Chiesa forte, stato debole?

Paolo Naso
www.chiesavaldesetrapani.com

Da un convegno all’altro in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale, rimbalzano alcuni interrogativi sullo stato del nostro Paese, i suoi punti di forze e le sue criticità. Tra le nostre maggiori difficoltà emerge ricorrente l’idea di uno Stato debole, nato al Nord e faticosamente esportato al Sud; concepito come unitario eppure frammentato in mille consorterie; centralizzato ma condizionato dai gruppi di potere locali; laico però segnato da una mai risolta ipoteca confessionale. A fronte di questa debolezza si cita spesso la forza della tradizione cattolica, il radicamento delle strutture ed il peso dei suoi pronunciamenti.

Sin dall’inizio dell’esperienza nazionale – scrive lo storico Paul Ginsborg in un vivace pamphlet intitolato “Salviamo l’Italia” (Einaudi 2011), la classe politica italiana “ha mostrato un atteggiamento sostanzialmente subalterno alla Chiesa (cattolica, n.d.r.), nel timore di alienarsi il Vaticano e di perdere voti. E’ fortemente sintomatico – continua – della natura titubante dei grandi partiti di sinistra che le battaglie fondamentali per le libertà individuali portate avanti negli anni Settanta e Ottanta nacquero non per loro iniziativa bensì ad opera di piccoli gruppi all’interno ed all’esterno del Parlamento”.

Chiesa (cattolica) forte, quindi, e Italia (politica) debole: la formula è suggestiva ma non del tutto convincente. La forza della Chiesa cattolica, infatti, sta soprattutto nella sua capacità di negoziazione politica: nessun’altra agenzia sociale o culturale ha la capacità di pressione e di condizionamento sul sistema politico dei vertici della Conferenza episcopale italiana. In questo senso l’affermazione di Ginsborg è del tutto condivisibile.

Ma il “metro” con cui si può giudicare la “forza” di una Chiesa può essere – dovrebbe essere – anche un altro, legato cioè all’efficacia della sua azione pastorale, all’adesione ai suoi precetti fondamentali, alla partecipazione ai momenti rituali ed alla pratica del culto. Ma tutti questi parametri indicano una difficoltà e quindi una debolezza: il calo delle vocazioni e della partecipazione alla Messa domenicale, la diminuzione dei matrimoni religiosi, l’irrilevanza della indicazione confessionale in materia di contraccezione e una diffusa confusione su aspetti dogmatici centrali della fede cristiana e cattolica sono ampiamente documentati da una serie di ricerche condotte anche da parte cattolica. Ed allora? La forza non è della Chiesa (cattolica) ma della rappresentazione politica e sociale che della Chiesa (cattolica) viene data anche da chi cattolico non è. I media giocano ovviamente un ruolo decisivo a riguardo ma a monte c’è una tradizione culturale che, attraversando soggetti e tradizioni diverse, assegna alla Chiesa cattolica il ruolo di agenzia esclusiva dei valori, del senso e della morale. E questa tradizione è assolutamente bipartisan.

Se è debole l’Italia politica, sono deboli soprattutto la sue culture politiche che non si sono mai emancipate dello scontro tra Guelfi e Ghibellini, baciapile e mangiapreti, chierici ed anticlericali. La vera debolezza italiana è infatti l’assenza di una vera tradizione laica in grado di conciliare la particolarità italiana di una rilevante tradizione confessionale con quel principio democratico e costituzionale che vuole tutte le confessioni religiose ugualmente libere e che distingue tra la sfera di competenza di una comunità di fede da quella dello Stato. Non è un tema secondario per un paese che difetta di coesione nazionale e di spirito di inclusione delle nuove identità che, anche in virtù dei flussi migratori, si esprimono al suo interno.

Tra i tanti temi da discutere in questo anniversario dell’Unità, quello della laicità dovrebbe essere uno dei più popolari e dei più frequentati. Abbiamo ancora qualche mese.