In casa dei gesuiti si cerca la pace tra Darwin e la Chiesa

di Alessandro Speciale
in “Liberazione” del 5 marzo 2009

Il mistero della vita. E’ un’espressione che abbiamo sentito ripetere spesso in queste ultime
settimane. Un mistero – ci è stato detto – di fronte al quale l’uomo deve arrestarsi rispettoso, perché
la vita è un dono che a noi tocca soltanto di conservare e proteggere. Non certo indagare, curare, a
volte addirittura rifiutare.
Potrà sembrare strano, allora, che sia proprio la Chiesa cattolica a organizzare un imponente
convegno internazionale sulla teoria scientifica che spiega il mistero della vita in termini di
mutazioni contingenti e selezione naturale, di caso e necessità, in una dinamica tutta intramondana
che non postula – né ne ha bisogno – nessuna finalità ultima, nessun “Amor che move il sole e l’altre
stelle”, nessun Dio.
La scelta è sicuramente audace: quattro giorni di confronto tra scienziati, filosofi e teologi per
discutere di “Evoluzione biologica. Fatti e teorie. Una valutazione critica 150 anni dopo L’origine
delle specie “, nella sede della Pontificia Università Gregoriana, storico ateneo dei gesuiti, sotto
l’alto patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura: l’occasione, per filosofi e teologi da una
parte, e biologi e altri scienziati dall’altra, di confrontarsi direttamente sulle ultime acquisizioni e
sviluppi dell’evoluzione, andando al di là dell’immagine stereotipata e riduttiva che ciascuno si è
fatto della disciplina dell’altro.
Per rendere l’idea del tono del convegno, forse il riassunto più efficace è quello offerto da uno degli
organizzatori, il prof. Gennaro Auletta, docente di Filosofia delle scienze presso la Pontificia
Università Gregoriana e vicedirettore del convegno, in un’intervista all’ Osservatore Romano :
«Qualsiasi sforzo di recupero o riabilitazione di Darwin da parte della Chiesa cattolica sarebbe
“superfluo” perché, “molto semplicemente”, né la Chiesa cattolica, né suoi esponenti significativi,
hanno mai condannato, né il darwinismo, né la teoria dell’evoluzione».
Persino il sempre misurato responsabile dell’ortodossia vaticana, il card. William Levada,
successore di Ratzinger alla guida della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, concede
che in cielo e in terra c’è uno «spazio sufficientemente ampio» per credere tanto nell’evoluzione
quanto nell’esistenza di Dio creatore.
Nessuna condanna, quindi, nessun anatema. Eppure non è sempre stato così. Anche se in Vaticano
tengono a ricordare che L’origine delle specie non è mai stata messa all’indice, appena pochi anni fa
sembrava che l’evoluzione stesse per diventare il nuovo “caso Galileo” e che una sua sconfessione
da parte della Chiesa cattolica fosse imminente.
Spinto dall’onda potente della destra religiosa Usa, che con i propri grandi mezzi economici e
mediatici stava cercando di cacciare l’ateo e materialista Darwin fuori dalle scuole pubbliche
statunitensi, il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e tra i più fidati collaboratori di
papa Ratzinger, in un editoriale pubblicato nel 2005 sul New York Times , sembrava aprire le porte
all’Intelligent Design, ovvero alla versione ripulita e moderna del creazionismo biblico. Invece di
sostenere direttamente che la terra è stata effettivamente creata in sei giorni da Dio, “e il settimo si
riposò”, i sostenitori dell’Id, riuniti attorno al Discovery Institute di Seattle, si appellano alla
complessità e interconnessione dell’universo, troppo perfetto e troppo “adatto” all’uomo per essere
frutto del cieco meccanismo della selezione naturale. Dev’esserci – dicono – una mente divina che
abbia coordinato il tutto e abbia orchestrato la mirabile sinfonia dell’universo.
Lo stesso Ratzinger, riunendo nel settembre 2006 i suoi ex-studenti, capitanati da Schönborn, nella
sua residenza estiva di Castel Gandolfo, aveva puntato il dito contro le «rilevanti lacune nella
verificabilità e nella falsificabilità sperimentale» dell’evoluzione, che «non è ancora una teoria
completa e scientificamente verificabile». Oggi, invece, Auletta ricorda che «bisogna stare molto
attenti a evitare il discorso dell’Intelligent design, che non è una teoria scientifica, anche se si
spaccia come tale».
Se l’operazione di importare la battaglia culturale della destra religiosa americana in Vaticano non è
riuscita, e oggi la Chiesa si confronta apertamente e, in buona parte, senza preclusioni con la realtà
scientifica dell’evoluzione, il merito è in gran parte di mons. Gianfranco Ravasi, chiamato da
Ratzinger alla guida del Pontificio Consiglio della Cultura. Suo è il tentativo di cercare
ostinatamente il dialogo con il mondo scientifico, senza cercare “concordismi” automatici o
banalizzanti, ma rispettando l’autonomia di ogni singolo campo d’indagine, della biologia come
della teologia.
Compito di scienza e fede, ha detto il vescovo in apertura al convegno, è infatti «incrociare gli
sguardi», tanto a livello soggettivo, perché «è necessario che teologi e scienziati si guardino a viso
aperto, si ascoltino, abbiano un confronto sereno», quanto a livello oggettivo, perché «questi
sguardi esaminano la realtà da angolazioni diverse, sono letture diverse della stessa realtà».
L’importante, chiosa severo Levada, è non trarre dalla realtà dell’evoluzione la conseguenza
dell’inesistenza “necessaria” di Dio – deduzione, invero, che pochi scienziati fanno.
L’apertura di credito che la Chiesa fa alla scienza è, però, tutt’altro che completa: in molti
pronunciamenti recenti di papa Ratzinger, a cominciare dal celebre discorso di Ratisbona, torna la
concezione medievale della scientia ancilla theologiae, di una ragione scientifica ristretta, che deve
limitarsi al proprio campo di applicazione e lasciare il passo, per le “grandi” domande sul senso
dell’uomo e dell’universo, alla filosofia e alla teologia, o – meglio – alla ragione illuminata dalla
fede.
Di fronte a questa concezione, si può ricordare, citando ancora mons. Ravasi, che «l’intelligenza ha
percorsi diversi: c’è il rigore scientifico, c’è la logica formale, ma ci sono anche altri percorsi
conoscitivi e intellettuali, come la filosofia e la teologia ma anche l’arte e la poesia, ciascuno con i
propri statuti, con i propri metodi, con la propria coerenza».