Allarme in Vaticano per la crisi della chiesa in Brasile

Giacomo Galeazzi
Vatican Insider (La Stampa)

Negli ultimi dieci anni, milioni di brasiliani hanno lasciato la comunità cattolica più numerosa del pianeta per entrare nelle congregazioni pentecostali

Trent’anni fa oltre il 90% dei brasiliani si definiva cattolico, adesso la soglia è scesa al 68%, il dato più basso dal 1872. L’allarme è scattato in perchè nel più grande paese cattolico del mondo (140 milioni di fedeli) sempre più persone recidono i legami con Roma.

Altro che Sud-America terra di speranza per il cattolicesimo mondiale. I dati dicono altro. Secondo quelli resi noti dalla fondazione «Getulio Vargas», nell’ultimo decennio, a causa della secolarizzazione e del boom delle sette evangeliche, diminuiscono continuamente i cattolici brasiliani mentre aumentano a dismisura le decine di denominazioni evangeliche. Una ricerca condotta dal principale istituto di ricerca del Brasile sulla base di 200mila interviste fotografa un progressivo allontanamento dalla Chiesa soprattutto delle nuove generazioni.

E significativamente la Santa Sede ha scelto proprio Rio de Janeiro come prossima sede della Gm, per rilanciare la pastorale giovanile in Sud America. Negli ultimi dieci anni, milioni di brasiliani hanno lasciato la comunità cattolica più numerosa del pianeta per entrare nelle congregazioni pentecostali. Il 2010 è stato l’anno nero della Chiesa cattolica in Brasile. Il numero di «under 20» che dichiarano di non seguire alcuna religione è salito tre volte più velocemente di quello delle persone con più di 50 anni. Il 9% dei giovani brasiliani è privo di appartenenza religiosa. Una tendenza simile a quella degli abbandoni della Chiesa.

L’adesione al cattolicesimo nella popolazione brasiliana è scesa al più basso livello dal 1872: 68% rispetto al 72,5% del 2003. L’emorragia di credenti colpisce soprattutto la classe media. Contemporaneamente i gruppi pentecostali sono saliti al 12,8% della popolazione.

La secolarizzazione morde la partecipazione religiosa e la concorrenza delle sette evangeliche è sempre più agguerrita. Roma si trova a dover fare i conti con una difficile convivenza tra la chiesa cattolica e le cosiddette sette di matrice cristiana (in maggioranza pentecostali) che raccolgono sempre più proseliti, soprattutto tra gli strati più bassi della popolazione.

Nel maggio 2007 il primo incontro di Benedetto XVI con i giovani ha reso evidente le difficoltà che attraversa la chiesa cattolica del Brasile: gli organizzatori attendevano 70 mila giovani (40 mila nello stadio e 30 mila all’esterno). In realtà i numeri sono stati certamente inferiori: nello stadio sono rimasti diversi spazi e posti vuoti mentre fuori i giovani erano pochi. In tutto quindi i partecipanti sono stati 35 mila secondo i dati forniti dagli stessi organizzatori: non molti se si tiene presente che San Paolo conta 11 milioni di abitanti. Le Chiese pentecostali stanno attirando un numero sempre crescente di fedeli strappati alla Chiesa cattolica (negli ultimi trent’anni la percentuale dei cattolici brasiliani sul totale della popolazione è scesa dal 91,7% al 73,8% e ora al 65%, mentre le Chiese protestanti evangeliche solo salite dal 5,2 % al 17,9%).

I cristiani di base attribuiscono a Giovanni Paolo II e al suo custode dell’ortodossia Joseph Ratzinger di aver «normalizzato» negli anni Ottanta e Novanta il clero e l’episcopato sudamericano e di averlo riempito di esponenti dell’Opus Dei e dei Legionari di Cristo, mettendo ai margini quei teologi della liberazioni che avevano spostato troppo a sinistra il baricentro della chiesa, dialogando con quel comunismo che invece il Vaticano stava combattendo nell’Europa dell’Est.

E l’attuale, drammatica emorragia di fedeli a favore delle sette evangeliche sarebbe il frutto anche della marginalizzazione dei preti a più stretto contatto con i ceti popolari e con le masse delle favelas. Al tempo stesso la preoccupazione della Santa Sede è concentrata sulla crisi della disciplina ecclesiastica, la crescita delle Chiese evangeliche e l’influenza della teologia della liberazione tra i giovani religiosi. I documenti di Wikileaks svelano che il Vaticano era preoccupato per la condotta dei sacerdoti brasiliani sul celibato. E così si riapre una questione di estrema delicatezza per la Santa Sede, soprattutto in ragione dello spinoso tema del clero brasiliano (e sudamericano) vicini alla teologia della liberazione e delle tensioni con Roma di cui è una prova clamorosa il «caso Racife», cioè la controversia sull’aborto della madre-bambina.

Secondo i documenti rivelati da Wikileaks, il Vaticano ha manifestato viva preoccupazione per il comportamento dei sacerdoti brasiliani, soprattutto per la loro inosservanza e indifferenza rispetto alla regola del celibato ecclesiastico. La fonte citata dal diplomatico statunitense nell’informativa è un prelato brasiliano, officiale della Segreteria di Stato monsignor Stefano Migliorelli, stretto collaboratore del cardinale Tarcisio Bertone, riferiva all’ambasciatore Usa, Francis Rooney, che il viaggio di Benedetto XVI in Brasile nel 2007 nasceva dall’allarme per la situazione della Chiesa cattolica locale.

«Monsignor Migliorelli lamenta che il livello di preparazione dei sacerdoti brasiliani è molto basso e che in molti casi non vengono rispettati i capisaldi della disciplina clericale (per esempio il celibato ecclesiastico, etc..)», evidenzia il documento preparato dal diplomatico Francis Rooney per l’amministrazione americana. In un altro passaggio dell’informativa, elaborata nel 2007, si afferma che la crisi sacerdotale, il calo delle vocazioni e l’indisciplina del clero in America Latina sono peggiori che negli Stati Uniti.

La Santa Sede, sempre secondo l’informativa Usa, dà voce al proprio allarme per la crescita delle Chiese evangeliche in Brasile nella regione sudamericana. A giudizio della Segreteria di Stato vaticana, il Brasile e l’America latina devono essere considerate come una «terra di missione» nella quale è necessario «ricominciare da zero» e «il clero deve essere nuovamente formato» per frenare l’avanzata delle Chiese evangeliche. Una situazione preoccupante, dunque, quella denunciata dall’ecclesiastico Migliorelli al diplomatico statunitense Rooney. Due anni e mezzo fa tra Santa Sede ed episcopato brasiliano la crisi raggiunse il livello di guardia. A provocare tensione fu il «caso Racife».

La Chiesa deve rispettare la professionalità dei medici anche quando fanno interventi che sembrano contravvenire la legge ecclesiale come nel caso della bambina di 9 anni violentata e costretta ad abortire in Brasile perché rischiava la vita. La scomunica per la madre e i medici è «un giudizio che pesa come una mannaia e fa sembrare la chiesa insensibile». Il 14 marzo 2009 sull’”Osservatore Romano”, l’allora presidente della Pontificia accademia per la vita, Rino Fisichella stigmatizzò la posizione assunta dall’arcivescovo di Recife, José Cardoso Sobrinho, che una settimana prima aveva annunciato la grave sanzione canonica contro chi ha provocato l’interruzione di gravidanza, malgrado la bambina, incinta di due gemelli, rischiasse di morire.