In che Papa credono coloro che credono nel Papa?

Paolo Bonetti
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Qualche anno fa Maurizio Ferraris si chiedeva: in che cosa credono coloro che dicono di credere? Le risposte potevano apparire sorprendenti, ma meno di quanto possono pensare coloro che sui problemi della religione sono abituati a riflettere, per fede sincera o per interesse culturale e sociologico. Ho provato, in queste ultime settimane, a fare domande sui dogmi fondamentali della religione cattolica ad amici e conoscenti che appartengono quasi tutti al mondo delle libere professioni o dell’insegnamento, e che sono, in gran parte, persone abbastanza agiate e discretamente colte. Alcuni di essi sono cattolici praticanti, magari saltuari, altri si dicono cattolici anche se quasi mai frequentano la chiesa e si accostano ai sacramenti.

Altri ancora, pur non credendo, manifestano grande ammirazione per un papa come Giovanni Paolo II e un po’ meno, o molto meno, per Benedetto XVI. Sondati sul dogma trinitario e su quello cristologico oppure richiesti di spiegare che cosa sia la transustanziazione, molti di loro, che magari ogni tanto si accostano all’eucarestia, balbettano e si perdono in spiegazioni confuse che denunciano una sostanziale ignoranza. Eppure, da bambini o da adolescenti, hanno tutti frequentato il catechismo e spesso hanno fatto anche i chierichetti, seguendo le diverse fasi della messa e rispondendo a tono alle parole del sacerdote officiante. Ma sempre in modo meccanico, senza capire il senso delle parole che pronunciavano.

Per Wojtyla mostrano rispetto e considerazione, ma quando tu spieghi qual era la sua posizione in materia di etica familiare e sessuale e parli delle sue ripetute condanne di teologi e sacerdoti che difendevano posizioni più aperte, dicono subito che di queste affermazioni papali essi non tengono alcun conto nella loro vita quotidiana. Le trovano prive di buon senso. Molto spesso ignorano che il Concilio Vaticano I ha proclamato il dogma della infallibilità papale, quando il pontefice parla ex cathedra in materia di fede e di costumi.

Ma allora in che papa credono? Se vogliamo essere brutalmente sinceri, dobbiamo rispondere che credono nel papa mediatico, nella figura che i media hanno costruito nel corso di un lungo pontificato durato quasi ventisette anni. Wojtyla era uomo di fede autentica, pura e dura, non era un diplomatico o un politicante della fede. E nel cristianesimo cattolico, di cui era il leader carismatico, vedeva il baluardo non solo nei confronti del totalitarismo comunista, ma anche di nemici per lui ben più invasivi e pericolosi, il nichilismo e il relativismo dell’Occidente liberale.

Nella sua fede ardente e pragmatica, egli sapeva che le grandi folle si conquistano con la forza dell’emozione, con la sacralità del gesto ma anche con la sua forza espressiva e comunicativa, che si manifesta con l’uso sapiente del corpo e della parola. In questo senso, egli è stato un grande populista della religione e, come tutti i populisti, un reazionario; ma non era mai falso, non era ciarlatanesco, anche se la sua enorme bravura nella comunicazione, la sua capacità di restare sempre sul palcoscenico, anche nella sofferenza estrema, facevano di lui un attore straordinario.

Ma un attore che sapeva vivere davvero all’altezza del personaggio che era stato chiamato a interpretare. Figura autoritaria, tragica e potente anche nella sua conclusiva fragilità, egli ha incarnato l’immagine del padre, in un mondo, anche quello cattolico, dove i padri sono sempre più evanescenti e spesso, per essere accettati dai figli, ostentano, in comportamenti e abbigliamenti, un giovanilismo che li rende ridicoli e patetici.

A un non credente come me non interessa sapere se egli è stato davvero un santo, questa è una questione che riguarda la chiesa e i suoi fedeli; ma che cosa è stato come uomo e come leader politico-religioso, interessa moltissimo, e, da questo punto di vista, il papa polacco è stato un formidabile nemico della società liberale.

Ma non solo perché ha dato spesso il suo avallo e la sua benedizioni a dittature sanguinarie (si pensi, e non è il solo caso, al Cile di Pinochet), ma perché del liberalismo egli non ha capito e, d’altra parte, non poteva capire, lo spirito profondo, la capacità di continuare a vivere con decenza e senso di responsabilità in una condizione di ricerca mai conclusa e di perenne inquietudine.

Le democrazie liberali hanno davanti a sé una grande sfida: riusciranno a far penetrare sempre meglio nel cuore delle grandi folle anonime i loro principi etico-politici, che poco concedono al cuore degli uomini semplici, oppure dovranno ricorrere, per puntellare la vita degli Stati, alle icone del populismo, a coloro che sanno sedurre e convincere, ma che spesso si affidano a forze incontrollabili da coloro stessi che le adoperano.

Se sbaglio mi correggerete, disse Wojtyla il giorno della sua elezione, affacciandosi dalla grande loggia centrale di San Pietro: sembrava l’invito ad una collaborazione cordiale, rivolto anche ai non credenti. Ma tutte le volte che qualcuno ha cercato di correggerlo, egli ha risposto con la durezza di una condanna che non ammetteva repliche.