I lavoratori, prima del lavoro

don Walter Fiocchi
www.adistaonline.it

Possibilità produttive, cassa integrazione, lavoratori eccedenti, mobilità della manodopera, forza-lavoro, variabile indipendente, esuberi, sviluppo, politica degli investimenti, economia globalizzata e finanziarizzata, flessibilità… Non fanno parte del mio ordinario linguaggio, né rientrano nella mia sfera di riflessione, sebbene sia un prete che pure ha avuto la sua buona esperienza di lavoro prima di orientare altrimenti la propria vita.

Eppure credo che qualcosa da dire ci sia. Se il mio compito è quello di annunciare il Vangelo, vedo che la trama del messaggio biblico è data da quello che mons. Charrier, il “vescovo del lavoro”, chiamava il «Vangelo sociale». Ovvero che prima di tutte le prospettive tecniche, per noi, per i sindacalisti, gli imprenditori, gli uomini e le donne di governo, va posta la prospettiva antropologica ed etica! Credo che questa dovrebbe essere la riflessione previa ad ogni tavolo di discussione e di trattativa. E ho l’ingenuità di pensare che l’attuale governo, con tutti i suoi limiti, veri e presunti, composto di tecnici (che qualcuno preferisce definire tecnocrati) e di esperti nei vari settori, abbia la capacità di non dimenticare proprio questa prospettiva antropologica ed etica: è il “governo dei professori”, ma voglio pensare che prima di essere tecnici e professori siano anche, e qualcuno lo è per certo, persone capaci di inserire tutta questa complessa e drammatica tematica dentro una prospettiva che ridimensioni la logica dell’efficienza materiale; capaci di affrontare le questioni del lavoro centrandole “sull’essere umano che lavora”, e quindi tenendo sempre presente la dimensione soggettiva; capaci di tornare a parlare non solo di mercato del lavoro, ma di lavoratori, parola che risuona ormai solo in qualche intervento dei “cespugli” eredi della vecchia Sinistra.

Mi piacerebbe allora che la riflessione previa ad ogni discussione partisse da un assunto: che cos’è il lavoro? Il lavoro è una forma particolare di dialogo dell’uomo con l’uomo, che serve alla conservazione e allo sviluppo della vita umana. O meglio, il lavoro è un dialogo al servizio della vita. Intraprendendo un lavoro, io mi inserisco in un discorso che era in atto fin da prima che io venissi al mondo. Io sono un anello di congiunzione tra passato e avvenire, sono un erede del lavoro; e il frutto del mio lavoro si estende anche all’avvenire: qualcuno diventerà l’erede del mio lavoro e del suo frutto. Il dialogo del lavoro va più lontano del dialogo normale, abbraccia cerchi sempre più ampi di uomini. Il dialogo del lavoro serve alla vita. Non si può considerare l’aspetto etico del lavoro separatamente da quel valore che per l’essere umano è la vita. La vita è il nostro valore fondamentale. Non il valore più alto, perché in certe circostanze le persone sono pronte a sacrificare la vita per salvare altri valori superiori, ma è il valore di fondo, perché soltanto “avendo la vita” possiamo tendere ai valori superiori, quelli dei quali diciamo che “danno un senso alla vita”. Il lavoro o serve alla vita, quando la conserva e ne assicura lo sviluppo, oppure dà alla vita un senso più profondo. Grazie al valore della vita, al cui servizio sta il lavoro, il lavoro stesso acquista valore e dignità. Misura del lavoro è la vita umana al servizio della quale è il lavoro. Quando invece il lavoro è sfruttato, invece di creare divide e, dividendo, minaccia di uccidere: è il pensiero che suscita in me l’espressione “mercato del lavoro”.

In questa direzione devono procedere le linee legislative, strutturali e istituzionali se vogliono essere capaci di promuovere l’autentico volto del lavoro umano.
L’economia e il lavoro devono costantemente essere ricondotti al loro soggetto: la persona. Che significa anche cercare le strade per salvaguardare la dimensione associata del lavoro: il lavoro è straordinaria occasione di solidarietà, perché è costitutivamente un’opera associata dell’essere umano e mai iniziativa individuale soltanto (dimensione soggettiva non è dimensione individualistica); come in bella sintesi diceva la Laborem exercens «il lavoro dell’uomo è sempre obiettivamente inserito entro un’opera che proviene da altri, si svolge con altri ed è finalizzata ad altri». Gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo del lavoro vanno cioè affrontati ristabilendo, in maniera previa, la giusta gerarchia dei valori e ponendo al primo posto la dignità della persona che lavora, cosicché nell’attuale contesto di globalizzazione si possa dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, promotore di uno sviluppo autenticamente globale e solidale.

Recuperando queste abbozzate riflessione, da troppo tempo desuete, forse si potranno evitare ulteriori lacrime alla ministra Fornero!

* Parroco a San Giorgio in Castelceriolo (Al)