LE DUE CHIESE

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Non tutte le iniziative che fioriscono d’estate sono turistico-gastronomiche. Certo, nella maggior parte dei casi, si tratta di eventi che, per attirare i turisti, uniscono il buon cibo e il buon vino (di cui, grazie a Dio, in Italia c’è larga disponibilità) in località più o meno gradevoli sparse abbondantemente per la penisola. In queste occasioni non mancano mai le autorità politiche, amministrative e militari a far bella mostra di sé. E accanto a loro, compiaciute e benedicenti, compaiono anche quelle ecclesiastiche, tanto per ribadire che, nel nostro paese, anche le sagre sono sotto la tutela della chiesa cattolica. Ma, dicevamo, in mezzo alle mille iniziative degli instancabili assessorati alla cultura e al turismo che si affannano a attirare gente nelle metropoli non meno che nelle località di mare e di montagna, capita ogni tanto di imbattersi in qualche occasione utile per riflettere e capire.

A me è successo recentemente, quando ho ricevuto l’invito a partecipare, nella mia città, a due incontri su “Chiesa tra profezia e istituzione”, incontri che volevano essere una rivisitazione degli anni del Concilio ecumenico Vaticano II, delle decisioni che allora si presero, dei documenti che furono elaborati, delle speranze che alimentarono, delle delusioni che, nei decenni successivi, sono seguite a quelle speranze. Fra i relatori c’erano studiosi (tutti di indirizzo cattolico, una grave pecca questa), monaci, sacerdoti ancora esercitanti il loro ministero e altri che lo avevano abbandonato.

Tutti (o quasi tutti) di una certa età, tutti impegnati a raccontare la loro esperienza, spesso amara e traumatica, di uomini che, ancora giovani o giovanissimi, avevano conosciuta la Chiesa plumbea e paranoica di Pio XII e avevano poi vissuto, con entusiasmo, le aperture fiduciose della Chiesa giovannea, seguite da alcune conquiste ma anche dai tormenti e dai dubbi di quella di Paolo VI, per approdare, infine, alla restaurazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Guardandomi attorno (in provincia ci si conosce un po’ tutti, specie nell’ambiente intellettuale) ho capito che, probabilmente, ero l’unico laico non credente presente in sala, l’unico che avesse sentito il bisogno e valutata l’opportunità di conoscere un mondo che è solitamente emarginato, per non dire completamente occultato, dagli strumenti di comunicazione di massa.

Ma la sorpresa più grande è stata quella di non vedere neppure un rappresentante della chiesa curiale e gerarchica, di quella che non manca mai, come dicevo prima, alle celebrazioni del potere civile, di quella che si colloca sempre in prima fila e dà spesso il suo imprimatur religioso anche alle più discutibili ostentazioni della nostra classe politica. Eppure si discuteva seriamente di quella che è stata la storia del cattolicesimo, in particolare di quello italiano, nel corso di più di mezzo secolo, mentre accadevano trasformazioni radicali della struttura economica e dei valori morali e civili della società italiana.

La chiesa gerarchica rivendica continuamente, perfino con toni ultimativi e ricattatori, il ruolo pubblico della religione e accusa i cosiddetti laicisti di non voler riconoscere questo ruolo, di voler confinare il fatto religioso in una dimensione esclusivamente privata. Ma che cosa s’intende per ruolo pubblico?

La presenza attiva e responsabile nella società civile o più semplicemente le commistioni col potere politico, quale che esso sia, purché garantisca alla Chiesa il mantenimento di privilegi che la pongono al di sopra dei comuni cittadini e magari le consentono, attraverso la legge civile, di imporre la propria concezione morale (di una morale eminentemente ecclesiastica) a coloro che vivono secondo differenti orientamenti morali.

In realtà ci sono molteplici modi di vivere la fede cristiana, anche al di fuori delle istituzioni ecclesiastiche, e di questo i non credenti dovrebbero avere una consapevolezza che spesso non hanno, ma nella stessa istituzione ecclesiastica per eccellenza, la Chiesa cattolica romana, sono presenti da sempre due chiese, quella dell’autorità e del potere, ben visibile e trionfante, e quella che molti cittadini ignorano e che è animata da una fede ardente che sarebbe grave torto scambiare per integralismo religioso, mentre si manifesta in essa uno spirito di carità e di apertura che è non solo del tutto compatibile con lo Stato laico, ma anche con forme di religiosità laica come quella di uno studioso e di un uomo politico, Aldo Capitini, purtroppo ormai quasi dimenticato, ma di cui l’editore Laterza si appresta a ripubblicare gli “Elementi di un’esperienza religiosa”, un volumetto già edito dalla casa editrice barese nel 1937, in una situazione politicamente difficile, su consiglio di Benedetto Croce.

Più di una volta ho insistito, proprio in Italialaica, sulla necessità, per costruire una migliore democrazia, di non disprezzare ed emarginare quei valori religiosi che vogliono affermarsi nella libertà e nella parità, senza adoperare e farsi adoperare da un potere politico che li vorrebbe usare esclusivamente come strumento di governo. Anche chi non ha alcuna intenzione di appartenere a una qualche chiesa, e tanto meno a quella cattolica, deve riconoscere che fra i cattolici, accanto agli uomini del potere, ci sono quelli della fede e che molte delle battaglie di costoro appartengono di diritto alla grande tradizione di un pensiero laico non pregiudizialmente antireligioso.