Scommettendo su un presente che abbia futuro. Messaggio delle Giornate teologiche

Adista n. 63/2011

In conclusione di una tre giorni di ricerca in spirito di fraternità, noi partecipanti delle Giornate Teologiche del Cono Sur e del Brasile desideriamo rivolgere da Santiago del Cile questo messaggio alle nostre Chiese e alle nostre società, per condividere semplicemente quanto abbiamo ascoltato, vissuto e celebrato.

Quasi trecento persone, laici e laiche, religiosi e religiose, preti e vescovi, provenienti da Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile, Messico, Spagna, Ecuador, Bolivia e Cile, hanno vissuto un’intensa esperienza di ascolto fecondo dello Spirito di Gesù, confrontandosi tra loro e prestando attento orecchio alle voci dei nostri popoli e delle nostre comunità.

Oggi diciamo che siamo usciti rafforzati nella nostra speranza. Una speranza che ci incoraggia a mettere le nostre vite al servizio del Regno di Dio che sta in mezzo a noi, impaziente di fecondare la nostra realtà collettiva e personale, se ci rendiamo disponibili all’umile forza del suo lievito.

A Santiago abbiamo incontrato le manifestazioni studentesche contro una società che moltiplica le disuguaglianze e comunità cristiane che, di fronte a sfide complesse ed esperienze traumatiche, hanno ricevuto con grande apertura e generosità le sorelle e i fratelli di questa parte dell’America Latina.

Abbiamo creato condivisione a partire dalle nostre differenze e dalle nostre diversità storiche, geografiche, culturali, dai nostri diversi processi sociali ed ecclesiali. Ne siamo usciti arricchiti, specialmente quando abbiamo ricordato e celebrato la testimonianza di quanti negli ultimi decenni hanno offerto straordinarie prove di fedeltà al Dio della vita, nel seno del nostro popolo, soprattutto tra i più impoveriti ed esclusi.

Vogliamo ricordare specialmente la figura luminosa e carissima di quel discepolo di Gesù Cristo e teologo sempre rigoroso ed esemplare che è stato Ronaldo Muñoz, da cui ricevono il nome queste giornate. In questa condivisione, abbiamo sperimentato una volta di più che, nel più profondo, quello che ci unisce rendendo complementari le nostre diversità è la sequela di Gesù sotto la guida del suo Spirito.

Nel rivolgervi queste parole, oggi, 15 luglio, celebriamo i 50 anni dalla pubblicazione della Mater et Magistra di Giovanni XXIII, di cui ricordiamo con gratitudine il gesto di aprire porte e finestre affinché la Chiesa cattolica potesse apprendere che, per essere madre e maestra, doveva diventare ogni giorno figlia e discepola.

Egli voleva che questa Chiesa non condannasse nessuno, che fosse misericordiosa e non avesse paura di affrontare le sfide del mondo moderno. Oggi vogliamo riprendere questa eredità in tempi in cui è molto forte la tentazione di chiuderci nei nostri timori e di reagire dando lezioni a tutti e su tutto.

In questa scuola di papa Giovanni e alla vigilia del cinquantenario della celebrazione del Concilio Vaticano II, vi trasmettiamo la nostra convinzione, la nostra speranza, ma anche il nostro impegno, relativamente al fatto che questo cammino luminoso, iniziato in America Latina a partire da Medellín, deve continuare ad essere il nostro cammino in questo tempo, per le nostre comunità, di fronte ai nostri popoli, con essi, in essi e per essi, nella loro ricerca e nel loro impegno a partire dalle richieste che sorgono dai nuovi scenari sociopolitici ed ecclesiali che ci è capitato di vivere.

Per questo, per quanto tre giornate non possano essere in alcun modo paragonate a quattro lunghe sessioni conciliari, in esse abbiamo cercato di riprodurre in piccolo quell’esperienza sinodale, recuperando anche il contributo offerto dal cammino della teologia della liberazione, nata quarant’anni fa. Abbiamo proceduto insieme, domandandoci prima di tutto cosa significhi mantenere viva la memoria del Vaticano II e identificando i punti per i quali passa oggi la sua validità e attualità.

Consapevoli del fatto che la «Chiesa deve scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo» (GS 4), abbiamo voluto avviare un processo di costruzione collettiva che articoli il nostro pensiero e il nostro sentire, in uno sforzo che ha comportato un attento ascolto di distinte esperienze e visioni, in una condivisione in gruppi di lavoro che hanno affrontato tematiche nuove che ci interpellano a partire dai nostri contesti quotidiani, «scommettendo su un presente che abbia futuro».

In una ricerca teologica che abbiamo definito pastorale, come fecero i fratelli vescovi conciliari, abbiamo voluto, come loro, porre al centro la Parola di Dio, letta in comunità, in una tradizione già consolidata in America Latina e condivisa con le nostre Chiese sorelle.

Come ci ha insegnato il Concilio, ci siamo interrogati, a partire dai movimenti sociali, riguardo al processo di integrazione che segna la realtà dei Paesi del Cono Sur, accettando anche la sfida di confrontare le nostre ricerche teologiche con le scienze sociali, l’economia, la politica, le scienze naturali e tutte le espressioni culturali che fanno parte della realtà in cui risuona sempre la voce di Dio.

I tempi sono cambiati, il che ci spinge a far dialogare la nostra teologia latinoamericana con realtà e saperi che non erano presenti nei lavori del Vaticano II, né alle origini della Teologia della Liberazione. Per noi si tratta di nuovi clamori che non possiamo non ascoltare, come la nuova cosmologia e la spiritualità ecologica, i migranti, il protagonismo delle donne e la prospettiva della giustizia di genere, la saggezza e le filosofie dei popoli originari e afrodiscendenti della nostra America, in relazione a Dio e a tutti i nuovi volti di esclusione che emergono dall’invisibilità.

In tutto ciò abbiamo condiviso le domande contemporanee su Dio – quelle che poniamo noi stessi e quelle che riceviamo dagli altri: «Chi dice la gente che io sia?, Chi dite voi che io sia?» – provvidenzialmente riuniti nell’Università che porta il nome del card. Raúl Silva Henríquez, il quale ha dato al Cile il sogno che nessuno si senta escluso, che non esista miseria, che ogni bambino e bambina abbia una scuola, che ogni famiglia possa abitare in una casa degna e che regni la solidarietà.

L’eco di queste parole risuona in mezzo alle proteste studentesche, di cui abbiamo sentito l’inquietudine riguardo alla formazione religiosa senza pretendere di chiudere alcuna questione né di darci risposte rassicuranti.

L’esperienza di queste giornate, lo diciamo ancora una volta, ha avuto a che fare soprattutto con la speranza, con il nostro desiderio di ripresa, di apertura e di accettazione della pazienza storica, cercando di identificare le manifestazioni del Regno di Dio tra noi.

Con Paolo sentiamo «che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente […]. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati» (Rm 8, 22-24).

Questi gemiti sono il frutto della sofferenza, quella che cerchiamo di condividere con quanti sono privati di una vita come quella che vuole Dio e che non abbiamo mancato di evidenziare, affinché ci mettesse in discussione ancora una volta in queste giornate. Ma allo stesso modo questi gemiti ci si presentano come voci di speranza, quella che ci porta a dirci e a dirvi che lo stesso Spirito che negli anni ’60 ha soffiato nel Vaticano II continua oggi a scuotere le nostre vite e continua ad aprirci al futuro. Lo abbiamo vissuto in questi giorni.

La Chiesa del Concilio, di Medellín, della teologia della liberazione, delle comunità ecclesiali di base, dei recenti impulsi di Aparecida, non è un’illusione nostalgica, è realtà, è il presente che ci interpella e il futuro che non vuole perdere il suo orizzonte utopico, ma necessita ancora del nostro sforzo paziente per mostrare tutto ciò che lo Spirito vuole fare di essa nel nostro continente, nel mondo e nella realtà cosmica che ci abbraccia.

A partire da questa esperienza vogliamo entrare in una tappa segnata da una fruttuosa creatività. Intendiamo raggiungere questo obiettivo riscattando elementi importanti del Concilio e, con l’esperienza di questi quarant’anni di teologia della liberazione, proiettare la prassi teologica assumendo le nuove sfide.

Ricordiamo che queste giornate sono parte della preparazione del prossimo Congresso Teologico Continentale che si effettuerà in Brasile nell’ottobre del prossimo anno. In questo cammino ci accompagna e ci sostiene il Signore, giacché «tutto quello che ha a che vedere con Cristo, ha a che vedere con i poveri e tutto ciò che è relazionato con i poveri richiama Gesù Cristo» (DA 393).