I rischi dell’integralismo cristiano

Giovanni Panettiere
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Finora l’avevamo conosciuto islamico. Prima la strage di Madrid, poi l’inferno di Londra. Sono state le immagini strazianti di Oslo e Utoya a spiazzare le nostre certezze. E a farci incontrare il fondamentalismo cristiano. Quello che serpeggia nel pantheon ideale dei partiti dell’estrema destra, in costante ascesa nei Paesi scandinavi.

Sul suo profilo in Facebook Anders Behring Breivik, 32enne norvegese, si definisce «single, cristiano, conservatore e anti-islamico». La polizia l’ha arrestato, con l’accusa di essere l’autore della carneficina dei giovani laburisti. Massacrati dal male travestito dal bene. Dal boia in divisa da poliziotto.

Quanto accaduto in Norvegia ha il sapore di un pugno allo stomaco per chi relega l’integralismo alla galassia musulmana. Non è così. La fede, qualsiasi credo, ha sempre la sfortuna di prestare il fianco ad un’interpretazione fondamentalista. Il rischio maggiore sta nell’esegesi dei testi sacri. Bibbia, Corano o Torah, il discorso non cambia. Bene ha fatto la Chiesa cattolica, in sede di Concilio Vaticano II, a legittimare il metodo storico critico nell’interpretazione della Parola di Dio.

Purtroppo non basta, perché l’integralismo è sempre dietro l’angolo, se la fede diventa un’ossessione. Gesù non è e non può essere un optional per un cristiano. E’ l’anima della sua vita. Quella privata e quella pubblica. Ma, quando la religione s’impadronisce della nostra esistenza, finisce per stravolgerla. Rendendoci incapaci di gustare la bellezza del mondo nelle sue diverse sfaccettature.

Non siamo più giornalisti, avvocati, medici, operai cristiani. Siamo solo cristiani, punto e basta. Esseri invasati, annicchiliti dalla volontà di potenza. La stessa che annebbia il messaggio di pace e di amore presente in ogni credo. E’ successo così l’11 settembre 2001. Si è ripetuto il 22 luglio 2011, in un paradiso terrestre diventato un inferno nel nome di Dio.