Bertone ha la febbre, vuole il San Raffaele

Sandro Magister
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E mette sul tavolo 200 milioni di euro. Ma l’acquisto dell’ospedale di don Verzé minaccia di trasformarsi in un boomerang, per il cardinale segretario di stato. Fallisce anche il suo tentativo di conquistare il controllo dell’Università Cattolica

Mentre Benedetto XVI è nella quiete di Castel Gandolfo, nella segreteria di stato vaticana si susseguono giornate febbrili.

A far salire la febbre non sono soltanto le ordinazioni episcopali illecite in Cina. La segreteria di stato è impegnata allo spasimo anche in quello che considera il suo cortile di casa, l’Italia.

Il cardinale Tarcisio Bertone vuole creare in Italia un polo cattolico di eccellenza nel campo della sanità. Riunendo sotto il controllo e la guida del Vaticano tre ospedali di avanguardia quali il Bambino Gesù, il Gemelli e il San Raffaele.

Il Bambino Gesù, ospedale specializzato in pediatria con sede centrale a Roma, il segretario di stato l’ha già sotto controllo dal 2008, da quando ha collocato alla sua presidenza un manager di sua stretta obbedienza, Giuseppe Profiti, da lui già apprezzato come vicepresidente di un altro importante ospedale, il Galliera di Genova, negli anni in cui lo stesso Bertone era arcivescovo di quella città e quindi, per statuto, anche presidente di quell’ospedale.

Ma il Gemelli e il San Raffaele no. Non dipendono in nulla dalla segreteria di stato vaticana. Per ora. L’attività frenetica che Bertone sta sviluppando punta precisamente alla loro conquista.

E il successo o no dell’operazione ha tempi strettissimi, sul filo dei giorni.

Il policlinico Agostino Gemelli – famoso in tutto il mondo perché ospitò e curò Giovanni Paolo II dopo avergli salvato la vita dal terribile attentato del 1981 – è l’ospedale e la facoltà di medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La sua conquista passa quindi per il controllo dell’istituto fondatore e promotore di questa università: l’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.

Il Toniolo è composto da undici membri. Una decina di anni fa vi comandavano due politici di lungo corso, Emilio Colombo, già presidente del consiglio, e Oscar Luigi Scalfaro, già presidente della repubblica. Il loro patrono ecclesiastico era il segretario di stato dell’epoca, il cardinale Angelo Sodano, mentre il loro manager di riferimento era il direttore amministrativo dell’Università Cattolica, Carlo Balestrero.

La svolta si ebbe tra il 2002 e il 2003, con la nomina a rettore della Cattolica del professor Lorenzo Ornaghi e con la nomina a presidente del Toniolo dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi: quest’ultima nomina voluta da Giovanni Paolo II in persona.

Grazie a questa svolta e all’uscita di scena di Colombo e di Scalfaro, il controllo del Toniolo passò di fatto alla conferenza episcopale italiana, all’epoca presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Nel Toniolo entrarono successivamente altre personalità a lui legate, tra cui, nel 2004, l’allora direttore del quotidiano della CEI “Avvenire”, Dino Boffo. Come direttore amministrativo dell’università, a Balestrero subentrò Antonio Cicchetti, il creatore del Gemelli. Ornaghi fu poi per altre due volte confermato rettore.

Gli sconfitti però non si diedero per vinti. Contro Cicchetti, Ornaghi e Boffo cominciarono a circolare delle carte diffamatorie, spedite anonimamente, a più riprese, a cardinali, a vescovi, ad autorità civili, a giornalisti.

Una di queste carte false, contro Boffo, il 28 agosto 2009 uscì clamorosamente sulla prima pagina de “il Giornale”. E né la segreteria di stato vaticana retta dal cardinale Bertone, né il quotidiano che da essa dipende, “L’Osservatore Romano” diretto da Giovanni Maria Vian, fecero alcunché in difesa del diffamato. Anzi, proprio in quei giorni Vian, in un’intervista al più diffuso giornale italiano, il “Corriere della Sera”, imputò a Boffo d’essere un cattivo direttore.

Colpendo Boffo e “Avvenire”, era evidente che il bersaglio ultimo era la CEI di Ruini e del suo successore, il cardinale Angelo Bagnasco; così come il “progetto” da essi perseguito di una Chiesa molto presente e attiva nella società e nella cultura.

Che il cardinale Bertone volesse – e voglia tuttora – essere lui la guida della Chiesa italiana “per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche” non è un segreto.

Quando, il 25 marzo del 2007, Bagnasco entrò in carica come presidente della CEI, fu lo stesso Bertone a scriverglielo nero su bianco, in una lettera pubblica. Di quella lettera, Bertone neppure aveva avvertito al papa. L’aveva scritta tutta da solo, incurante di contraddire il documento pontificio “Apostolos suos” del 1998, che attribuisce non alla segreteria di stato ma alle conferenze episcopali “i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, della pace, dei diritti umani, anche perché vengano tutelati dalla legislazione civile, la promozione della giustizia sociale, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale”.

Nel 2010, l’offensiva contro il Toniolo si sviluppò in tre lettere indirizzate al cardinale Tettamanzi e fatte trapelare sulla stampa, firmate dal professor Alberto Crespi, già preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica. Nelle lettere si accusava di “cattiva gestione” il Toniolo e si lamentava, tra l’altro, che avesse cooptato tra i suoi membri Boffo invece del professor Giovanni Maria Flick, già presidente della corte costituzionale, uomo di fiducia del cardinale Bertone.

Nel 2011 è lo stesso Bertone ad agire in prima persona. Il 18 febbraio scorso, il segretario di stato scrive al cardinale Tettamanzi per rinnovargli le critiche e per chiedergli di dimettersi dalla presidenza del Toniolo, di farvi entrare al suo posto Flick e di accelerare la sostituzione di altri tre membri del comitato. Il tutto in tempi strettissimi, prima del cambio di arcivescovo a Milano, previsto per fine giugno.

Tettamanzi risponde inviando una memoria scritta a Benedetto XVI, nella quale respinge punto per punto le accuse di cattiva gestione e anzi, mette in luce le iniziative adottate a sostegno dell’Università dallo stesso Toniolo e dal nuovo direttore amministrativo della Cattolica, Enrico Fusi.

Il 30 aprile, Benedetto XVI riceve in udienza Tettamanzi. Lo ascolta, fa entrare Bertone e ordina che nel Toniolo nulla si cambi fino a dopo l’arrivo a Milano del nuovo arcivescovo, che sarà il cardinale Angelo Scola, notoriamente inviso allo stesso Bertone.

Ma il segretario di stato non si arrende e – con Scola già nominato arcivescovo di Milano ma non ancora entrato in diocesi – chiede di nuovo a Tettamanzi di farsi da parte, in nome di un necessario e urgente “rinnovamento” che comprenda anche la riscrittura degli statuti del Toniolo e della stessa Università Cattolica, con l’attribuzione al Vaticano di poteri di guida che oggi non ha.

Boffo, nel frattempo diventato direttore generale di TV 2000, la tv di proprietà della CEI, interpellato dai giornalisti, il 7 luglio dice: “La logica della lotta di potere mi sembra sia avulsa da questo pontificato e quindi mi auguro che le indiscrezioni vengano smentite”.

Ma una “fonte vicina alla segreteria di stato”, anonima ma riconoscibilissima, gli replica l’indomani, sul “Corriere della Sera”, chiamando a sostegno proprio il pontefice: “Il cardinale Bertone si identifica con il papa, è Benedetto XVI a volere il cambiamento e la trasparenza; chi distingue tra il pontefice e il suo segretario di stato o è in malafede o non ha capito nulla”.

I fatti dicono l’opposto, In ogni caso, l’arrivo di Scola a Milano, il 25 settembre, scriverà la parola fine sulla fallita campagna di Bertone per la conquista del Toniolo, e quindi del policlinico Gemelli.

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Ancor più incerto, poi, appare l’esito dell’altra campagna in cui Bertone si è impegnato allo spasimo, quella per la conquista del San Raffaele.

Il San Raffaele è un grandioso polo ospedaliero d’avanguardia, fondato e presieduto a Milano da un sacerdote, Luigi Maria Verzé, che però non ha nulla nei suoi statuti che lo leghi alla Chiesa, e ha poco di cattolico anche in quello fa.

Basti dire che vi si pratica la fecondazione artificiale, condannata dalla Chiesa, e che nei suoi modernissimi laboratori si compiono ricerche svincolate dai criteri etici affermati dal magistero.

Non solo. Nell’annessa Università Vita-Salute, dedicata agli studi umanistici, vi insegnano filosofia, teologia e materie scientifiche docenti in plateale contrasto con la visione cattolica, da Emanuele Severino a Massimo Cacciari, da Roberta De Monticelli a Vito Mancuso, da Edoardo Boncinelli a Luca Cavalli-Sforza.

Lo stesso don Verzé ha più volte impensierito le gerarchie cattoliche, con dichiarazioni confusamente favorevoli all’eutanasia o all’utilizzo degli embrioni.

Ciò non toglie che il San Raffaele, guardato all’inizio con forti sospetti da un arcivescovo di Milano come Giovanni Battista Montini, abbia poi raccolto consensi e simpatie da parte soprattutto di un altro arcivescovo, Carlo Maria Martini.

Oggi a concentrare l’interesse sul San Raffaele è il cardinale Bertone. Che ha pensato addirittura di annetterne la proprietà.

L’occasione è data dal colossale debito, di quasi un miliardo di euro, che ha portato il San Raffaele sull’orlo della bancarotta.

Nei mesi scorsi si erano affacciate diverse ipotesi di salvataggio. Queste però si sono ritirate quando sono entrati in campo, a fine giugno, Bertone e lo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana.

Lo IOR si è detto pronto a versare subito 200 milioni di euro, mentre un miliardo in 3-5 anni lo assicurerebbe una “charity” internazionale finora avvolta nel mistero (il finanziere George Soros ha smentito di essere parte dell’affare).

In cambio, il cardinale Bertone ha preteso l’ingresso nel consiglio d’amministrazione della Fondazione Monte Tabor, che governa l’intero complesso, di quattro suoi fiduciari: Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR, Giuseppe Profiti, presidente dell’ospedale Bambino Gesù, Giovanni Maria Flick, aspirante presidente, come s’è visto, dell’Istituto Toniolo, e l’industriale genovese Vittorio Malacalza.

Riunitosi con i suoi fedelissimi il 7 luglio, don Verzé si è detto pronto ad accettare l’offerta di salvataggio vaticana e l’ingresso dei quattro fiduciari di Bertone nel consiglio della Fondazione. Con loro, entrerebbero anche Massimo Clementi, preside della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università VIta-Salute, e il professor Maurizio Pini, dell’Università Bocconi, in rappresentanza della “charity”. A don Verzé i nuovi arrivati conserverebbero il ruolo di presidente onorario. Lui però insiste a volere di più, a mantenere tutti i poteri e ad aumentare da sette a nove il numero dei consiglieri, per far posto a due sue fedelissime, Gianna Zoppei e Laura Ziller.

I tempi per il salvataggio sono strettissimi. Tutto si deciderà nei prossimi giorni. Ma se l’operazione è già piena di incognite sul terreno finanziario, ancor di più lo è su ciò che dovrebbe più stare a cuore alle autorità della Chiesa.

Infatti, se la Santa Sede diventasse proprietaria del San Raffaele, non potrebbe accettare che lì si continuino ad insegnare e a praticare cose contrarie al magistero cattolico.

Incredibilmente, però, risulta che il cardinale Bertone non abbia soppesato questo problema, né che ne abbia discusso con i suoi uomini di fiducia, prima di avventurarsi nella conquista del San Raffaele.

Solo in questi ultimissimi giorni la questione è stata posta per la prima volta all’attenzione del segretario di stato.

Quella che egli ha concepito come una “rivoluzione epocale” rischia così di trasformarsi, se non fermata in tempo, in un costoso e disastroso boomerang.

Perché rifondare da capo, su basi cattoliche, un complesso come il San Raffaele che cattolico non è mai stato, è semplicemente un’impresa impossibile.