La Santa Evasione

Stefano Livadiotti
http://espresso.repubblica.it, 31 agosto 2011

Un patrimonio immobiliare sterminato. E tutto senza tasse. Più sovvenzioni, sconti, esenzioni. Così lo Stato privilegia il tesoro del Vaticano. E rinuncia a entrate milionarie

Ci sono gli aspirantati, i commissariati, le case sante, le pie società, le arcidiocesi, le curie generalizie, le arciconfraternite e i capitoli. Poi: i seminari pontifici, i pellegrinaggi, i vescovadi, gli stabilimenti, i sodalizi e le postulazioni generali. E ancora: i segretariati, gli asili, le confraternite, le nunziature e le segnature apostoliche…

E’ accuratamente nascosto dietro una babele di migliaia di sigle spesso imperscrutabili il patrimonio immobiliare italiano della Chiesa, il più grande del mondo intero, che alcuni arrivano a stimare nell’iperbolica cifra di un miliardo di metri quadrati. Un tesoro comunque immenso, ormai circondato dalla leggenda e che costituisce uno dei segreti meglio custoditi del Paese. Da sempre. E più che mai oggi, nel momento in cui intorno a questa montagna di mattoni, e alla Santa Evasione, legalizzata sotto forma di elusione, infuria una polemica politica al calor bianco. E che potrebbe presto trasferirsi clamorosamente nelle aule del Parlamento.

“Quante divisioni ha il Papa?”, chiedeva Joseph Stalin a chi gli riportava le accuse del Vaticano. Si vedrà quando il Parlamento sarà chiamato a votare la maxi manovra balneare da 45 miliardi abborracciata dal governo per tentare di far fronte alla crisi economica. I radicali hanno infatti presentato un emendamento che farebbe cadere l’esenzione dall’Ici, l’imposta comunale sul mattone, per tutti gli immobili della Chiesa non utilizzati per finalità di culto (quelli cioè in cui si svolgono attività turistiche, assistenziali, didattiche, sportive e sanitarie, spesso in concorrenza con privati che al fisco non possono opporre scudi di sorta).

Una partita decisiva per la Santa Casta della Chiesa e per il suo vertice, una pletorica nomenklatura autoreferenziale e interamente formata per cooptazione che, secondo tutti i sondaggi più recenti, rischia di strappare alla partitocrazia la palma dell’impopolarità nazionale. Dopo averle già scippato il primato in termini di costo per la collettività.

Anni di trattative con la politica, spesso sfociati in accordi di favore ai confini con la legalità, hanno infatti assicurato alla Chiesa un pacchetto di privilegi che, tra sovvenzioni statali dirette e indirette (quelle garantite attraverso gli enti locali) ed esenzioni fiscali vale – secondo i calcoli di Curzio Maltese (“La Questua”) – quattro miliardi e mezzo l’anno, 500 milioni in più rispetto all’apparato politico (ma in un altro libro Piergiorgio Odifreddi arriva addirittura a una cifra doppia). Una parte consistente di questa ricchissima torta deriva proprio dall’esenzione sull’Ici.

Un privilegio che una prudentissima analisi dei Comuni ha valutato in un mancato gettito fiscale compreso tra i 400 e i 700 milioni di euro l’anno (ma secondo Odifreddi le esenzioni fiscali immobiliari del Vaticano valgono invece dieci volte di più: 6 miliardi) e per il quale Roma rischia una salata condanna a Bruxelles per aiuti di Stato. Se il bonus venisse abrogato, allora anche tutto il resto potrebbe essere messo in discussione. In Vaticano è dunque allarme rosso. Anche perché la crociata lanciata dai radicali sta guadagnando consensi.

Nei giorni scorsi l’incauta sortita contro l’evasione fiscale del capo dei vescovi, Angelo Bagnasco, ha suscitato una reazione forte in un Paese chiamato al sacrificio per fronteggiare la crisi. Nel giro di poche ore, su Internet decine di migliaia di firme (120 mila solo su Facebook) sono comparse in calce alla proposta di presentare al Vaticano il conto della manovra. Così ora anche il vertice dei Pd propone di dare una sforbiciata ai bonus della Santa Sede. Che ha spedito i suoi al contrattacco: “Vogliono tassare la beneficenza”, s’è lamentato il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, facendo balenare la prospettiva di una chiusura della Caritas.

I nemici sono forse più agguerriti di sempre. Ma la Chiesa è tutt’altro che disarmata: nei palazzi del potere romano il Vaticano dispone da sempre di una lobby formidabile, trasversale all’intero schieramento partitico e pronta a scattare al primo cenno di comando. Quella che lesta è entrata in azione, nell’autunno 2007, con il governo di Romano Prodi, per spazzare via con 240 voti contrari (contro appena 12 a favore) un emendamento della stessa maggioranza che avrebbe costretto gli enti ecclesiastici a pagare l’odiata Ici.

La stessa che pochi mesi prima, stavolta a Montecitorio, era riuscita a mobilitare 435 voti intorno agli interessi fiscali della Chiesa. E che all’inizio di quest’anno ha strappato la conferma dello sconto milionario, inizialmente soppresso, anche nell’Imu, la nuova imposta destinata a sostituire l’Ici dal 2014. “Oggi c’è più attenzione mediatica rispetto al passato, ma alla fine non se ne farà nulla”, dice sconsolato il deputato radicale Maurizio Turco, uno degli alfieri della battaglia contro i privilegi del Vaticano