Il giogo del Concordato

Antonia Sani
Adista Segni Nuovi n. 8/2012

Che il Concordato tra Stato Italiano e Chiesa cattolica fosse un pesante giogo, un tributo da pagare comunque, apparve inevitabile ai padri costituenti che, pur tra i dissensi di molti, decisero di costituzionalizzare con l’articolo 7 il Concordato fascista. La giustificazione fu che il principio della laicità era salvo, grazie alla famosa espressione «ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», che sanciva, formalmente, la separazione tra i due poteri; e per quell’articolo 8 – una sorta di antidoto di serie B – che prevedeva la possibilità di Intese tra lo Stato e religioni «diverse dalla cattolica».

La grave decisione presentava due risvolti con i quali le generazioni future avrebbero dovuto fare i conti: l’avallo di uno strumento storicamente adottato da regimi autoritari per favorire la concessione di privilegi alle confessioni religiose; il permanere del riconoscimento da parte dello Stato italiano dello Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del sommo pontefice: «Un riconoscimento che varrà al Vaticano l’accesso ai supremi organismi internazionali», scrisse Mario Alighiero Manacorda.

Davvero la “questione romana” a tanti anni di distanza poteva dirsi superata solo a tali condizioni? La contropartita era la “pax”, data per scontata, col mondo cattolico di quegli anni. Fu solo nell’ambito della svolta conciliare della seconda metà degli anni ‘60 che prese maggiore visibilità una nuova sensibilità nei confronti dei privilegi consentiti dalle norme concordatarie alle gerarchie cattoliche.

Un primo segnale a livello istituzionale, dopo non poche resistenze, è rappresentato nel 1967 dall’approvazione alla Camera di una mozione che invitava il governo a prospettare alla Santa Sede l’opportunità di riconsiderare talune clausole del testo del 1929 «in rapporto all’evoluzione dei tempi e allo sviluppo della vita democratica». Fu un succedersi di eventi: dall’istituzione di una commissione di esperti, alla sentenza della Corte Costituzionale (n. 30 del 1971) che affermava il diritto dello Stato italiano di verificare la costituzionalità delle norme connesse ai patti Lateranensi, alla messa a punto di bozze di revisione che nel decennio successivo furono presentate alla Santa Sede.

La firma apposta agli accordi di Villa Madama, il 18 febbraio 1984, fu l’epilogo di questo lungo iter, acclamata come un successo personale di Craxi. Di tutt’altra natura il giudizio severo ancora di Manacorda: «Alle modifiche si alterneranno buffamente le conferme (lo Stato continuerà…), per aggiungervi surrettiziamente nuovi privilegi. Celebrato da molti politici come una conquista democratica, il nuovo Concordato richiama spesso la Costituzione, ma solo per falsarla o trasformarla da atto sovrano dello Stato in concessioni alla Chiesa. È un documento di furbizia politica da parte vaticana e di ignoranza storica e di insipienza giuridica da parte italiana».

Tra le «furbizie» va sicuramente annoverata la relegazione nel Protocollo addizionale di una delle ragioni fondamentali della revisione: «Si considera non più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato»; così come, sempre nel Protocollo addizionale, si trova il mandato al governo italiano e alla Conferenza episcopale italiana di procedere anche alla collocazione dell’insegnamento della religione cattolica nel quadro orario delle lezioni, mitigando con ciò la portata della pattuita «facoltatività». Completa il quadro la legge n. 222/85, che rappresenta la vetta più alta dell’astuzia vaticana (e della condiscendenza governativa) con l’8 per mille.

A trent’anni dall’entrata in vigore del nuovo Concordato, il gran numero di battaglie, denunce, prese di posizione dimostra ampiamente come il giogo permanga in tutta la sua consistenza. Laicità e democrazia sono più duramente colpite sul terreno dell’istruzione, nella materia inerente le unioni matrimoniali, nella gestione del patrimonio ecclesiastico (è l’autorità ecclesiastica a stabilire il fine religioso e di culto delle opere, aprendo la via a un’esenzione generalizzata dall’Ici, o dall’Imu).

Ma si va ben oltre il Concordato quando le gerarchie cattoliche intervengono sui politici con richiami subdolamente espliciti del tipo «per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa». E quando alti esponenti delle gerarchie cattoliche si recano nelle scuole in visita pastorale, o quando intere scolaresche sono condotte alla celebrazione di cerimonie religiose, o quando alberghi e residence sono fatti passare per luoghi con finalità religiose, o vengono potenziate le funzioni dei cappellani militari, o si favorisce l’invadente presenza del clero cattolico negli ospedali pubblici… Altro che «ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»!

Dato dunque per certo che il nuovo Concordato non è servito a rimarginare il vulnus alla laicità operato dall’articolo 7 sulla Costituzione, in questo 28° anniversario non possiamo non porre con forza quell’interrogativo che tanti e tante associazioni si pongono da anni: «Ha ancora un senso quel giogo?». Non costituisce forse il Concordato uno strumento verticistico, inidoneo a soddisfare le attuali esigenze della società civile? Esigenze che oggi sono caratterizzate dall’eguaglianza dei cittadini e dei gruppi sociali di diverse etnie anche in materia religiosa, dall’imparzialità dello Stato in tale materia e da un principio di laicità in grado di imporsi nelle nuove forme di impegno collettivo rivolte a una gestione pubblica dei beni comuni, oltre che nell’azione per una pace mondiale costruita nella giustizia sociale-economica-climatica.

Sarà questa società, democratica e pluralista, ma soprattutto consapevole, a farsi portavoce del rifiuto della logica concordataria e del riconoscimento laico delle libertà costituzionali, di cui la stessa libertà religiosa e la libertà delle Chiese sono parte, senza la necessità di specifiche concessioni e tutele.

(*) Coordinatrice associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”