Abolire il concetto di diverso per sottrarre la molteplicità alla gerarchia

di Patrizia Politelli
da www.womenews.net

Ho continuato con alcune una riflessione privata sul tema, perché la trovo davvero impegnativa, in quanto richiede una messa a punto di idee e linguaggio, una concentrazione su quello che accade, su quello che pensiamo, su come siamo. Su come sono (maschi, politici…).

A volte è piacevole lasciarsi andare e lasciar fluire le parole liberamente senza l’attenzione che chiede una pubblicazione. Ma ho trovato molto stimolanti gli interventi, che molto aiutano ad approfondire e ad aprire nuove direzioni. Proverò ad aggiungere qualcosa, a chiarirla, per quel che mi riguarda.

Evidentemente il “caso” Berlusconi ed il “caso” Marrazzo sono quelli più eminentemente politici, quelli cioè che rendono necessari un ripensamento dell’esistenza, delle relazioni, dei rapporti fra le persone, fra cittadini e stato, e viceversa, della deontologia di chi ricopre cariche istituzionali.
Non credo che tutto questo si risolva con la pubblicizzazione delle alternative relazionali.

È un primo passo, ma non è necessario: se non violo leggi, perché e a chi, se non a chi mi sta vicino, dovrei dichiarare le mie preferenze? Come, di nuovo, se queste fossero una colpa. Ahi, ahi! la confessione che libera tutti. Né sufficiente.

Qui si tratta di contribuire collettivamente ad abolire il concetto di diverso. Che significa diversamente umano: diversamente colorato, diversamente sessuato, diversamente cucinante, diversamente pensante etc. E questo non certo per annullare la ricchezza della molteplicità, ma per sottrarla alla gerarchia.

Tollerabile, o non tollerabile: chi è il detentore della dichiarazione di tollerabilità (sopportabilità) di qualcuno/a o qualcosa? Anche la colpa non ha necessariamente a che fare con la consapevolezza: si è colpevoli, ossia responsabili, anche quando il nostro agire è inconsapevole ed in buona fede. Se offendo o ferisco qualcuno senza volerlo, per esempio.

Non sono soltanto le intenzioni ( Kant, il cristianesimo…) alla base del mio agire, ma è tutta la mia persona e di quella, volente o nolente, sono responsabile. Nel momento in cui vengo al mondo ho già questo carico: perché sono un’essere relazionale e relazionabile, con tutti i pericoli (ed i piaceri) che questo comporta.

La viltà, che si traduce in violenza, dei personaggi pubblici, non consiste tanto nel non dichiarare le proprie propensioni sessuali (e dunque immaginare per sé una sfera di intimità), ma di pretendere di dettare le regole di quelle degli altri, senza, di fatto, rispettarle loro stessi. Non mi interessa più neanche un giudizio sui protagonisti di queste vicende. Non mi basta più accusare i maschi, il patriarcato, la società tout court. Ho solo molte domande.

Se, come dice Angela Giuffrida, si tratta di “riconoscere un partner – cioè un compagno, un complice – in chi ha la ventura di accompagnarsi con lui, indipendentemente dal suo sesso e dalle sue inclinazioni sessuali”, non mi pare che le donne ne escano molto bene.

In queste vicende sono implicate delle donne, diciamo, come parti lese. Che tipo di complice può essere una donna che scopre dalla rassegna stampa la vita intima di suo marito?
È solo lui che si sottrae o anche lei che non guarda: non lo guarda.

Il primo commento che mi è venuto in mente all’esplodere della vicenda è stato questo: “Quanto a quella moglie, il disprezzo mostratole non ha limiti, ed io non oso immaginare come possa stare, ma soprattutto come ora possa riuscire a fidarsi non solo di chi le starà accanto nel letto (ammesso che possa mai più averne voglia), ma di se stessa”.

Non è forse anche questo il punto? Dove siamo quando altri ci passano accanto?
Visto che parliamo tanto di colpe: siamo davvero così innocenti? Non è soltanto il denaro che riduce le persone a cose: anche lo sguardo può farlo.

Nella cosizzazione delle persone che passa per l’equivalente universale, in un sistema in cui il valore, di tutto e tutti/e, si misura in denaro, in cui tutto è acquistabile, c’è qualcosa che si sottrae: l’affetto. Quello è libero e gratuito. Ed è quello che rende le persone irriducibili a cose.

Forse, insieme ad una deflagrazione politica, ad una deflagrazione morale, stiamo assistendo ad una deflagrazione affettiva. E, come suggerisce una mia amica, bisogna approfittare delle deflagrazioni, insinuarsi dentro: magari ne viene qualcosa di nuovo e di meglio.