Stato e Chiesa: qualcosa si muove di P.Bonetti

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

17.02.2012 | Le pressioni esercitante sul governo Monti da tanta parte dell’opinione pubblica, a proposito delle esenzioni fiscali di cui, in base all’attuale normativa, gode la Chiesa cattolica in Italia, pare non siano state inutili. Il nostro presidente del Consiglio ha comunicato ufficialmente al vicepresidente della Commissione europea, Joaquin Almunia, la volontà del governo italiano di presentare in Parlamento un emendamento alla legge attualmente in vigore che consente alla Chiesa di non pagare l’Ici (diventata Imu) sulle sue proprietà adibite a usi “non esclusivamente commerciali”. Queste proprietà, come anche Italialaica ha ampiamente documentato, sono tante e spesso con scopi prettamente commerciali, inutilmente mascherati da finalità falsamente religiose o assistenziali. Si pensi soltanto a settori come quello scolastico o quello sanitario, dove l’aspetto affaristico è talora talmente evidente da apparire perfino comico. Perché Monti ha fatto questo passo, comunque meritevole, e la Chiesa stessa, che avrebbe volentieri perseverato nell’evasione, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco? Ma perché, dopo un esposto del Partito radicale che risale all’ottobre del 2010, la Commissione europea aveva aperto un’inchiesta per violazione della concorrenza che minacciava di concludersi con una severa condanna del governo italiano. Come ha scritto Maria Antonietta Calabrò sul Corriere della Sera, l’iniziativa di Monti può bloccare la procedura contro l’infrazione che dovrebbe concludersi entro maggio. Se questo accadrà, saranno però i comuni italiani a scapitarci, perché perderanno gli arretrati dovuti dalla Chiesa, che vengono calcolati, prudenzialmente, attorno al miliardo e duecento milioni.

È evidente che il governo italiano, prima di arrivare a prendere questa decisione, ha dovuto trattare con le autorità vaticane e con la conferenza episcopale per giungere a un accordo che, senza compromettere troppo i rapporti con la Chiesa, ponesse fine allo scandalo di un’esenzione fiscale che si aggiungeva ai tanti altri privilegi di cui il cattolicesimo ancora gode in Italia, a cominciare dall’otto per mille. Ora si tratterà di vedere, e sta qui l’aspetto delicato della questione, come saranno effettivamente censite le proprietà ecclesiastiche, con quali criteri saranno in concreto distinte quelle che sono davvero non profit e quelle che, invece, hanno magari qualche elemento religioso o caritativo, ma sono fondamentalmente indirizzate a fini di lucro. Naturalmente la regola di imporre la nuova Ici su tutte le attività integralmente o parzialmente commerciali deve valere anche per le varie associazioni laiche che si muovano sul confine, talora incerto, fra gratuità e profitto e che oggi ancora non pagano l’imposta comunale sugli immobili. I Comuni, d’altra parte, hanno un bisogno urgente, nelle attuali circostanze di restrizione dei bilanci, di riscuotere questa imposta per far fronte a tutta una serie di servizi sociali che sono di loro stretta competenza. Come scrive Calabrò, il gettito che si spera di ricavare dall’Imu applicata anche agli immobili ecclesiastici è calcolato in modo differente a seconda dei parametri adottati, dal momento che “le proprietà fanno capo a una galassia di soggetti giuridici diversi tra loro, che vanno dalle diocesi alle congregazioni, dagli ordini religiosi alle proprietà italiane del Vaticano vero e proprio”. Più che mai opportuno sarà, quindi, un rigoroso censimento di questi immobili, visto che molti, come ha dichiarato il presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani, non sono neppure denunciati al catasto.

I liberali, in gran parte cattolici, che dettero vita nell’Ottocento, allo Stato unitario, ebbero il coraggio, fin dagli anni che precedettero l’unificazione, di colpire duramente i privilegi economici e civili della Chiesa cattolica. Nel 1850, il Parlamento piemontese, con le leggi Siccardi, aboliva i tribunali ecclesiastici e il diritto d’asilo negli edifici religiosi per coloro che avevano commesso un qualche crimine; nei primi dieci anni dell’unità i governi della Destra colpirono le congregazioni religiose per fare entrare i beni da esse posseduti nel circolo di una rinnovata e più dinamica vita economica; il 13 maggio del 1871 veniva approvata quella legge delle guarentigie che, pur assicurando alla Chiesa il libero esercizio delle sue funzioni spirituali, poneva limiti precisi alla sua ingerenza nell’amministrazione civile e politica. Questa legge, che non fu mai riconosciuta dai papi, regolò comunque i rapporti dello Stato con la Chiesa fino al 1929, quando fu sostituita dal Concordato voluto dal regime fascista, che restituì alla Chiesa i privilegi che lo Stato liberale le aveva tolto. Come tutti sanno, il Concordato venne poi inserito nella Costituzione repubblicana del 1948, con il concorso decisivo del partito comunista che sacrificò i principi della laicità dello Stato ai suoi interessi politici. Nel 1984 ci fu, con Craxi, una revisione, che non ha però intaccato la struttura di base del documento. Mario Monti e i suoi ministri sono in gran parte cattolici praticanti e liberali; sarebbe un grande merito per il loro governo se, pur con tutte le prudenze che il loro moderatismo esige, aprissero nei rapporti fra Stato e Chiesa quel nuovo corso che né il centro-destra né il centro-sinistra hanno avuto il coraggio di inaugurare.