pregiudizio secolare ed è un duro colpo per la maggioranza dei cattolici che ha osato sperare che questa volta avrebbe potuto essere diverso»; «L’aggiunta di uomini sposati al ministero sacramentale in Amazzonia spingerà ulteriormente da parte le donne, delle quali il Sinodo ha riconosciuto il lavoro. Ciò rafforza il pregiudizio e esprime la sostituzione delle donne, la cui leadership spirituale sarà sacrificata nel nome di Dio, ma nell’interesse degli uomini».

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Sinodo e donne/5. Women’s Ordination Conference: l’ordinazione dei viri probati emargina ancora di più le donne

La Women’s Ordination Conference (WOC), organismo impegnato sul fronte dell’ordinazione sacerdotale delle donne fin dal 1975, in un comunicato del 26/10 «accoglie con favore l’annuncio di papa Francesco secondo cui la commissione di studio sui diaconi delle donne sarà convocata di nuovo in risposta alla discussione sulle diaconi delle donne nel sinodo panamazzonico»; «speriamo che l’ascolto approfondito delle valide vocazioni delle donne continui ai massimi livelli della Chiesa in modo che i membri della gerarchia possano finalmente comprendere le esigenze del Vangelo: Gesù ha affidato la “ministerialità” alle donne, come osserva il documento finale, e noi dobbiamo fare lo stesso oggi, ordinando le donne al diaconato e al sacerdozio».

La WOC mette in discussione il prolungato “studio delle donne”, in particolare alla luce della difficoltà di celebrare sacramenti in Amazzonia e in molte regioni del mondo e dei «ripetuti appelli a ministeri ordinati per le donne» lanciati durante il Sinodo: «Come ha affermato il cardinale Michael Czerny alla conferenza stampa vaticana sul documento finale, “Non possiamo continuare a ripetere vecchie risposte a problemi urgenti e aspettarci di ottenere risultati migliori». Da questo punto di vista, osserva la Woc, «l’ordinazione di uomini sposati non è una soluzione, ma una misura che marginalizza ulteriormente le vocazioni e i doni delle donne»; «Nello spirito di conversione richiesto nel documento sinodale, esortiamo la gerarchia a non aver paura di seguire un nuovo percorso che renda le donne pari agli uomini». 

Le donne, prosegue la Woc, «sono l’avanguardia della Chiesa, trovando sempre una soluzione in situazioni apparentemente impossibili. Sono l’avanguardia del movimento ambientalista, riconoscono che quando l’ambiente soffre, sono le donne e i bambini – specialmente quelli poveri – a soffrire di più». È dunque necessario, ora, «che la Chiesa non solo riconosca la leadership delle donne, ma trasformi le sue istituzioni per onorare la loro leadership in modo sacramentale. Le crisi nel nostro mondo e nella nostra Chiesa non meritano nulla di meno».

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Sinodo e donne/4. Marinella Perroni : «Un unico diaconato per uomini e donne»

«Il Sinodo sull’Amazzonia dimostra che non si possono più chiudere le porte alle donne, le pressioni per assegnare loro finalmente dei veri e propri ministeri ecclesiali hanno fatto presa sui vescovi. La tendenza, però, è, almeno in parte, quella di un’apartheid di genere, con la creazione di incarichi specifici solo per le fedeli e senza esercizio di autorità». Lo ha affermato, in un’intervista a Giovanni Panettiere su quotidiano.net (28/10), la biblista Marinella Perroni, docente emerita di Nuovo Testamento al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e fondatrice del Coordinamento delle teologhe italiane.

Sulla volontà di papa Francesco di riaprire i lavori della Commissione ad hoc sul diaconato femminile, Perroni osserva che «si tratta di una via d’uscita possibile di fronte a un problema che deve essere apparso in tutta la sua evidenza. Mi sembra positivo, così come lo è il fatto che il gruppo di lavoro si arricchirà di nuovi membri», anche se «il rischio che si ripiombi in una fase di stallo c’è sempre. La Chiesa va avanti lentamente, ma alla fine va avanti. Se la commissione assumerà la diagnosi del documento finale dell’assemblea e avrà le giuste competenze anche in storia della teologia, andrà avanti».

A fronte della creazione del ruolo di coordinatrice di comunità, la teologa si dice «perplessa, quando si creano uffici specifici per le sole donne. Se questa forma di ruolo è importante per la Chiesa in Amazzonia, perché non deve riguardare sia maschi, sia femmine? Il fatto che, in sette casi su dieci, a ricoprirlo alla fine sarebbero delle donne, perché è tale la percentuale femminile sul totale degli operatori pastorali in quel contesto ecclesiale, non giustifica una simile scelta. Una strategia per farle entrare le cattoliche dalla finestra visto che la porta è sbarrata? Possibile, ma mortificante».

In generale Perroni diffida di incarichi pensati per sole donne: «È vero che per il Codice di Diritto canonico gli uffici ordinati sono esclusivamente maschili, ma la Chiesa latina, e nemmeno tutta, ci ha messo secoli e secoli per riconoscersi in questa disciplina. Un “diaconato femminile” rischia di portarci fuori strada. Si dovrebbe ragionare su un unico diaconato di diaconi e diacone. Le resistenze sono comprensibili, e possono anche portare a far nascere nuove forme di ministero per rispondere alle necessità attuali. Non però a incarichi per sole donne».

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Sinodo e donne/3. DignityUsa: ancora molto da fare per affermare la dignità di ogni essere umano

Il documento finale del Sinodo panamazzonico è «un mix di cose diverse», ha affermato Marianne Duddy-Burke, direttrice esecutiva di DignityUSA, organizzazione di cattolici impegnata per l’uguaglianza, la giustizia e la piena inclusione di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (LGBTQI) nella Chiesa e nella società, fondata 50 anni negli Stati Uniti. Se è lodevole l’impegno a proteggere un’ecologia sotto assedio e il rispetto per le popolazioni e le culture indigene, la volontà di rendere più accessibili i sacramenti della Chiesa e l’influenza che le persone più coinvolte in questi problemi hanno avuto nel Sinodo, Duddy-Burke esprime tuttavia profonda preoccupazione per il perpetuazione dell’ingiustizia nei confronti delle donne e delle persone LGBTQI. 

Salutando con soddisfazione il riconoscimento del fatto che le attuali politiche della Chiesa privano troppi cattolici dell’accesso regolare ai sacramenti e la raccomandazione del Sinodo di aprire il sacerdozio ad alcuni uomini sposati, DignityUSA ribadisce che la chiamata di Dio a servire la Chiesa non deve essere limitata da età, sesso, orientamento sessuale o stato civile o affettivo, ed è lieta di «vedere le autorità della Chiesa aprire una finestra».

Ciononostante, ha affermato Duddy-Burke, «il fatto che le donne abbiano avuto voce ma nessun voto e che le donne che stanno già servendo le comunità cattoliche in tutta l’Amazzonia non sono state accolte nel ministero ordinato perpetua l’ingiustizia. Il servizio e la leadership delle donne dovrebbero avere lo stesso status di quelli delle loro controparti maschili. Questo è stato un vero fallimento del Sinodo».

Duddy-Burke ha anche osservato che le persone LGBTQI hanno sperimentato una continua esclusione nel documento. «Il palese tentativo di vietare il sacerdozio agli omosessuali attraverso il requisito che solo gli uomini sposati con “una famiglia legittimamente costituita e stabile” siano considerati per l’ordinazione è estremamente deludente», ha detto. «Continuiamo ad essere emarginati e l’abbraccio di Dio alla nostra comunità è negato dalla Chiesa».

«Ci sono segni di speranza per la nostra Chiesa e il mondo in questo incontro e nel documento finale», ha concluso. «Tuttavia, è anche chiaro che la nostra Chiesa ha ancora molta strada da fare prima di riconoscere e celebrare veramente la dignità di ogni essere umano, indipendentemente dal genere, dall’identità di genere o dall’orientamento sessuale. Quindi il nostro lavoro continua».

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Sinodo e donne/2. Deborah Rose-Milavec (FutureChurch): l’infinito travaglio del ministero femminile

Ho avuto sorelle e amiche che hanno avuto travagli durati lunghe ore. Una delle mie amiche è stata in travaglio per 48 ore. Era completamente sfinita al momento del parto. Ma il travaglio più lungo registrato fino ad oggi è stato di 75 giorni! Una donna polacca che perse uno dei suoi tre gemelli, riuscì a mantenere in vita gli altri due bambini tenendo i piedi sopra la testa per 75 giorni fino a quando i bambini potevano nascere, in modo sicuro. Penso che la maggior parte delle madri faccia tutto ciò che deve fare per portare un bambino al sicuro in questo mondo e per tenerlo al sicuro dopo la nascita.

Stasera nella sala stampa, mentre leggevo il documento finale, ho sentito le fitte di un travaglio che è andato avanti all’infinito, così a lungo per così tante donne e i loro alleati. Non c’è dubbio che con questo sinodo siamo entrati in una nuova fase nella realizzazione dei ministeri delle donne e in particolare del diaconato. Al sinodo sulla famiglia del 2015, l’arcivescovo Andre Durocher ha chiesto di aprire la discussione sulle donne diaconi. Nel 2016, l’UISG ha spinto Papa Francesco ad agire sulla questione studiando la possibilità. Nel maggio 2019, Papa Francesco ha consegnato un rapporto che ha deluso molti dicendo che non c’era abbastanza consenso per andare avanti.

Ci siamo buttate in questo sinodo. A differenza di qualsiasi sinodo precedente, c’era una maggioranza – donne religiose, donne e uomini indigeni e vescovi – che sostenevano con forza non per ulteriori studi, ma di ordinare diaconi le donne che stanno già fornendo un ministero diaconale nei loro villaggi. Quindi, quando il paragrafo 103 (il secondo paragrafo più controverso del documento con un voto da 137 a 30) ha richiesto ulteriori studi, avrei voluto dire con lacrime alle mie sorelle che sono piene di fede e che hanno atteso così a lungo, “Quanto ancora durerà questo infinito travaglio? “

Il paragrafo recita:

Nelle numerose consultazioni condotte in Amazzonia, il ruolo fondamentale delle religiose e dei laici nella Chiesa dell’Amazzonia e delle sue comunità è stato riconosciuto e sottolineato, dati i molteplici servizi che forniscono. In tante di queste consultazioni, è stato richiesto il diaconato permanente per le donne. Per questo motivo il tema era importante durante il Sinodo. Già nel 2016, Papa Francesco ha creato una “Commissione di studio sul diaconato delle donne” che, come commissione, ha raggiunto un risultato parziale basato su come era la realtà del diaconato femminile nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni per l’oggi. Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attendere i suoi risultati (103).

Mentre questo significa che l’ordinazione al diaconato permanente è ancora in gioco, ci sono anche motivi per essere preoccupati. Il prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Luis Ladaria Ferrer SJ, è stato a capo di questa commissione. Ha un ruolo importante in ciò che accade. È stato nominato nel 2017 per cinque anni, quindi riaprire la commissione si tradurrà in successo solo se avremo la nopstra Phyllis Zagano lì, ma anche una nuova infusione di teologi e vescovi della regione amazzonica e di altre regioni in cui l’ordinazione femminile è benvenuta . Altrimenti, una riapertura comporterà probabilmente un altro stallo e attesa.

Inoltre, l’articolo 111 (il più controverso nel documento con un voto da 128 a 41) apre le porte al sacerdozio per gli uomini sposati nella regione amazzonica e forse per la chiesa più ampia. Sebbene ciò sia motivo di gioia perché apre la porta a un sacerdozio più inclusivo, questo, di per sé, potrebbe anche rivelarsi un nuovo ostacolo all’ordinazione delle donne diaconi poiché nella pratica saranno i diaconi permanenti che saranno considerati per primi per questa ordinazione poiché sono “viri probati”.

Il paragrafo 111 recita:

Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia. a volte ci vogliono non solo mesi ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della riconciliazione o ungere i malati nella comunità. Apprezziamo il celibato come un dono di Dio (Sacerdotalis Caelibatus, 1) nella misura in cui questo dono consente al discepolo missionario, ordinato al sacerdozio, di dedicarsi pienamente al servizio del Santo Popolo di Dio, stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni a vivere il sacerdozio celibe. Sappiamo che questa disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio … sebbene abbia molte ragioni di praticità” (PO 16). Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, San Paolo VI ha mantenuto questa legge e ha esposto le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la sostengono. Nel 1992, l’esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina (PDV 29). Considerando che la legittima diversità non danneggia la comunione e l’unità della Chiesa, ma la esprime e serve (LG 13; SO 6) che testimonia la pluralità di riti e discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni sulla parte dell’autorità competente, nell’ambito di Lumen Gentium 26, di ordinare sacerdoti adatti e stimati uomini della comunità, che hanno avuto un proficuo diaconato permanente e ricevono una formazione adeguata per il sacerdozio, con una famiglia legittimamente costituita e stabile, sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle aree più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni erano a favore di un approccio più universale all’argomento.

Questa pratica, a tutti gli effetti, paralizza un’argomentazione chiave che è stata una pietra miliare per il caso delle donne diaconi: l’argomento e la realtà secondo cui il diaconato permanente è un ministero separato dal sacerdozio. La pratica attuale offusca la distinzione poiché sono i diaconi permanenti sposati che saranno considerati per primi per questo nuovo percorso verso un sacerdozio sposato. Per gli uomini di chiesa che vogliono tenere a bada l’ordinazione delle donne al sacerdozio, ciò fornirà un’altra “ragione” per scartare l’idea dell’ordinazione delle donne al diaconato permanente.

Papa Francesco ha concluso il sinodo questa sera con alcune osservazioni sulle donne: “Il documento finale non riesce a esprimere il valore reale che le donne hanno all’interno della Chiesa e il loro ruolo nella trasmissione della fede. Dovrebbero essere presenti nelle commissioni, ma il ruolo delle donne nella Chiesa va molto più lontano della loro funzione”. Durante il travaglio, c’è un modo di respirazione che consente di superare le contrazioni, di passare da un momento doloroso a quello successivo. Sono diventata piuttosto brava in questo particolare schema di respirazione come madre di cinque figli. E quando si tratta di aprire le porte al ministero e al governo per tutte le mie sorelle cattoliche, non c’è niente che io desideri offrire di più. Siamo un corpo, il Corpo di Cristo, donne e uomini insieme, incinta di una nuova vita … nuovi modi di essere donne in chiesa … di essere chiesa insieme.

I nostri dolori sono acuti e le contrazioni sono forti. Siamo pronte a partorire nuove forme di ministero per le donne! Siamo pronti a consegnare il diaconato! Il voto! Il sacerdozio! La governance! Il cardinalato! L’autorità! Il processo decisionale! Il papato! E stiamo insieme, respirando, a volte gridando quando il dolore è grande, fino a quando non nascerà questa nuova vita.

Deborah Rose-Milavec

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Sinodo e donne/1. Voices of Faith: nessun passo concreto

Il Sinodo sull’Amazzonia ha rappresentato« un’occasione meravigliosa per ascoltare le voci e le esigenze dei cattolici» e una promessa di «di rinnovamento concreto per l’intera Chiesa cattolica». Se molte questioni importanti sono state discusse durante il Sinodo, delle quali il documento finale dà conto, «c’è un’eccezione importante: il coinvolgimento delle donne nel ministero della Chiesa». Lo sottolinea in un comunicato stampa l’organismo Voices of Faith, promotore, il 3 ottobre scorso, di un evento a Roma, alla vigilia dell’apertura del Sinodo, intitolata significativamente “And you sister… What do you say?” (E tu sorella, cosa dici?), che ha visto la partecipazione soprattutto di religiose arrivate da ogni parte del mondo per testimoniare la loro esperienza di esclusione e il proprio impegno per il futuro della Chiesa (v. Adista Notizie n. 35/2019; Adista Segni Nuovi n. 36/2019; Adista Documenti n. 37/2019). 

È vero che il documento sinodale chiede nuovi ruoli di leadership per le donne nelle Chiese locali, ma «non propone alcun passo concreto», sebbene «la storia e la legge abbiano fornito prove dell’esistenza del diaconato femminile. Non sarebbe necessaria alcuna ulteriore discussione al riguardo, solo una semplice implementazione dall’alto». Delusione, dunque, per il fatto che il tema del diaconato femminile non sia entrato – come era stato invece anticipato dal Tablet – nel documento finale: perché? «I risultati del Sinodo – prosegue Voices of Faith – mostrano quanto sia difficile per la leadership della Chiesa comprendere appieno la prospettiva dell’esperienza femminile.

La maggioranza dei partecipanti ha votato che “uomini idonei e riconosciuti” possono essere consacrati, anche se hanno una famiglia. Purtroppo, l’interpretazione delle donne di questo passo è che esse non possiedono questi meravigliosi “criteri che dimostrino la virtù”. Ciò è inaccettabile ed è un affronto per le donne in Amazzonia che già prestano il loro servizio come diacone e sacerdoti e per le donne di tutto il mondo che hanno continuato a servire fedelmente la Chiesa, ma non sono riconosciute». «Alle donne del Sinodo non è stato concesso il diritto di voto. Il nostro messaggio è chiaro: come possiamo aspettarci l’inclusione dell’esperienza femminile in Amazzonia, se queste esperienze non vengono prese sul serio nella struttura del sinodo stesso? Oggi dobbiamo constatare come l’esperienza quotidiana, coraggiosa e dedicata delle donne che servono la Chiesa e che svolgono il lavoro dei diaconi da molti anni non sia stata presa sul serio».

Quanto al diaconato femminile e alla volontà di papa Francesco di riaprire i lavori della Commissione ad hoc dopo il nulla di fatto con cui si erano conclusi, quest’ultima, afferma Voices of Faith, «ha avuto il tempo di ricercare e interpretare le prove storiche e il loro significato teologico e ha presentato il rapporto riassumendo il giudizio comune e le opinioni personali di ciascun membro della commissione. Sebbene non abbiano formulato una risposta definitiva, sembra che siano state raccolte tutte le prove storiche necessarie per la decisione. Il rapporto è stato consegnato alle rappresentanti dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), ma non è mai stato reso disponibile al popolo di Dio. Oggi i cattolici di tutto il mondo pongono la semplice domanda: perché abbiamo bisogno che la commissione ripeta il lavoro che è già stato fatto?».

Di fronte alla mancanza di un «reale cambiamento o speranza per la leadership delle donne e i ruoli decisionali nella Chiesa cattolica dell’Amazzonia, dobbiamo ripetere ancora una volta che non rimarremo in silenzio. Le strutture di potere nella Chiesa sono modellate sulla mentalità patriarcale e sulle forme storiche di potere conosciute dalle società feudali europee. Escludere la voce delle donne nei processi decisionali è ingiusto e va contro il messaggio fondamentale del Vangelo, in cui tutte le figlie battezzate e i figli di Dio sono una cosa sola e alla pari. Escludere la voce delle donne non consente alla Chiesa di prendere sul serio le loro esperienze e vocazioni.

Nessun bisogno, pertanto, di Non abbiamo bisogno di «ripensare al ruolo speciale delle donne nella Chiesa, dobbiamo solo essere finalmente trattate con la piena dignità di membri battezzati della nostra comunità».