Il Papa bacchetta i sacerdoti disobbedienti. «Ordinare le donne? Non siamo autorizzati»

Gian Guido Vecchi
Corriere della Sera, 5 aprile 2012

Il no al sacerdozio femminile, scandisce, è «irrevocabile» perché la Chiesa non ha ricevuto «alcuna autorizzazione» da Gesù. Ma questo è solo un esempio, il Papa risale all’essenziale: «La disubbidienza è una via per rinnovare la Chiesa?». La risposta, ovvio, è no. Ma la domanda risuona con accenti tragici nella Basilica di San Pietro, c’è «una situazione spesso drammatica nella Chiesa di oggi» e Benedetto XVI affronta la questione a viso aperto nella «messa crismale» che apre il Giovedì Santo, la riprende al pomeriggio a San Giovanni in Laterano con il rito della lavanda dei piedi e la meditazione sulla «falsa contraddizione tra obbedienza e verità», l’esempio di Gesù che nella notte dei Getsemani «allunga lo sguardo nelle notti del male, vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere».

I «DISOBBEDIENTI» – Sullo sfondo, c’è il discorso che pronunciò il 24 settembre a Friburgo, uno dei momenti decisivi del pontificato: «La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede», disse. «Se non arriveremo a un vero rinnovamento della fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace». E così ora il Papa riparte da qui, dalle richieste crescenti di «riforma strutturale» come la Pfarrer-Initiative, l’«iniziativa dei parroci» che dal 19 giugno 2011 in Austria ha raccolto le firme di quasi 400 preti ed è rimbalzata presto (come si legge anche nel sito www.pfarrer-initiative.at) in Irlanda e Usa, Francia e Germania, Slovacchia e Belgio: considerato «il rifiuto di Roma di una riforma della Chiesa da tempo necessaria e l’inattività dei nostri vescovi», i firmatari sostengono tra l’altro le donne prete, contestano l’obbligo del celibato, considerano la possibilità di «un’Eucarestia senza prete», scrivono che non rifiuteranno la comunione a divorziati-risposati e «membri di altre chiese cristiane». Il riferimento di Benedetto XVI è esplicito: «Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore».

LA REPLICA – Benedetto XVI appare un po’ stanco, non c’è stata sosta dopo il viaggio in Messico e a Cuba (si riposerà dopo Pasqua, a Castel Gandolfo), ma il tono è fermo, a conferma di ciò che diceva nell’incontro con Fidel Castro: «Sono anziano ma posso ancora fare il mio dovere». Eppure, secondo il suo stile, non c’è alcuna asprezza né condanna di sorta, in fondo non è strano che ieri monsignor Helmut Schüller, leader dei «disobbedienti» austriaci, abbia commentato in positivo: «È stata una spiegazione aperta, non c’è stato alcun divieto e nessuna sanzione…». Il Papa, difatti, argomenta: «Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?». E ancora si pone un’altra obiezione: «Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio?» Risposta: «Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida», la «vera obbedienza» contro «l’arbitrio dell’uomo». Ma non basta: «Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione?». Ed è qui che Benedetto XVI offre la risposta chiave: «No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento». Il Concilio Vaticano II come bussola della riforma autentica, dunque.

LA VERA RIFORMA – Come in Germania, il Papa contrappone l’apparenza della «riforma strutturale» alla «vera riforma» spirituale, «ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore». La «base di ogni rinnovamento» è quindi «conformarsi a Cristo», perché «non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori». Del resto Cristo stesso «non domina ma serve, non prende ma dà». Il gesto inaudito, ripetuto dal Papa a San Giovanni in Laterano, di Gesù che lava i piedi agli apostoli: «Capite cosa vi ho fatto?». Solo nella fede, insomma, sarà «credibile» la predicazione dei sacerdoti: «Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso». E poiché la figura di Gesù «ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere la misure da Lui», il Papa porta ad esempio i santi, da Ambrogio e Agostino «fino a Papa Giovanni Paolo II», e spiega: «I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape».