Padri e madri secondo cultura cattolica

Ileana Montini
www.womenews.net

Due padri hanno dimenticato i figli in auto e se ne sono andati al lavoro, causando loro la morte. Tv e carta stampata informano e si affannano a fare interviste a strizzacervelli e simili. Più o meno si tenta di far passare i drammatici fatti come eccezionale dimenticanza a causa di uno strano cortocircuito della memoria. Oppure, si arriva a invocare una differenza biologica tra madre e padre che suona come giustificazione o comprensione umana.

E’ ciò che ha fatto Ammaniti psichiatra di grande fama e autorevolezza (La Repubblica, “Stress e black out mentale i papà sono sempre più fragili”,28.5) intervistato da Maria Novella de Luca. “Le madri sempre, ma soprattutto nei primi anni di vita, hanno una sorte di sensore biologico, genetico, che le porta a ricordarsi dei figli in ogni caso. Anche in situazione di forte stress e di giornate convulse. (…) La madre ,ovunque sia, ha il pensiero alla vita dei figli. Molti uomini invece, ad esempio quando lavorano, creano una cesura totale verso la vita familiare.”.

Le differenze fisiologiche spiegano le competenze innate e, dunque, i ruoli sociali.

E’ risaputo che analisti, psicoterapeuti, educatori ecc., di fronte a una donna che non ha generato figli ed eventualmente ammette di non averlo desiderato, abbiano reazioni allarmate circa la sua salute mentale; mentre non usano lo stesso metro per un uomo che candidamente ribadisca di essersi tenuto razionalmente alla larga dalla paternità .

La realtà è che siamo immersi totalmente – con scarse vie di uscita- nella cultura cattolica. Ce lo spiega mirabilmente il libro di Michela Murgia: Ave Mary .

Michela Murgia è laureata in Scienze Religiose, ha insegnato Religione nelle scuole, è stata animatrice di Azione Cattolica. Capitolo dopo capitolo ci spiega come “La narrazione univoca della donna funzionale –sposa e madre- impone alle donne di muoversi dentro ruoli rigidi e le condanna a essere considerate sovversive e marginali ogni qualvolta provino a immaginarsi in modo alternativo.

Per contro, la medesima narrazione impone ai mariti il ruolo dominante e le frustrazioni che ne derivano qualora si tenti una relazione più equa.”. Come dire che se il compito della cura è imposto alle donne-madri, quando saltuariamente se ne occupano i padri, può accadere che li dimenticano nelle auto, perché l’identificazione con il fuori-casa, cioè il lavoro, è (legittimamente) totale.

L’educazione, impartita a partire dalla nascita, continua a seguire il modello della subordinazione femminile, con la parallela formazione maschile “imbevuta di proiezioni dominanti e possessive”.

Il libro della teologa cattolica percorre la storia del cristianesimo e della Chiesa fino ai giorni nostri. Fino ai giorni del beato Giovanni Paolo II che di colpo confermò secoli di tradizione con l’enciclica Mulieris Dignitatem, che risultò affascinante persino in alcuni ambiti del femminismo italiano perché preferiva la questione della differenza, piuttosto dell’accento sull’uguaglianza.

Il Papa polacco parla dell’esistenza di “una naturale disposizione sponsale della personalità femminile.”, alla quale viene affidata “in un modo speciale l’uomo, l’essere umano.”. Tanto da poter dire che questa è la sua particolare vocazione.

Sottrarsi a questa specificità naturale, equivale a non realizzarsi. La Mulieris Dignitatem , pone dunque l’enfasi sulla peculiarità del femminile per “riconfermare la subordinazione sociale e familiare della donna non più enunciata in nome di una inferiorità di genere, ma fondata su una pretesa superiorità di ruolo spirituale.” .

In altri termini veniva nuovamente sancita la vocazione speciale delle donne alla cura e alla responsabilità verso qualunque vivente, ma in modo particolare verso i figli, il marito, la Chiesa e la società. Una naturale vocazione che il papa definì con le parole di “genio femminile”: “La donna che non si conforma a questa lettura non disattende solo il disegno di Dio – preferendo ancora una volta Eva a Maria- ma tradisce la sua essenza più profonda, rivelandosi non all’altezza della propria natura.”.

Di questa cultura è permeata ogni scienza o arte, come si evince proprio dalle affermazioni di Ammaniti psicoanalista oltre che psichiatra: un padre che dimentica il figliolino in auto sotto il sole cocente, mostra la sua fragilità , mentre le donne meno attente alla prole mostrano il rifiuto della vocazione naturale, magari per fare (dissenatamente!) carriera nell’area pubblica.

La Murgia ci offre inequivocabili chiarificazioni: “ Al presunto genio femminile non è accostata alcuna definizione di un corrispettivo ‘genio maschile’. Se per l’uomo in quanto maschio è prevista una qualche vocazione specifica nel piano divino, Giovanni Paolo II non ha ritenuto di doverlo specificare.

Possiamo solo supporre che, oltre all’incuria verso le cose di cui per vocazione deve occuparsi la donna, all’uomo non è richiesto altro che realizzarsi a trecentosessanta gradi, come persona e come cristiano senza che questo comporti alcuna particolare inclinazione alla paternità.”.

Perché l’Italia è uno dei paesi dell’Occidente dove la percentuale di donne che lavora è tra le più basse e assai scarso è lo stato sociale ? In altri termini l’Italia è il Paese dove le donne hanno più difficoltà a conciliare la maternità con il lavoro perché mancano asili nido, “scuole materne”, strutture e aiuto per gli anziani non autosufficienti.

Il governo di Berlusconi -e le regioni dove la Destra è maggioranza come la Lombardia del ciellino Formigoni e della Lega Nord- mette sempre l’accento su eventuali aiuti alla famiglia sotto forma di bonus , piuttosto che nella forma di strutture pubbliche. Vi è sotto traccia proprio la concezione cattolica , così esplicita per esempio, nelle parole del ministro Giovannardi, che ritiene la donna fondamento dell’unità della famiglia.

La Murgia analizza in specifico il rituale del matrimonio secondo l’archetipo Cristo-Chiesa. Ai coniugi viene richiesto di attenersi e riprodurre il modello Cristo/Chiesa nella loro vita . Ma Cristo è il capo, letteralmente la testa, mentre la Chiesa è il suo corpo mistico, “in un rapporto di dipendenza univoca. L’uno è la guida e il pastore, l’altra il discepolo e il gregge. Che cosa possa significare per la donna stare dentro una relazione che deve rispettare questi termini non è difficile intuire.”.

Mentre anche in Italia si è affermato l’approccio psicologico con gli/le stranieri/e utilizzando metodiche provenienti dai vari indirizzi di etnopsichiatria, etnopsicoterapia ecc., nel setting o nelle relazioni di aiuto, con gli italiani e le italiane ci si comporta come se gli individui non fossero portatori di condizionamenti culturali, che sono anche il frutto della presenza continua, pressante della casta (maschile) sacerdotale cattolica.

La questione dell’ottica di genere nelle riflessioni e nelle azioni politiche e sociali, se non si fa carico di una lettura simile a quella proposta dalla Murgia, finisce per mostrare il fiato corto.