Il dito nelle piaghe della Chiesa

Aldo Maria Valli
Europa On Line, 24.12.2011

Nell’importante discorso alla curia romana dell’altroieri, Benedetto XVI ha parlato della crisi economica e finanziaria mettendola in relazione con una generale crisi morale e in questo quadro ha inserito anche la crisi della fede. Tanti, troppi cristiani, ha detto, sono come la moglie di Lot che, guardando indietro, divenne una statua di sale. Anziché guardare avanti fidandosi di Dio, si preoccupano di se stessi, e in questo modo non costruiscono nulla.

Come esempi di risposte positive alla crisi, il papa ha citato la Giornata mondiale della gioventù di Madrid, nella quale i giovani sono riusciti a coniugare riflessione, preghiera e gioia, e la fede semplice del Benin, l’ultimo paese visitato da Benedetto XVI quest’anno, dove ho potuto trovare, ha detto, un grande incoraggiamento perché lì non si percepiva la stanchezza della fede né quel «tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile».

Nell’analisi del papa è rimasta però sottotraccia una riflessione su ciò che la Chiesa, intesa soprattutto come Chiesa gerarchica, fa o non fa per rispondere alla crisi della fede e per dare una testimonianza di credibilità.

Questa riflessione si trova invece in una bella lettera di Natale inviata ai fedeli da alcuni preti del Triveneto. Una lettera sincera, a cuore aperto, senza giri di parole. Una lettera che mette il dito nelle piaghe della Chiesa di oggi e delinea alcune possibili vie d’uscita.

Dopo aver precisato che la riflessione su «ombre e tradimenti del Vangelo» non nasce dalla volontà di contestare e distruggere ma dall’amore e dal senso di gratitudine per la parola ricevuta, i firmatari citano la Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, là dove la Chiesa si mette sul piano di tutti gli uomini e si dice disposta a condividerne gioie e speranze, ma anche tristezze e angosce.

Ecco, questa Chiesa, se vuole davvero essere dalla parte di tutti, deve parlare con libertà evangelica, «con scelte chiare, da tutti leggibili». Deve saper dire «sì sì, no no», senza ricorrere al linguaggio della politica e della convenienza.

Ecco la questione centrale della testimonianza e della coerenza evangelica. Quando la Chiesa riceve dal potere (economico, politico, militare) finanziamenti e vantaggi, privilegi e onori, automaticamente «perde la forza profetica di denunciare con libertà la corruzione, l’illegalità, l’ingiustizia, l’immoralità, le guerre, il razzismo». Due le situazioni che balzano agli occhi. L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e la presenza di cappellani militari nell’esercito. Sul primo fronte, scrivono i firmatari della lettera, bisognerebbe finalmente arrivare alla scelta degli insegnanti secondo le modalità comuni a tutti gli altri, senza la necessità di idoneità da parte dell’autorità religiosa.

Quanto ai cappellani, se nessuno mette in discussione la necessità di un servizio pastorale per i militari, non si vede perché i cappellani debbano assumere funzioni strutturali e gerarchiche. Inoltre, la Chiesa dovrebbe dire una parola inequivocabile e chiara circa l’uso delle armi, vista la scelta evangelica della non violenza.

In generale, affermano i firmatari, «avvertiamo con particolare urgenza la necessità di privilegiare la testimonianza e la coerenza rispetto all’ortodossia e alla disciplina». Alla richiesta di una maggiore democrazia nella Chiesa si risponde dicendo che la Chiesa è comunione, molto più di una democrazia.

Di fatto però c’è «una rinuncia alla prassi democratica del confronto» e tale rinuncia vanifica anche lo spirito di comunione. Importante sarebbe aprire un dialogo sereno sui cosiddetti «valori non negoziabili ». Non si tratta di chiudersi, ma di lasciarsi provocare dalla complessità della vita. E poi la questione del celibato dei preti, e del ruolo della donna nella Chiesa.

Ci sarebbe tanto da fare, «liberando la Chiesa da un maschilismo di fatto che ha conseguenze non di poco conto nelle decisioni dottrinali ed etiche». Alla Chiesa è chiesta «limpidezza e credibilità». «Crediamo in una Chiesa povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni avidità riguardo al possesso di beni», una «Chiesa che preghi e operi per la giustizia», una Chiesa dell’accoglienza, che apra concretamente le porte ai bisognosi.

Tra i firmatari figurano don Pierluigi Di Piazza, autore del bel libro Fuori dal tempio, e don Albino Bizzotto, fondatore dell’associazione Beati i costruttori di pace.