Vaticano II, 50 anni dopo di J.Comblin

José Comblin
Adista Documenti n. 64/2011

PRIMA DEL CONCILIO

La maggior parte dei vescovi che arrivarono al Concilio Vaticano II non capivano perché fossero stati convocati. Pensavano, come i funzionari della Curia, che il papa da solo potesse decidere tutto e che non fosse necessario convocare un Concilio. Ma c’era una minoranza profondamente cosciente dei problemi esistenti nel popolo cattolico, soprattutto nei Paesi intellettualmente e pastoralmente più sviluppati, dove si erano vissuti episodi drammatici di contrapposizione tra le preoccupazioni dei sacerdoti più aperti al mondo contemporaneo e l’amministrazione vaticana. Tutti coloro che perseguivano una presenza della Chiesa nel mondo contemporáneo, segnato dallo sviluppo delle scienze, della tecnologia e della nuova economia, come pure dallo spirito democratico, venivano repressi. C’era un’élite di vescovi e cardinali consapevoli delle riforme necessarie e intenzionati a cogliere l’occasione offerta da Giovanni XXIII. (…).

Le commissioni preparatorie erano chiaramente conservatrici ed è per questo che, all’apertura del Concilio, le prospettive dei teologi e dei periti portati dai vescovi più consapevoli erano piuttosto pessimiste. Ma ci fu il discorso di apertura di Giovanni XXIII, che rompeva decisamente con la tradizione dei papi anteriori. Giovanni XXIII annunciò che il Concilio non si era riunito per pronunciare nuove condanne di eresie, come d’abitudine. Si trattava di presentare al mondo un’altra immagine di Chiesa, che l’avrebbe resa più comprensibile ai contemporanei. La maggior parte dei vescovi non comprese nulla e pensò che il papa non avesse detto niente perché non aveva menzionato alcuna eresia. Per il papa non si trattava di aumentare il numero dei dogmi, ma di parlare al mondo moderno in un linguaggio che questo potesse comprendere. Una minoranza illuminata intese il messaggio e sentì che avrebbe avuto l’appoggio del papa nella lotta contro la Curia.

La Curia romana aveva una strategia. C’era un modo di annullare il Concilio. Le commissioni preparatorie avevano preparato documenti su tutte le questioni annunciate. Tutti questi documenti erano conservatori e non permettevano alcun cambiamento reale nella pastorale. Sarebbero stati consegnati alle commissioni conciliari che li avrebbero approvati e il Concilio sarebbe finito in poche settimane con documenti inoffensivi che non avrebbero modificato nulla. L’importante era tracciare liste di commissioni con vescovi conservatori e spiegare al Concilio che la cosa più pratica era accettare le liste già preparate dalla Curia.

Il primo a scoprire tale strategia fu don Manuel Larraín, vescovo di Talca, Cile, e presidente del Celam. Insieme a don Helder Cámara – erano amici intimi, abituati a lavorare insieme – andarono ad avvisare i leader dell’episcopato riformatore. (…). Si trattava di respingere le liste preparate dalla Curia e chiedere che le commissioni fossero elette dallo stesso Concilio. I cardinali Doepfner di Monaco, Liénart di Lille, Suenens di Malinas, Montini di Milano e alcuni altri presero la parola e chiesero che fosse lo stesso Concilio a nominare i membri delle commissioni, proposta approvata per acclamazione.

La conclusione fu che le nuove commissioni bocciarono tutti i documenti stilati dalle commissioni preparatorie: un’affermazione dell’episcopato rispetto alla Curia romana. Il papa era contento. (…).
La maggioranza conciliare che il gruppo leader riuscì a garantirsi non voleva una rottura e per questo diede sempre importanza alla minoranza conservatrice, per quanto piccola, che rappresentava gli interessi della Curia e si identificava con essa. Pertanto, molti testi risultarono ambigui, perché a un paragrafo riformista ne seguiva uno conservatore che diceva il contrario. Da un lato si annunciavano temi nuovi e dall’altro si dava spazio a quelli vecchi della tradizione dei papi Pio. Tale ambiguità pregiudicò molto l’applicazione del Concilio.

La minoranza conciliare e la Curia non si convertirono. Ancora oggi si oppongono al Vaticano II, trovando argomenti negli stessi testi conciliari conservatori. Quando Giovanni Paolo II citava i testi del Vaticano II, erano quelli più conservatori, come se gli altri non esistessero. Per esempio, nella Costituzione Lumen Gentium, è chiaro che l’accento è posto sul ruolo dato al popolo di Dio. Tuttavia, quando si tratta della gerarchia, il popolo di Dio scompare e tutto continua come sempre. Nel 1985, su sollecitazione del card. Ratzinger, il popolo di Dio venne eliminato dal vocabolario del Vaticano. Da allora, nessun documento romano fa riferimento al popolo di Dio, che era il tema centrale della Costituzione conciliare. (…).

Tale situazione ebbe molta importanza nell’evoluzione successiva del Vaticano II nella Chiesa. Fin dall’inizio, vi fu un partito a cui si diede sempre importanza e potere e che lottò contro tutte le novità. Nelle elezioni pontificie che, come sempre, vengono manipolate da alcuni gruppi, il problema del Vaticano II è stato decisivo e sono stati eletti papi di cui si conoscevano le riserve sui documenti conciliari in tutto ciò che avevano di nuovo. L’attuale papa può vivere ancora dieci anni e più. Dopo di lui possiamo prevedere che venga nuovamente eletto un papa poco impegnato con il Concilio, per usare un eufemismo, perché i gruppi che sostengono questa posizione sono molto forti nella Curia e nel collegio dei cardinali, e non vi sono segnali che le future nomine possano produrre un cambio di direzione. Le ultime nomine nella Curia sono eloquenti.

DAL 1965 AL 1968

La storia della ricezione del Vaticano II fu determinata da un avvenimento totalmente imprevisto. Il 1968 è la data simbolo della maggiore rivoluzione culturale nella storia dell’Occidente, più della rivoluzione francese o di quella russa, perché attinge la totalità dei valori della vita e tutte le strutture sociali. A partire dal 1968 vi fu molto più di una protesta studentesca. Vi fu l’inizio di un nuovo sistema di valori e di una nuova interpretazione della vita umana.

Il Vaticano II aveva risposto agli interrogativi e alle sfide della società occidentale nel 1962. (…). La società europea distrutta dalla guerra era stata ricostruita e la Chiesa occupava un posto rilevante nella società. (…). In realtà, aveva perso contatto con la classe operaia, ma questa si stava già riducendo numericamente per via dell’evoluzione dell’economia verso i servizi. Il numero dei cattolici praticanti stava diminuendo, ma non in modo da richiamare l’attenzione. (…). I problemi erano strutturali e non toccavano i dogmi né la morale tradizionale.

Nel 1968 prendeva improvvisamente il via una rivoluzione totale che abbracciava tutti i dogmi e tutta la morale tradizionale così come tutte le strutture istituzionali della Chiesa e di tutta la società. (…). Il Vaticano II aveva risposto ai problemi del 1962, ma non aveva nulla da rispondere alle sfide del 1968. Nel 1968 sarebbe stato un Concilio conservatore spaventato dalle radicali trasformazioni culturali che avevano inizio.

(…). Il 1968 significa un cambiamento di tutta la politica, l’educazione, i valori morali, l’organizzazione della vita e l’economia. (…).

a. Il 1968 significò una critica radicale nei confronti di tutte le istituzioni stabilite e di tutti i sistemi di autorità. Era la contestazione globale di tutta la società organizzata tradizionale. (…). La Chiesa cattolica era il modello tipico di un sistema istituzionale radicalmente autoritario. Pertanto, venne immediatamente e vigorosamente attaccata e denunciata. I cambiamenti conciliari, così timidi, non potevano convincere la nuova generazione. Il Vaticano II era totalmente inoffensivo se confrontato con la rivoluzione culturale avviata nel 1968.

b. Il 1968 diede inizio a una lotta contro tutti i sistemi di pensiero, le cosiddette “grandi narrazioni”. (…). Non si accetta alcun sistema che abbia la pretesa di essere “la verità”. E ciò investe i dogmi e il codice morale della Chiesa cattolica, e ogni sua pretesa di “magistero”. Il Vaticano II non poteva neppure immaginare una tale situazione. Non c’era stata alcuna critica di alcun dogma e non era mai stato messo in discussione l’intero sistema di pensiero. Ora la nuova generazione contestava tutto il sistema dottrinale della Chiesa cattolica, perché tale sistema non permetteva il libero esercizio del pensiero. (…).

c. Simultaneamente, si ebbe l’esplosione della rivoluzione femminista. La scoperta della pillola che consentiva di evitare la fecondazione e, pertanto, facilitava la limitazione della natalità provocò un entusiasmo universale tra le donne. (…). Gli episcopati dei Paesi più socialmente sviluppati e i teologi consultati dal papa ritenevano che non ci fosse nulla nella morale cristiana che potesse condannare l’uso della pillola. Ma il papa si lasciò impressionare dal settore più conservatore, per quanto minoritario, e pubblicò l’enciclica Humanae vitae. Fu come una bomba. Vi fu una immensa rivolta tra le donne cattoliche, le quali non applicarono il divieto papale e impararono a disobbedire. (…). Molti vescovi ne rimasero sconvolti, ma non potevano far nulla perché il Concilio non aveva minimamente toccato l’esercizio del primato del papa. Il papa decide da solo, anche contro tutti. Era questo il caso: il papa aveva deciso contro i vescovi, i teologi, il clero, i laici informati. Sfortunatamente, ciò fu opera di Paolo VI, che, per i tanti meriti avuti nella storia del Concilio, appariva come un uomo di apertura. (…). Per molti, l’Humanae vitae era come una smentita del Vaticano II: nulla era cambiato!

d. (…) Fino ad allora, il consumo era stato orientato dai costumi. C’era un consumo moderato e limitato. Il consumo dipendeva dalla regolarità della vita: pasti regolari e tradizionali, feste tradizionali con spese tradizionali, secondo un ritmo di vita in cui il lavoro occupava il posto centrale. A partire dagli anni ‘60, il lavoro smette di essere il centro della vita. Da allora, al centro c’è la ricerca del denaro per poter pagare le vacanze, i fine settimana, le feste che si moltiplicano indefinitamente e il consumo festivo. Il lavoro è ciò che permette il consumo. (…). Le stesse strutture sociali stimolano il consumo e quanti non possono consumare si sentono rifiutati dalla società. (…).

e. (…) Una nuova morale valuta le persone in base al denaro accumulato e all’ostentazione di ricchezza. A partire da qui i padroni del capitale fanno quello che vogliono e come vogliono. Fino alla caduta del comunismo nell’Urss, il magistero era impegnato contro di esso e dava poca attenzione alla crescita rapida di un nuova forma di capitalismo. (…). In pratica, la Chiesa si dimentica della Gaudium et Spes e accetta l’evoluzione incontrollata del capitalismo. La dottrina sociale della Chiesa perde tutto il significato profetico perché non si applica in nulla a casi concreti. Nella pratica il magistero accetta il nuovo capitalismo. (…).

LA REAZIONE DELLA CHIESA È STATA QUELLA CHE SI POTEVA TEMERE

I papi e molti vescovi accettarono l’argomento dei conservatori che i problemi della Chiesa derivavano dal Vaticano II. Vari teologi che avevano difeso e promosso i documenti conciliari cambiarono idea e adottarono la tesi dei conservatori, come lo stesso attuale papa. Dicevano che il Concilio era stato «male interpretato». Per questo, Giovanni Paolo II convocò un sinodo straordinario nel 1985 in occasione dei 20 anni dalla conclusione del Concilio per lottare contro le false interpretazioni e dare un’interpretazione corretta. In pratica, la nuova interpretazione, quella “corretta”, consisteva nel sopprimere tutto quello che di nuovo c’era nei documenti del Vaticano II. Un segnale fortemente simbolico fu la condanna dell’espressione “popolo di Dio”. (…). Praticamente, avvenne come dopo la Rivoluzione francese: chiudere le porte e le finestre per tagliare la comunicazione con il mondo esterno e rafforzare la disciplina per evitare fughe. Ma invano. Il problema è che la Chiesa non ha più un’immensa riserva di contadini poveri. In America Latina i poveri vanno con gli evangelici.

Da allora, nel linguaggio ufficiale si fa riferimento al Concilio, ma il suo messaggio è ignorato. Il Concilio rimane nella memoria e nei principi delle minoranze sensibili all’evoluzione del mondo, che da esso traggono argomenti per chiedere cambiamenti e risposte alle sfide del mondo attuale. I giovani, compresi i nuovi sacerdoti, non sanno cosa fu il Concilio, che non riveste per essi alcun interesse. Sono più interessati al cattolicesimo precedente il Vaticano II, con le sue sicurezze, la sua bellezza liturgica e la giustificazione di un autoritarismo clericale che li protegge dai problemi.

La reazione della Chiesa è stata quella del ritorno alla disciplina precedente, il cui simbolo è dato dal nuovo Codice di diritto canonico (…). Il nuovo Codice chiude le porte a tutti i cambiamenti che si potevano ispirare al Vaticano II. Rende il Vaticano II storicamente inoperante.

Nel mondo, la priorità data alla lotta contro il comunismo – un comunismo già in piena decadenza – indusse la Chiesa ad accettare silenziosamente (i silenzi della dottrina sociale della Chiesa, diceva padre Calvez) il capitalismo sfrenato insediatosi negli anni ‘70. In America Latina il Vaticano appoggiò le dittature militari e condannò tutti i movimenti di trasformazione sociale nel nome della lotta contro il comunismo. Dall’epoca del governo di Reagan, l’alleanza con gli Stati Uniti restò salda fino alla guerra contro l’Iraq, che aprì per un momento gli occhi del papa. In tal modo la Chiesa si alleava con i potenti del mondo e si condannava a ignorare il mondo dei poveri nella sua pastorale reale.

In America Latina la reazione della Chiesa alla rivoluzione culturale avviata nel mondo sviluppato fu molto dolorosa. Distrusse qualcosa di nuovo che stava nascendo. In America Latina, il Vaticano II significò un cambiamento reale. (…). Il Celam, con l’approvazione di Paolo VI, convocò l’assemblea di Medellín, la quale cambiò l’orientamento della Chiesa perché trasse dal Concilio conclusioni pratiche. Decise di optare per i poveri e di impegnarsi per un cambiamento sociale radicale, legittimò le comunità ecclesiali di base e la formazione dei laici sulla base della Bibbia e dell’azione politica. (…). In varie regioni, Medellín non venne accettata o applicata. Ma vi furono regioni importanti in cui Medellín cambiò la Chiesa e divenne l’applicazione del Vaticano II.

Tutto ciò fu attaccato sistematicamente a Roma con argomenti offerti da settori reazionari dell’America Latina. Dal 1972, la campagna contro la conferenza di Medellín fu diretta da Alfonso López Trujillo. Malgrado ciò, a Puebla, nel 1979, Medellín si salvò. Ma sotto il pontificato di Giovanni Paolo II la pressione crebbe. Gli ammonimenti romani, le nomine episcopali, la repressione contro i vescovi più impegnati sulla linea di Medellín ebbero effetto. La condanna della teologia della liberazione nel 1984 avrebbe dato il colpo finale. La lettera del papa alla Conferenza episcopale brasiliana dell’anno successivo limitò un po’ la portata della condanna, ma la teologia della liberazione rappresenta ancora oggi qualcosa di sospetto.

COSA RESTA DEL VATICANO II

Oggi, le riforme realizzate dal Vaticano II ci sembrano molto timide e totalmente inadeguate e insufficienti. Bisognerà andare molto oltre, perché il mondo è cambiato più negli ultimi 50 anni che nei 2.000 precedenti. Del Vaticano II devono rimanere come base per le riforme future:

– Il ritorno alla Bibbia come riferimento permanente della vita ecclesiale al di sopra di tutte le elaborazioni dottrinali ulteriori, dei dogmi e delle teologie.
– L’affermazione del popolo di Dio come partecipante attivo nella vita della Chiesa, tanto nella testimonianza della fede come nell’organizzazione della comunità, con tanto di definizione giuridica dei diritti e degli strumenti necessari nel caso di oppressione da parte dell’autorità.
– L’affermazione della Chiesa dei poveri.
– L’affermazione della Chiesa come servizio al mondo, al di fuori di ogni ricerca di potere.
– L’affermazione di un ecumenismo di partecipazione più intima tra le Chiese cristiane.
– L’affermazione dell’incontro tra tutte le religioni e pensieri non religiosi.
– Una riforma liturgica che usi simboli e parole comprensibili per gli uomini e le donne contemporanei. (…).

LE CONDIZIONI DELL’UMANITÀ ATTUALE IN STATO DI RADICALE TRASFORMAZIONE

a. Come intendere la fede? A partire dalla modernità, molti cristiani hanno perso la fede o hanno pensato di averla persa perché hanno un’idea sbagliata della fede. (…).
L’oggetto della fede è Gesù Cristo, la vita di Gesù Cristo. È dare la propria adesione a questa vita e adottarla come norma perché ha un valore assoluto, perché questa vita è la verità, perché è così che dobbiamo essere uomo o donna. Non è un’evidenza che non permette dubbi. È una percezione di verità, che non sopprime mai una frangia di dubbio, perché è sempre un atto volontario e perché questa verità non si vede. Il credente non si sente obbligato a credere. È un atto di dono della propria vita, la scelta di un cammino. Non c’è evidenza del fatto che Gesù vive ed è con noi, però si sente la sua presenza come un richiamo ripetuto malgrado tutti i dubbi. (…).
Oggi il papa condanna come relativismo fenomeni propri dell’essere umano, il quale oggi non può più intendere il modo tradizionale di conoscere gli oggetti della religione. Questi non fanno parte della sua esperienza di vita. (…). Tale condizione dell’essere umano di oggi presuppone una profonda revisione della teologia della fede, la quale sta già avvenendo, ma non si divulga, con la conseguenza che milioni di adolescenti perdono sempre più la fede, perché non viene spiegato loro che cos’è.

b. La religione. I nostri contemporanei abbandonano gli atti liturgici ufficiali della Chiesa perché li trovano noiosi. La messa abituale è noiosa, salvo in alcune speciali circostanze in cui appaiono migliaia di persone. (…). Quando la liturgia era in latino, era meglio perché non si capiva. Una volta che si comprende, si coglie lo stile insopportabile. Viene usato un linguaggio pomposo, formale, del tipo “umilmente chiediamo”: nessuno parla così. “Uniamo la nostra voce a quella degli angeli”: formula convenzionale che non risponde a nulla nella vita. Vi sono centinaia di formule simili. (…).

c. La morale. I nostri contemporanei non accettano codici morali, il fatto che si impongano o si proibiscano loro delle condotte perché sono nel codice. Essi vogliono intendere il valore dei precetti o dei divieti. Stanno, cioè, scoprendo la coscienza morale che permette di cogliere il valore degli atti. (…). Prima la base della morale cristiana era l’obbedienza all’autorità. Bisognava farlo o non farlo, perché la Chiesa lo ordinava o proibiva. Per questo, tante volte i laici chiedevano: questo si può fare? Se il sacerdote diceva di sì, il problema morale era risolto. Ebbene, ciò appartiene al passato.

d. La comunità. Il cristianesimo è comunitario. Ma le forme tradizionali di comunità tendono a indebolirsi. La famiglia stessa ha perso molta della sua importanza perché i suoi membri si incontrano più di rado. L’attuale parrocchia ha perso il senso di comunità. Stanno apparendo molte nuove forme di piccole comunità basate sulla libera scelta. Tali comunità avranno la capacità di celebrare l’eucarestia, il che presuppone una persona adatta a presiederla in ogni gruppo di una cinquantina di persone. Non c’è nessuna difficoltà dottrinale, perché nei primi secoli la situazione era questa e non c’erano problemi. Ciò è fondamentale perché una comunità che non si unisce nell’eucarestia non è realmente una comunità cristiana. I sacerdoti a tempo pieno saranno intorno al vescovo di ogni città importante per evangelizzare tutti i settori della società urbana.

È chiaro che non sappiamo quando e come si arriverà a questo. È poco probabile che un Concilio che riunisca unicamente vescovi possa trovare le risposte alle sfide del tempo. Le risposte non verranno dalla gerarchia, né dal clero, ma dai laici che vivono il vangelo in mezzo a un mondo che comprendono. Per questo dobbiamo stimolare la formazione di gruppi di laici impegnati allo stesso tempo con il vangelo e con la società umana in cui operano.

Il Vaticano II resterà nella storia come un tentativo di riformare la Chiesa alla fine di un’epoca storica di 15 secoli. Il suo unico difetto fu che avvenne troppo tardi. Tre anni dopo la sua chiusura, aveva inizio la maggiore rivoluzione culturale dell’Occidente. I suoi detrattori lo accusarono di tutti i problemi sorti da questa rivoluzione culturale, e, con ciò, lo uccisero. Ma il Vaticano II resta come un segno profetico. In mezzo a una Chiesa prigioniera di un passato che non sa superare, rappresenta una voce profetica. Non riuscì a riformare la Chiesa come avrebbe voluto, ma fu un invito a guardare avanti. Vi sono ancora potenti movimenti che predicane il ritorno al passato. Dobbiamo protestare. Quando persone che non intendono nulla dell’evoluzione del mondo contemporaneo vogliono rifugiarsi in un passato senza apertura al futuro, dobbiamo denunciare. Per noi, il Vaticano II è Medellín. Hanno voluto uccidere anche Medellín. Ma Medellín resta come la luce che ci mostra il cammino.

Un’ultima riflessione: il futuro della Chiesa cattolica sta nascendo in Asia e in Africa. Sarà molto diverso. Ai giovani bisogna dire: imparate il cinese!