Comitato della gonna

Angelo Fracchia
Il Granello di Senape

Il 6 novembre 2008 l’arcivescovo di Parigi, card. André Vingt-Trois, intervistato dalla Radio Notre-Dame, di fronte alla domanda riguardo al ruolo delle donne nella Chiesa, in particolare rapporto con le richieste di ministero ordinato aperto anche a loro, rispose: “Non basta avere la gonna, bisogna avere qualcosa nella testa”. Forse l’intenzione della battuta era di rimarcare che a essere decisivo non è il sesso di una persona, ma le sue capacità, impegno, disponibilità, fede… siccome però il contesto era quello dell’esclusione dal ministero ordinato delle donne, sembrava che la battuta volesse indicare un’incapacità insita nella testa di tutte le donne.

Due donne, allora, presero l’iniziativa di reagire in qualche modo. Si tratta di Anne Soupa, dapprima bancaria e poi collaboratrice di diverse riviste di taglio biblico e religioso, nonché autrice di testi di riflessione su realtà di fede, sposata con sette figli. E di Christine Pedotti, anche lei autrice e redattrice, con studi di storia e scienze politiche. Fondarono il Comité de la jupe (comitato della gonna), da subito teso non tanto a organizzare un movimento femminista cattolico (ovviamente non sono mancate le letture in queste direzione, ma sono sostanzialmente riduttive), quanto a rivendicare la piena corresponsabilità di laiche e laici nella gestione, consapevolezza e decisioni della Chiesa, nella linea delle indicazioni della Scrittura e del Vaticano II.

In partenza, certo, rivendicano la piena parità di donne e uomini all’interno della Chiesa, senza però pretendere di operare come movimento autonomo o, peggio ancora, scismatico. Nella piena tradizione della chiesa, in pieno spirito di dialogo con i vescovi, ma chiedendo un cambiamento di stile e prassi. In una chiesa ossessionata dal proprio impoverimento di persone e mezzi, dal proprio ruolo sempre più ridotto nella società francese, esse sottolineano la ricchezza di tale chiesa, una ricchezza di persone, di talenti, di idee e disponibilità. Ricchezza però, che viene utilizzata per tappare le falle persistendo con una prassi pastorale che non raggiunge più le persone ma continua a essere riproposta come decenni fa, anziché essere ripensata completamente, per un servizio migliore all’uomo di oggi.

L’11 ottobre 2009 si tiene una marcia dei cittadini e cittadine cattolici per le vie di Parigi, alla chiusura della quale, sul sagrato della chiesa di Saint-Suplice, viene annunciata la fondazione della Conférence des Baptisé-e-s de France (conferenza dei battezzati e battezzate di Francia), un luogo in cui ripensape modalità e scelte della chiesa francese, come spazio in cui tutti i credenti possano esprimere la propria voce. Non esiste forse già, per questo, la Conferenza Episcopale Francese? No, rispondono, perché non vi si trova parità di partcipazione tra uomini e donne (che non vi sono rappresentate, in quanto non possono essere ordinate), e l’uguaglianza di dignità tra uomini e donne è fondata sulla pari possibilità di condividere le decisioni.

Non si tratta, in primo luogo e soprattutto, di spingere per il ministero ordinato delle donne (anche se nei circoli di riflessione del Comitato della gonna si arriva senza dubbio a parlarne), bensì di richiedere una piena condivizione del governo della Chiesa, dove il 90% dei catechisti, il 100% della cura dei luoghin utilizzati e la maggioranza dei fedeli sono donne, ma queste non sono rappresentate là dove si decide e si rappresenta la Chiesa. Si tratterebbe, dicono, di distinguere tra la presidenza liturgica delle comunità cristiane, compito dei presbiteri, e il governo della Chiesa.

Per una serie di richiestre che indubbiamente si pongono nel filone dei documenti del Vaticano II e di certo non sono sconfessate dalla Scrittura, dunque, il Comitato della gonna si pone in un ruolo che, nelle intenzioni, è tutt’altro che divisivo della chiesa. Per questo, subito dopo l’iniziativa più roboante da loro organizzata, quella marcia lungo le vie di Parigi seguita dalla Conferenza dei battezzati e delle battezzate di Francia, scrivono una lettera ai vescovi della Conferenza Episcopale Francese in cui ribadiscono le richieste con un tono di conciliante dialogo.

È probabilmente anche questo il motivo per cui da allora fanno meno rimore e la loro proposività apparentementesi riduce, pur proseguendo in una serie di riflessioni comuni in gran parte ospitate in rete (www.comitedelajupe.fr). Resta comunque una presenza stimolante e interessante nelle intenzioni e negli obiettivi proposti, che si possono riassumere nel desiderio di “occuparci di ciò che è nostro”.