Riformare il lavoro cancellando i diritti? E anche nella chiesa spagnola esplode il dibattito

Eletta Cucuzza
Adista, n° 13/2012

In Spagna, come in Italia, si sta procedendo alla riforma del lavoro. Quella approvata dal governo del “popolare” Mariano Rajoy alla fine di febbraio – e che deve ancora passare al vaglio del Parlamento – sembra però più iniqua di quella italiana (in qualche punto apprezzabile ed in toto apprezzata dal nostro presidente dei vescovi, card. Bagnasco, v. notizia di apertura); tanto che l’immediata risposta dei sindacati è stata – al pari di quella della nostra Cgil, indignata per lo stravolgimento dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori – lo sciopero generale del 29 marzo. E sindacati a parte, a farsi portavoce della rabbia e della delusione degli spagnoli, già molto penalizzati da una crisi economica che si avvita inesorabilmente su se stessa, sono stati due movimenti cattolici: la Hoac (Fratellanza Operaia di Azione Cattolica) e la Joc (Gioventù Operaia Cristiana), dando inconsapevolmente abbrivio, però, ad una polemica ecclesiale che dimostra, certo non per la prima volta, quanto la gerarchia sia distante dalla vita e dalle esigenze della cosiddetta “gente comune”, e quanto ciò causi frizioni al suo stesso interno.

L’analisi elaborata dalle due associazioni nel Comunicato sulla nuova riforma del lavoro (16/2) è stata giudicata dal delegato diocesano alla Pastorale del Lavoro di Madrid, Juan Fernández de la Cueva, a tal punto irreprensibile da voler trasmettere il documento a tutti i parroci della città allegandogli una lettera (23/2/12) in cui sottolinea: «È importante che i criteri cristiani della Dottrina sociale della Chiesa formino parte del nostro giudizio, al di sopra delle ideologie economiche o politiche che tutti abbiamo. Una responsabilità che appartiene a tutta la Chiesa», dai pastori ai laici.

Il cardinale sconfessa il delegato diocesano

L’iniziativa ha fatto infuriare il cardinale di Madrid, Antonio María Rouco Varela, che ha emesso un comunicato di sconfessione da diramare a tutte le parrocchie: «La nostra Diocesi – vi chiarisce – non si identifica con tale documento, né si rende responsabile di esso, considerando inappropriata la sua diffusione. Per indicazione del signor cardinale, si invia questa nota, affinché ogni vicario episcopale la faccia arrivare agli ambiti di sue responsabilità. Nelle Vicarie territoriali dev’essere inviata agli arcipreti nel più breve tempo possibile, affinché questi lo mandino alle parrocchie e luoghi di culto di loro competenza».

I dietrologi dicono – come si riscontra sul web – che all’arcivescovo madrileno non è andata giù la critica a un governo ora guidato del Partito Popolare. Per la precisione, però, il comunicato non appunta le sue critiche solo all’attuale forza governativa. Anzi. Così inizia: «Siamo davanti alla 16° riforma del mercato del lavoro in democrazia. Finora le riforme del lavoro fatte dai governi, di uno e dell’altro colore politico, con il pretesto di modernizzare e flessibilizzare il mercato del lavoro, hanno trasformato la concezione e la funzione del lavoro dipendente nella nostra società e stanno indebolendo i diritti dei lavoratori e delle loro famiglie». Invece che combattere la disoccupazione, hanno solo ottenuto di «aumentare il lavoro a tempo determinato, specialmente per i giovani», «diversificare le modalità di contrattazione, à la carte» «abbassare i costi dei licenziamenti», «ridurre la crescita dei salari» e «deprimere il settore pubblico (servizi sociali, istruzione e sanità)».

Se il «rispetto della dignità del lavoro, vincolato alla dignità della persona, è e dev’essere il criterio centrale di un’economia orientata da “un’etica amica della persona” (Caritas in veritate, 45)», questa riforma, secondo la Hoac e la Joc, «è un’altra aggressione al lavoro umano come principio di vita», «è un ulteriore cavallo di Troia per flessibilizzare il mercato del lavoro», perché «rompe il diritto costituzionale al negoziato collettivo e alla capacità organizzativa dei lavoratori»; «facilita e rende meno cara l’espulsione dal mondo del lavoro: toglie ostacoli al licenziamento per cause economiche; abbassa gli indennizzi per il licenziamento senza giusta causa (…) ed elimina l’autorizzazione amministrativa per poter realizzare i tramiti di regolazione di impiego»; «apre il cammino all’adattamento dei salari alla produttività»; «rende difficile, quando non lo impedisce o lo rende precario, il lavoro giovanile».

Il comunicato termina con la richiesta «alle autorità politiche, agli agenti sociali ed economici, ai lavoratori e alla società, specialmente ai cristiani e alle cristiane, di camminare insieme, con l’intenzione di eliminare le cause che hanno generato questa crisi economica e, allo stesso tempo, di superare le strutture economiche e sociali ingiuste»; e con l’invito a «correggere e riorientare, nel processo parlamentare, questa riforma del lavoro». Le ultime parole sono un richiamo alla mobilitazione: «Incoraggiamo tutti a partecipare alle iniziative e mobilitazioni che saranno convocate da parte delle organizzazioni ecclesiastiche, sociali e sindacali che aiutano a prendere coscienza e cambiare questa situazione così lesiva per i lavoratori e le loro famiglie».

E allora, sciopero!

L’esortazione finale ha trovato presto applicazione: la Hoac e la Joc della provincia di Vizkaya (Paesi Baschi) hanno dichiarato, con un comunicato del 21 marzo scorso, il loro appoggio allo sciopero generale proclamato dai sindacati spagnoli per il successivo 29 del mese, considerandolo «un’opportunità per rivendicare una concezione del lavoro umano come principio di vita» e per «ricercare alternative a un sistema capitalista che ha imposto la cultura della produzione e del consumo» (brindando, fra l’altro, all’unità sindacale ritrovata in quest’occasione). In questo caso, non c’è stato nessun supporto da parte dell’ufficio pastorale per il lavoro. Sostiene Religión Digital del 22/3 che il vescovo di Bilbao, mons. Mario Iceta, abbia «proibito al segretariato per la pastorale operaia di firmare il documento». La smentita è arrivata da non meglio precisati ambienti diocesani, che spiegano – come riferisce InfoCatólica il 22/3 – che è stato il Consiglio episcopale a fermare il testo del comunicato sullo sciopero chiedendone «la rielaborazione». Nulla a carico del vescovo dunque, anche se a quanto pare non tutti ne sono convinti.