E Ratzinger si svela predicatore

di Marco Politi
in “la Repubblica”, 22 aprile 2009

Il Ratzinger segreto, quello che pochi conoscono, è il predicatore. I libri del teologo si possono
trovare ovunque, i gesti del pontefice regnante sono esposti allo sguardo di tutti, ma per cogliere l’intimo di Benedetto XVI bisogna andare ad ascoltarlo. Non solo nelle basiliche, ma in una chiesa parrocchiale o in una casa di accoglienza per malati. È lì che rivela – con parole pregnanti e semplici insieme – il suo anelito per un cristianesimo essenziale, puro, non caricato di sovrastrutture. Questa purezza Ratzinger l’ha ritrovata nell’intensità, con cui nel recente viaggio in Camerun e Angola i fedeli africani si abbandonavano ai canti della messa.

Fossero in latino o nelle diverse lingue locali, erano melodie in cui si manifestava una pienezza di fede che gli è cara. Perché la «speranza cristiana» – ha esclamato nella ricorrenza della morte di papa Wojtyla – non può essere ridotta a «ideologia, slogan di gruppo, rivestimento esteriore». Cristo non vuole che i credenti recitino la parte dei suoi discepoli. Né ha senso, ha ricordato altre volte il Papa, presentare il cristianesimo come pacchetto di regole o pretesa egemonica di una «sola» cultura e di un «solo» mondo.

La parola che spesso ricorre nel vocabolario del papa tedesco è amore. Che poi è il titolo latino
della sua prima enciclica Deus Caritas Est. Per Benedetto XVI essere cristiani consiste
fondamentalmente nella «libera adesione dell’amore». Amore verso Dio inscindibilmente collegato all’amore verso il prossimo. Potrà meravigliare quanti vedono nel Papa prevalentemente il leader, che si espone a polemiche sulla scena internazionale a causa di scelte di governo o giudizi controversi, ma l’animo di Ratzinger, nutrito dell’insegnamento di san Paolo e di sant’Agostino, è realmente orientato verso una fede intima, che anche quando si esprime nell’impegno sociale rimane ancorata ai due cardini dell’esperienza cristiana: la croce e la resurrezione. Se Cristo non fosse risorto, ha detto a Pasqua riecheggiando l’apostolo Paolo, «il vuoto sarebbe destinato ad avere il sopravvento».

Approdando al suo ottantaduesimo compleanno e iniziando il suo quinto anno di pontificato,
Benedetto XVI ha condensato nelle giornate appena trascorse alcuni fra i temi più forti del suo
pensiero. C’è anzitutto la ricerca incessante dell’incontro con il volto di Cristo. Essere cristiani per Ratzinger è parola vuota se non si traduce nel desiderio e nel bisogno di trovarsi faccia a faccia con quel Volto. Appartenente ad un uomo in carne e ossa, “storico”, non mitico. Nel disorientamento dell’epoca contemporanea bisogna sapersi fermare a contemplare «il volto dell’Uomo dei dolori, che si è fatto carico di tutte le nostre angosce mortali».

Il volto di Cristo, afferma Ratzinger, si riflette in ogni persona umiliata e offesa, ammalata e sofferente, sola, abbandonata e disprezzata. «Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato», afferma sant’Agostino. Perché allora non accoglierlo nella propria vita, conclude Benedetto XVI? Un ruolo particolare, in questa visione, spetta al clero. Ratzinger al fondo respinge tutto ciò che è clericale e affettato. Nella messa del Giovedì Santo il Papa ha certo polemizzato con il concetto di libertà assoluta propugnata dal filosofo Nietzsche, ma si è anche servito delle sue parole per stigmatizzare le caricature di umiltà e di sottomissione esistenti nella Chiesa e «che non vogliamo imitare».

Qui Ratzinger traccia piuttosto la linea divisoria fra un sacerdozio concepito come professione in cui ci si «autorealizza» oppure come ascesi quotidiana incentrata sul servizio e
sull’abbandono a Cristo. Parole impegnative. Ma che affascinano tanti cattolici e spesso anche seguaci di altre religioni o agnostici. Diverso si fa il discorso quando entra in scena l’immagine della Chiesa a confronto con la società odierna, vista in preda a materialismo e nichilismo.

Appare una Chiesa sempre in pericolo, assediata dall’odio, attirata verso l’abisso al punto da dare «l’impressione che essa debba affondare», se non fosse continuamente salvata da Cristo. È il momento in cui il pessimismo agostiniano tinge le parole di Ratzinger e forse certe sue scelte di regnante nascono proprio da questo.