Crocifisso: Strasburgo assolve Italia, si chiude caso Lautsi

Paneacqua, 18 marzo 2011

La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha dato ragione all’Italia sull’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche. La sentenza della Grand Chambre, con 15 voti a favore e due contrari, ribalta quella del 3 novembre del 2009 che aveva condannato l’Italia per violazione della liberta’ religiosa accogliendo il ricorso di Sole Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese. I giudici hanno stabilito che non vi sono elementi che provino la supposta influenza sugli alunni dell’esposizione del crocifisso nelle aule

La Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha dato ragione all’Italia nella causa ‘Lautsi e altri contro Italia’ sulla presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche. Si chiude così il caso approdato davanti alla Corte il 27 luglio 2006 con il ricorso di Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi.

La Lautsi riteneva infatti la presenza del crocifisso un’ingerenza incompatibile con libertà di pensiero, convinzione e di religione (art.9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950) così come del diritto all’istruzione, in particolare, il diritto ad un’educazione ed insegnamento conformi alle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori (art.2 del Protocollo n.1).

LA STORIA. I ricorrenti, nati nel 1957, 1988 e 1990 sono Soile Lautsi e i suoi due figli, Dataico e Sami Albertin, e tutti e tre vivono in Italia. Nell’anno scolastico 2001-2002 Dataico e Sami frequentavano l’istituto ‘Vittorio da Feltre’, scuola pubblica ad Abano Terme (Padova), dove, in ogni classe, era affisso un crocifisso. Il 22 aprile del 2002, durante un incontro a scuola, il marito di Soile Lautsi, espose la questione della presenza dei simboli religiosi nelle classi e chiese la loro rimozione.

La direzione della scuola rispose negativamente, così Lautsi fece ricorso al Tribunale amministrativo del Veneto il 23 luglio 2002 lamentando la violazione del principio di laicità dello Stato. Il 30 ottobre 2003 il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che nell’ottobre 2002 aveva adottato una direttiva che istruisse i dirigenti scolastici per garantire la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche – si unì al ricorso presentato dalla richiedente sostenendo che la sua domanda fosse infondata perché la presenza dei crocifissi nelle aule della scuola statale si basava su due regi decreti del 1924 e 1928.
Nel 2004 la Corte Costituzionale bocciò il ricorso presentato dal Tar del Veneto.

Il fascicolo tornò quindi al Tribunale amministrativo regionale, che il 17 marzo del 2005 a sua volta bocciò il ricorso, spiegando che le disposizioni dei regi decreti erano ancora in vigore e che la presenza dei crocifissi nelle aule della scuola di Stato non violava il principio della laicità dello Stato, ma era ‘parte del patrimonio giuridico d’Europa e delle democrazie occidentali’. Il 13 aprile del 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione e, il 27 luglio dello stesso anno, il ricorso è arrivato presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.

SENTENZA DELLA CEDU. La prima sentenza della Cedu, il 3 novembre del 2009, aveva riconosciuto la violazione, da parte dell’Italia, sia dell’art. 2 del Protocollo aggiuntivo n. 1 della Convenzione sia dell’art. 9 sulla libertà di pensiero, convinzione e religione. Non potendo imporre la rimozione dei crocifissi dalle scuole italiane ed europee, la Corte aveva condannato l’Italia a risarcire 5.000 euro alla Lautsi per danni morali.

Il Governo italiano chiese allora il rinvio alla Grande Chambre (Gc) della Corte ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva, come riconosciuta dallo Stato italiano. La Grande Chambre accettò la domanda di rinvio ed ha ascoltato in udienza pubblica (30 giugno 2010) le parti in causa: lo Stato italiano e il Legale ricorrente rinviando a oggi la sua decisione definitiva.

Quanto ai contenuti giuridici, la questione è stata affrontata dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, assieme all’Ufficio dell’Agente e del Co-Agente del Governo italiano presso la CEDU ed in coordinamento con le varie Amministrazioni coinvolte (Presidenza del Consiglio-Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi e Ministero della Giustizia). Frattini ha presieduto due riunioni interministeriali (17 dicembre 2009 e 21 gennaio 2010) che hanno portato rispettivamente a migliorare e formalizzare la memoria difensiva con il consenso di tutti gli attori coinvolti. Frattini ha inviato ai ministri degli Esteri dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa una lettera esplicativa della posizione italiana in merito alla questione e riassuntiva della memoria difensiva, presentata alla Corte, per poter ottenere accanto al sostegno politico anche un intervento degli Stati come ‘terzi’ a favore dell’Italia.

Hanno risposto positivamente intervenendo a favore dell’Italia davanti alla Corte i seguenti Stati: San Marino, Malta, Lituania, Romania, Bulgaria, Principato di Monaco, Federazione Russa, Cipro, Grecia, Armenia e alcune NGO italiane e straniere.

LE REAZIONI. “Oggi ha vinto il sentimento popolare dell’Europa” Così il ministro degli Esteri Franco Frattini ha commentato l’assoluzione dell’Italia. Gli fa eco il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: “Si tratta di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese”.

“Il Crocifisso- dice ancora- sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà ccidentale: il rispetto della dignità ella persona umana e della sua libertà. E’ “un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia né alla laicità dello Stato, né alla libertà religiosa”.

Di una sentenza “che mette fine ad una battaglia caratterizzatasi per troppi eccessi” parla il deputato del Pd Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari Europei. “Una cosa è la laicità, un’altra è pretendere che dalla nostra vita scompaiano i simboli religiosi, che ci richiamano alle nostre origini”.

“Ora mi auguro che questa sentenza sia accettata senza ulteriori strascichi- continua Farinone- Il crocefisso è un simbolo di riconciliazione, dispiace che qualcuno invece lo abbia visto come un simbolo di divisione”.

Non la pensano così Massimo Albertin, il medico di Abano Terme che, con la moglie finlandese, aveva iniziato la battaglia legale: “Il pronunciamento di Strasburgo mi delude, molto, perché la prima sentenza su questa vicenda era clamorosamente chiara”.

E delusi sono anche i membri dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. “Profonda delusione, non ce l’aspettavamo”. Cosi’ Raffaele Carcano, segretario nazionale dell’Uaar, commenta la sentenza della Corte di Strasburgo. “Siamo delusi, come lo è la famiglia” che ha aperto il caso. “Non ci aspettavamo questo stravolgimento rispetto al primo grado- spiega -. Nel frattempo è evidente che ci sono state delle pressioni, e ne abbiamo la certezza, da parte dell’Italia e non solo: avevamo contro la Chiesa e altri 10 Stati stranieri. Ma non ci fermeremo”. Questa è una sentenza definitiva “per questo troveremo altre strade. Non ci fermeremo”.

E con lui concorda anche il giudice Luigi Tosti: La decisione della Corte di Strasburgo “mi sembra abbastanza grottesca e va contro le sentenze della Cassazione, penale e civile, e le sentenze e ordinanza del Csm emesse nel mio caso: la Corte europea è meno garantista dei giudici italiani’, spiega.

Tosti è stato rimosso dalla magistratura per la sua battaglia finalizzata a togliere il Crocifisso dalle aule di giustizia. Nelle motivazioni con cui la Cassazione ha confermato il verdetto disciplinare del Csm, si afferma tra l’altro che “la presenza di un Crocefisso può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un’aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani”. Il giudice Tosti non poteva pertanto “rifiutare la propria prestazione professionale solo perché in altre aule di giustizia (rispetto a quella in cui operava) era presente il Crocefisso”.

Al giudice era stata messa a disposizione un’aula senza simboli, ma lui aveva rifiutato chiedendo la rimozione del simbolo religioso da tutti i tribunali.