Quando gli evangelici lanciano un sasso nello stagno

Paolo Naso, giornalista e politologo
nev-notizie evangeliche 46/2011

L’udienza che il 22 novembre il Presidente della Repubblica ha concesso alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha provocato una piccola scossa tellurica che ha evidenziato quanto difficile e rischioso sarà il cammino del governo Monti.

Sollecitato dagli interventi del presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, pastore Massimo Aquilante, e di Elena Bein Ricco e Mario Miegge, il Capo dello Stato ha espresso l’auspicio che “in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza per bambini nati in Italia da cittadini stranieri”. Due minuti dopo che le agenzie avevano battuto la notizia, a raffica, le reazioni rumorose e violente della Lega Nord – sempre da mettere in conto quando si sfiorano questi problemi – ma anche un duro attacco da parte di esponenti di primo piano del PdL come l’on. Gasparri e gli ex ministri La Russa e Sacconi. Parole grosse, persino la minaccia di alzare le barricate da parte della Lega e di negare il sostegno al governo Monti da parte di esponenti del PdL.

Mentre la delegazione degli evangelici donava al presidente Napolitano una copia anastatica della Bibbia detta “di Olivetano” pubblicata nel 1535, dopo che i valdesi ne avevano finanziato la traduzione e la pubblicazione, nei corridoi dei Palazzi romani scoppiava il putiferio in una ridda di dichiarazioni a sostegno o in opposizione alle parole del Capo dello Stato.

Un sasso nello stagno di una politica che, dopo avere dato il peggio di sé, ora pretenderebbe di ingessare il governo in carica nel ruolo di studio commercialistico incaricato di mettere a posto i conti di un’azienda dissestata. In questa strana concezione della democrazia parlamentare, il governo Monti non avrebbe i titoli per governare su materie diverse da quelle economiche e finanziarie e possibilmente sotto dettatura di chi ha contribuito a determinare lo sfascio.

Al Capo dello Stato, agli evangelici italiani ed alle tante associazioni che si battono per il diritto di cittadinanza degli immigrati va quindi il merito di avere mosso le acque di una morta gora, proponendo un tema tra i più attuali e urgenti: quello del diritto di milioni di persone che vivono, lavorano, pagano le tasse, mandano i figli a scuola, rispettano le leggi italiane e che però vengono esclusi dal patto di cittadinanza.

Per ragioni teologiche, sociali e politiche (rimandiamo a un documento pubblicato sul sito www.fedevangelica.it, sezione Essere chiesa insieme/materiali) gli evangelici italiani ritengono che questo sia un “peccato” che pesa sulla coscienza di una comunità nazionale ripiegata su se stessa e quindi incapace di pensare al suo futuro in un’Europa sempre più multiculturale, resa impaurita da campagne xenofobe, invecchiata e per questo tanto più bisognosa di immigrati.

La vicenda illustra bene il quadro generale nel quale va collocata l’udienza al Quirinale: un convegno di studio promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia che il presidente della FCEI, pastore Massimo Aquilante, ha presentato al Quirinale ribadendo l’impegno dei protestanti italiani a contribuire al dibattito culturale e civile del Paese. Non si tratta di rivendicare uno spazio sul quale issare la bandierina di un inutile presenzialismo ma piuttosto di partecipare al dibattito pubblico convinti che la tradizione, la teologia e lo spirito del protestantesimo costituiscano un contributo di pensiero e di azioni originali e utili alla crescita spirituale e civile di questo Paese.

Le relazioni di Elena Bein Ricco e di Mario Miegge sono andate esattamente in questa direzione, superando la barriera di una laicità che si esaurisce soltanto nella separazione tra lo Stato e le confessioni religiose per affermare invece l’idea di una laicità che è anche pluralismo, dialogo, confronto.

Ed è quello che è avvenuto nel pomeriggio, nel corso di un’affollata tavola rotonda presso la Sala Conferenze del Senato: rappresentanti delle principali forze politiche italiane, dalla Lega Nord a SEL, da Rifondazione comunista a FLI, dall’UDC al PD, dall’Italia dei valori ai Radicali italiani – dispiace l’improvvisa defezione del PdL che aveva assicurato la sua presenza – hanno risposto ad alcune specifiche domande su temi rilevanti per il protestantesimo italiano. I temi sul tappeto erano l’intreccio tra la crisi economica e il degrado dell’etica pubblica, la libertà religiosa e le intese, la sistematica disattenzione del sistema politico e dei media alla voce protestante anche sui temi eticamente sensibili, i diritti di cittadinanza per gli immigrati.

Tre ore di dibattito serrato e civile – fatto non consueto nella realtà italiana di questi tempi – nel quale autorevoli rappresentanti di varie, e talvolta contrapposte, forze politiche, hanno detto i loro sì e i loro no alle richieste e alle preoccupazioni degli evangelici italiani.

Convincenti, nella media, le risposte al tema della “crisi” determinata da fattori che vanno anche al di là delle questioni economiche per quanto decisive. E’ una crisi dalla quale si esce con un “patto” civile rafforzato (Orlando, IdV), con la ricostruzione di essenziali “virtù repubblicane” (Pezzotta, UDC) e con la valorizzazione delle grandi risorse umane e culturali che esistono nel Paese (Perina, FLI).

Differenze non irrilevanti sul tema della libertà religiosa minata alla base, secondo Staderini (Radicali italiani), Ferrero (Rifondazione comunista) e Mussi (SEL) dal combinato disposto di due articoli – il 7 e l’8 della Costituzione – che aprono la strada a una gerarchizzazione dei rapporti tra lo Stato e le varie confessioni religiose. Tuttavia lo Stato ora ha un debito – hanno convenuto – nei confronti di comunità religiose che hanno già firmato un’intesa e che da anni attendono il completamento dell’iter di approvazione parlamentare.

Perplessità e giudizi diversificati anche sulla legge quadro sulla libertà religiosa: da una parte la paura che attraverso di essa si introducano nell’ordinamento italiano norme non costituzionali come la shari’a islamica (Polledri, Lega); dall’altra la preoccupazione che anche di fronte a un nuovo testo emergano le difficoltà e i veti che sin qui hanno impedito l’approvazione di un provvedimento sostitutivo delle norme fasciste “sui culti ammessi” (Chiti, PD).

Giudizi più omogenei anche sul tema del pluralismo nel dibattito pubblico e quindi sulla necessità di una maggiore attenzione della voce protestante anche se non può sfuggire a nessuno l’involuzione del sistema della comunicazione (Ferrero, Staderini). Distanze notevoli, però, quando si affrontino temi specifici quali, ad esempio, il testamento biologico: c’è chi spera che non passi il testo alle Camere (Chiti tra gli altri) e chi chiude di fronte a ogni principio di autoderminazione delle proprie volontà giudicandolo anticostituzionale (Polledri).

Sull’immigrazione – il tema del giorno – la Lega è apparsa isolata rispetto alla sua intransigenza persino sui figli degli immigrati nati in Italia. Sia pure con accenti diversi, infatti, tutti gli altri relatori hanno mostrato di condividere l’urgenza di un provvedimento per la cittadinanza degli immigrati sia perché è nell’ordine delle cose di una democrazia (Perina) sia perché serve a contrastare la cultura xenofobica che si è diffusa in Italia (Ferrero).

Ma il dialogo non è stato a senso unico. Sono stati anche i politici a interrogare il protestantesimo italiano e a chiedergli di insistere nella strategia di confronto con il mondo politico di cui il convegno è stata un’alta espressione (così Chiti, Staderini, Pezzotta, Orlando, Mussi). Su due temi almeno sarà importante a breve darsi nuovi appuntamenti di confronto pubblico: la bioetica, l’opportunità e la sostenibilità politica di una legge quadro sulla libertà religiosa.

Ma sullo sfondo resta una questione di ordine culturale più generale: come consolidare una cultura democratica del pluralismo e della laicità in un Paese che non ha vissuto la Riforma protestante e che ancora oggi vive il cattolicesimo come una sorta di naturale religione civile di tutti gli italiani?

Il 22 novembre gli evangelici hanno cercato di dimostrare che non è un interrogativo ozioso per il presente e il futuro della democrazia italiana.