PUÒ UN PAPA ESSERE RAGIONEVOLE?

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Discutere ciò che dice e fa Benedetto XVI può sembrare ormai del tutto pleonastico. Direi che è quasi ingenuo e perfino patetico meravigliarsi e scandalizzarsi per le sue prese di posizione su questioni etiche particolarmente delicate. Viene addirittura la tentazione di ripetere con Berlusconi che il capo della Chiesa cattolica “è coerente con il suo ruolo”. Purtroppo questo ruolo ci riguarda tutti, credenti e non credenti, e viene a incidere pesantemente sulle nostre vite, sulla quotidianità delle nostre vite nei suoi aspetti più intimi e drammatici. Il fatto è che il papa desidera entrare (ne ha tutto il diritto) nel grande dibattito sull’etica pubblica e sulle scelte legislative che ad essa conseguono. Ma per entrare davvero in questa agorà ormai ecumenica occorre che da tutti i partecipanti, pur nella diversità delle credenze religiose e morali, giunga una parola di ragionevolezza, si presentino proposte che si muovono nello spazio di una comune etica della responsabilità. Può dirsi questo di tante affermazioni papali? È davvero in grado il vescovo di Roma di prendere parte a una discussione che non sia la riaffermazione unilaterale e intransigente di tesi che non possono essere accolte da governi e organizzazioni internazionali che lottano duramente contro mali reali e non semplicemente ideologici?

Le ultime affermazioni di Ratzinger sulla tragedia dell’Aids e sui mezzi per farvi fronte non consentono troppe illusioni. Non si tratta qui di contestare la morale del papa e i valori che egli intende promuovere fra i fedeli della sua religione, anche se si potrebbe facilmente far notare che questi fedeli sono i primi a non tener conto della morale familiare e sessuale tenacemente difesa dalla loro guida spirituale. No, non è questa polemica che ci interessa di fronte al flagello dell’Aids e alle sue terribili conseguenze anche per le generazioni future. Ci interessa, piuttosto, mettere in guardia contro chi lancia messaggi molto pericolosi verso nazioni, gruppi sociali e individui (specialmente giovani), che ancora, per motivi oggettivi e soggettivi, non si rendono conto della gravità del problema e non riflettono a sufficienza sugli strumenti che abbiamo a disposizione per contenerlo.

Ha scritto il New York Times che il condom non è certamente una panacea, ma che è “irresponsible” e contrario ad ogni evidenza scientifica affermare, come fa il papa, che esso addirittura aggraverebbe i problemi posti dall’epidemia. E un altro organo autorevole dell’opinione pubblica internazionale, Le Monde, ha definito senza mezzi termini l’affermazione papale “ravissime et irresponsable”. In realtà, la Chiesa cattolica oscilla oggi fra atteggiamenti di vero e proprio delirio ipertecnologico ( si veda la questione del testamento biologico e della difesa intransigente di alimentazione e idratazione artificiali) e la condanna senza remissione della tecnologia quando essa entra nei territori della sessualità e della procreazione assistita. Anche in questi casi la meraviglia per queste palesi e violente contraddizioni è probabilmente eccessiva. Una volta abbandonato il solido terreno della parola evangelica e della sua etica dell’amore (“la pietà divina ha sì gran braccia” dice Manfredi di Svevia a Dante nel purgatorio, ma la Chiesa sembra non accorgersene), papi, cardinali e teologi si trovano invischiati in sottili questioni filosofiche e scientifiche che li allontanano dal loro compito pastorale, mentre cercano disperatamente di tenere assieme l’inconciliabile. Ma perché non leggono Pascal che era un grande cristiano e un grande uomo di scienza, e non si faceva illusioni sulla possibilità di fondare l’etica su una qualche metafisica razionalista?

Forse ha ragione chi pensa che il vero cristiano non può che essere un relativista morale. Certo è che, se vuole partecipare alle discussioni e alle deliberazioni sulle grandi questioni di etica pubblica, anche il cristiano di confessione cattolica deve diventare più ragionevole e meno razionalista, più caritatevolmente attento ai bisogni degli uomini concreti e meno stregato dalle elucubrazioni astratte di certa teologia morale. Ma può un papa fare questo? Può avere questa umiltà senza rinunciare al potere sulle coscienze che non la fede, ma la cattiva teologia gli conferisce? Può la Chiesa (utopia sempre delusa nel corso di due millenni) rinunciare al mondo e alle sue molteplici lusinghe per stare semplicemente ai piedi della croce di Cristo?