Fede, libertà e valori non negoziabili

Riccardo Saccenti
Adista n. 15 del 21/04/2012

La parola “libertà” è certamente fra le più usate e spesso abusate di questo nostro tempo. Il dibattito culturale e politico ci parla della libertà dell’uomo e declina sempre più questa categoria in parti più specifiche. Grandi e piccole libertà si intrecciano nel nostro quotidiano e sono oramai entrate a far parte del nostro lessico. Libertà universalmente riconosciute, che fanno parte della coscienza etica collettiva, come la libertà di pensiero, di espressione, di decidere liberamente sono entrate nelle carte costituzionali e nelle dichiarazioni universali. Negli ultimi anni poi, altre libertà hanno iniziato ad entrare nel nostro quotidiano, non di rado suscitatando discussioni accese e dibattiti serrati. La libertà di interrompere una gravidanza, di avere un figlio, di poter scegliere di porre fine alla propria vita fanno parte della cronaca politica, più ancora che del dibattito morale. Su di esse si è giocato, e tutt’ora si gioca, un confronto i cui contenuti sono spesso scivolati dal piano della riflessione morale ed etica a quello della dialettica politica e spesso del confronto elettorale.

La questione delle libertà delle persone e dei loro limiti è parte viva di un processo di radicalizzazione del dibattito pubblico, di una sorta di sostituzione di vecchie strutture ideologiche e paradigmi culturali con nuove forme d’identità e appartenenza. Così, se da un lato si afferma l’idea secondo cui la tutela della dignità della persona risiede nella capacità delle pubbliche istituzioni di togliere ostacoli e vincoli all’operare di ciascuno, dall’altro lato si riscoprono posizioni che sostengono l’esistenza di vincoli e limiti inderogabili, di un confine che lo Stato e le sue leggi non hanno l’autorità di superare. Il principio di autodeterminazione dell’individuo e il concetto di “legge naturale” sono i due poli attorno a cui questi due schieramenti intellettuali e, sempre più spesso, politici, si trovano ad aggregarsi e ad opporsi.

Questo confronto, o meglio questo scontro, emerge in modo esplicito sui temi della bioetica, quali l’uso di metodi contraccettivi o di tecniche di fecondazione medicalmente assistita e la pratica dell’eutanasia. Vivendo nel mondo e camminando lungo le vie della storia degli uomini, la Chiesa ha dovuto affrontare questa situazione e oggi più che mai non solo è spettatrice di questo confronto ma tende ad essere una delle voci più attive nell’affermazione di una specifica posizione e nella sua difesa. Le vicende italiane, legate alla controversa legge sulla fecondazione medicalmente assistita e al “caso Englaro”, hanno rappresentato un esempio particolare di coinvolgimento della comunità cristiana e dei suoi pastori nel dibattito pubblico attorno a questi temi. L’espressione “valori non negoziabili” che ha accompagnato la presa di posizione dei pastori nei momenti in cui i cittadini sono stati chiamati al referendum o il Parlamento ha esercitato i suoi poteri legislativi è stata ripetuta e affermata come un elemento cardine. Di fronte al complesso d’interrogativi sulla giustezza o meno di certe pratiche, sulla loro bontà morale, l’impressione che si è avuta è quella di una Chiesa che ha scelto la semplificazione espressiva per arrivare alla chiarezza di dottrina e degli orientamenti di vita, piuttosto che affrontare un complesso dibattito pubblico sulle implicazioni più profonde delle questioni all’ordine del giorno.

Molti non credenti hanno reagito con durezza alle prese di posizione della Chiesa, spesso accompagnate da messaggi espliciti alla politica che hanno suggerito un tentativo di condizionare e orientare il legislatore su questi temi. D’altro canto, anche molti credenti hanno vissuto l’operare dei pastori come incomprensibile, come una riduzione della ricchezza del magistero della Chiesa a poche parole d’ordine, dietro alle quali ogni cristiano era chiamato a schierarsi. Ha turbato molti l’idea che i pastori dovessero porre dei vincoli alla valutazione secondo coscienza da parte dei singoli credenti, in particolare di quelli chiamati a ricoprire cariche pubbliche.

Il quadro delineato, per quanto sommario, sembra suggerire che la Chiesa, in questo mondo post ideologico, abbia scelto di prendere parte ad uno scontro di idee, più che ad un confronto di posizioni e di esperienze etiche diverse. Eppure nel tesoro dell’insegnamento che la Chiesa ha dispensato nella sua storia e che nasce dal rapporto di fede e amore con il suo Signore, vi è tutt’altro che una riduzione dell’etica a semplici affermazioni di principio. Lungi dall’essere circoscrivibile a una serie di precetti dal valore assoluto o alla necessità di riconoscere in modo indiscutibile la guida morale di un’autorità, il depositum che la comunità dei credenti custodisce svela come, al centro delle attenzioni, vi sia e vi debba essere la persona e la sua salvezza, che il mistero di Cristo illumina. La capillare presenza del tema della libertà all’interno delle Scritture, dice che il rapporto dell’essere umano con Dio narrato nel Vecchio e nel Nuovo Testamento è una storia di liberazione e di cadute, in questo percorso di libertà guidato dall’invito: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Da allora, lungo i secoli, i cristiani hanno sempre dovuto mettersi in questione e lasciare che Cristo provocasse la loro libertà e le loro schiavitù.

Tutto questo che cosa dice a quanti oggi si interrogano sul valore e sul contenuto della libertà degli uomini e delle donne? Che cosa dice la libertà di Cristo di fronte alle tante libertà, più o meno rivendicate o contestate? Indica davvero l’esistenza di limiti all’agire dei singoli e all’operare degli Stati? Rappresenta il disvelamento di un criterio di giudizio assoluto che ci dice che esistono azioni moralmente cattive in sé, oltre che peccaminose? Aiuta davvero a definire come “male” determinati atti, norme o leggi fissati per governare società di cui i cristiani sono solo una parte? Oppure suggerisce altre vie per parlare agli uomini e alle donne di oggi? Nel Cristo, che i Vangeli presentano e che la Chiesa testimonia, si scorge ancora un punto di riferimento, un metro che consenta di fare ordine fra i limiti e le concessioni su cui si discute?

Sono le domande che il gruppo “Cristiani in ricerca” intende porre al centro del prossimo incontro, dal 4 al 6 maggio, a Camaldoli, a cui parteciperanno anche Giannino Piana (docente di etica cristiana all’Università di Urbino) e Antonio Da Re (docente di filosofia morale all’Università di Padova) per tentare di mettere in questione la nostra fede di fronte alla libertà e la nostra libertà di fronte alla fede (v. box).

Il valore della libertà rispetto alla fede e alla sua professione, così come rispetto alla capacità di condurre una vita buona lascia intuire che quello di cui si discute è qualcosa di ancor più profondo e radicale. L’interrogativo sulla libertà, infatti, non tocca soltanto un aspetto della nostra vita e della nostra esistenza. La Parola di Dio e il modo in cui la Chiesa nei secoli ha saputo ascoltarla, meditarla, comprenderla, annunciarla e insegnarla dice che la questione della libertà investe le radici stesse del nostro esistere e della nostra umanità. Racconta l’evangelista Luca che a Gesù, entrato nella sinagoga di Cafarnao, fu dato da leggere il rotolo di Isaia, al punto in cui il profeta annuncia: «Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18. Cf. Is 61,1). La libertà è annunciata e proclamata, una libertà a cui si è chiamati e che in Cristo si mostra in tutta la sua pienezza come dono, come esercizio di carità e discernimento del cuore dell’uomo e della donna, consolazione dei turbamenti e delle sofferenze, pratica quotidiana della giustizia. Il Dio incarnato porta nella sua umanità la libertà di Dio, rivelando come le persone siano chiamate alla libertà. Nell’annuncio del Vangelo e nel suo insegnamento illuminato dalla Parola, la Chiesa può continuare ad indicare alle persone, prima ancora che norme o leggi o principi negoziabili e non, un cammino da percorrere, una via per ritrovare se stessi e la propria dignità. I cristiani possono testimoniare la libertà che è propria di colui che educa la propria coscienza alla scuola del Maestro di verità che è l’Emmanuele.

* Del gruppo “Cristiani in ricerca”