CHIESA CATTOLICA E VITTIMISMO

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Non credo che giovino alla Chiesa cattolica le difese tentate da alcuni intellettuali laici sulla questione dei preti pedofili, così come non le giova il ricorso di alcuni suoi autorevoli esponenti alla strategia del vittimismo. Non c’è e non c’è mai stato, almeno su questa questione, il tentativo di infangare e delegittimare l’istituzione; c’è invece la volontà, del tutto legittima e anzi doverosa, di mettere le autorità ecclesiastiche di fronte alle loro ineludibili responsabilità. Costretta a guardare bene in faccia la gravità e la quantità dei crimini commessi che, come qualcuno ha giustamente detto, hanno carattere sistemico e non puramente individuale, bisogna che la gerarchia ecclesiastica prenda atto lucidamente delle sue colpe e ne tragga conseguenze radicali sul piano dell’organizzazione e dei comportamenti. Chi ha sbagliato non può restare impunemente al suo posto, facendo semplicemente atto di pentimento e chiedendo scusa alle vittime. L’unico pentimento che conta è quello di chi cambia radicalmente il proprio stile di vita e abbandona, senza indugi e senza alibi tanto speciosi quanto inconsistenti, posizioni di potere e di responsabilità che non ha più alcun diritto di mantenere.

Quando il papa, nella sua lettera ai vescovi irlandesi che ha certamente, nella ammissione e condanna delle colpe, una sua innegabile sincerità, elenca fra le cause della pedofilia di tanti ecclesiastici anche il secolarismo avanzante e una cattiva interpretazione del Concilio Vaticano II, ci sembra francamente che sia del tutto fuori da ogni realistica valutazione del fenomeno. E cerchi anche lui, in qualche modo, di trovare spiegazioni che possano rigettare verso l’esterno la responsabilità di azioni e omissioni che è tutta interna all’organizzazione ecclesiastica e, in particolare, alla sua struttura gerarchica. Non ci permettiamo di suggerire alla Chiesa (non ci compete in alcun modo) quali possano essere i provvedimenti disciplinari da prendere per arginare un fenomeno che la sta ricoprendo di vergogna, ma certo non è possibile attribuire in alcun modo al secolarismo una qualsivoglia responsabilità nella pedofilia di tanti preti.

È molto probabile che la causa vera stia in un certo costume ecclesiastico fatto di segretezza e silenzi, in un’ipocrisia omertosa che è saltata quando le vittime hanno smesso di tacere e si sono ribellate clamorosamente agli abusi. Chi ha una certa età sa benissimo che questi comportamenti criminali, non maggioritari ma certamente numerosi, nella Chiesa cattolica esistono da sempre, anche quando non si parlava ancora di secolarizzazione dilagante e il concilio Vaticano II stava forse soltanto nella mente di Dio. La secolarizzazione ha avuto, fra tanti altri aspetti, anche questo di positivo: ha fatto entrare l’aria fresca della verità in ambienti muffiti, dove si respirava quella mefitica di un potere sacerdotale che nascondeva accuratamente le sue piaghe, non si preoccupava di curarle, ma si limitava a ricoprirle con bende sempre più purulente.

Dicevamo che non spetta a noi dare alla Chiesa consigli sulle medicine specifiche da prendere per guarire i suoi mali, ma uno ci permettiamo comunque di darlo, perché attiene al rapporto fra società religiosa e società civile, fra ambito ecclesiastico e legge comune. La grande colpa, quella che ha generato tutte le altre e le ha progressivamente incancrenite, sta nella volontà ecclesiastica di sottrarsi al potere civile e alla legge penale alla quale dobbiamo tutti sottostare, laici ed ecclesiastici, quando si tratta di crimini. Oggi Ratzinger giustamente afferma che i preti pedofili, oltre che a Dio, dovranno rispondere dei loro comportamenti anche ai tribunali statali. Ma quando era prefetto della Congregazione per la difesa della fede, ordinava ai vescovi di conservare il segreto su eventi che violavano palesemente la legge. Ordinava insomma, per dirla brutalmente ma efficacemente, di lavare i panni sporchi in famiglia. Prendiamo atto che ha cambiato opinione, ma le responsabilità passate non si cancellano.

Proprio per questo la Chiesa fa un grave torto alla sua credibilità continuando a parlare di persecuzione nei suoi confronti, quando essa stessa è costretta ad ammettere di aver gravemente e ripetutamente peccato. E non ci venga a dire che ha peccato per istigazione e cattivo esempio dei laici, quando il suo compito precipuo è quello di dare il buon esempio a tutta la società. Forse, invece di cercare giustificazioni risibili, le gerarchie ecclesiastiche farebbero bene a praticare quella virtù cristiana dell’umiltà che predicano spesso e volentieri agli altri, ma mettono scarsamente in pratica quando si tratta di giudicare se stesse. Non c’è solo l’arroganza dei politici che credono di essere superiori alla legge comune; c’è anche quella di vescovi e cardinali che intervengono spesso e a sproposito per ammannirci lezioni di morale privata e di etica civile, e non si accorgono o fingono di non accorgersi di quello che succede in casa loro. Qui l’anticlericalismo non c’entra un bel niente, è soltanto questione di verità. Anche noi pratichiamo la caritas in veritate.