La crisi è grave, il lavoro manca, i tagli non servono. Alcuni vescovi criticano il governo Monti

Luca Kocci
Adista n. 16/2012

La crisi economica, l’emergenza lavoro e le misure del governo Monti – che pure il card. Bagnasco ha elogiato al Consiglio permanente della Cei di fine marzo (v. Adista Notizie n. 13/12) – preoccupano molti vescovi, da sud a nord della Penisola.

Il più esplicito è mons. Fiorini Morosini, di Locri – successore di mons. Bregantini, anch’egli assai critico nei confronti delle misure economiche dell’esecutivo (v. Adista Notizie n. 13/12) – che ha preso carta e penna e ha scritto direttamente al premier per denunciare la situazione generale e quella del suo territorio in particolare. «Le difficoltà economiche stanno imponendo duri sacrifici a tutti, ma noi nella Locride le stiamo vivendo in maniera drammatica», scrive il vescovo, che aggiunge che «certi tagli hanno comportato la perdita delle ragioni stesse per ipotizzare futuro». «La perdita dei servizi più elementari, quali i presidi sanitari, le scuole materne, gli sportelli postali per le pensioni degli anziani, scoraggiano la permanenza delle giovani coppie in questi luoghi».

E infatti molti «fuggono verso la costa, creando le premesse di problemi molto più gravi, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, dei quali prenderemo coscienza nei prossimi anni, quando forse tutto sarà compromesso: aggravamento del dissesto idrogeologico, criminalità, perdita di radici storiche, abbandono della piccola agricoltura, che ora integra il reddito, nuovi problemi nei paesi di approdo a causa della casa e del reddito insufficiente, denatalità in crescita, rapido invecchiamento della popolazione». Denuncia mons. Morosini: «Quel che può apparire oggi un guadagno per lo Stato, riducendo i servizi, verrà pagato in altro modo». Oltre a tutto ciò, «la crisi economica ha elevato moltissimo la fascia della povertà», come ben sanno «gli sportelli della Caritas diocesana e quelli delle Caritas parrocchiali». «È necessario dare fiducia ai nostri giovani perché non lascino la nostra terra», conclude la sua lettera il vescovo di Locri: «Sto esortando tutti alla coerenza di vita e all’impossibilità di far coesistere illegalità, crimine e religiosità. Non è difficile a Locri per un vescovo parlare di legalità e condannare la criminalità; difficile è dare speranza».

Non è solo mons. Morosini ad elevare grida di dolore e di denuncia. I vescovi del Molise – che fra l’altro alla fine di febbraio hanno promosso un convegno sul tema “Precarietà e crescita in Abruzzo e Molise” – richiamano il mondo politico e le istituzioni ad essere più vicine al mondo del lavoro e a farsi carico delle drammatiche difficoltà di chi perde l’occupazione o non la trova. E i vescovi del Triveneto, in un messaggio scritto in vista della festa del lavoro del prossimo primo maggio, tracciano un drammatico quadro sull’attuale situazione in cui versa il mondo del lavoro delle regioni del Nord-Est, anche tenendo conto del gran numero di suicidi di disoccupati e piccoli imprenditori in crisi nell’ultimo periodo.

Parole nette anche da parte degli Uffici di pastorale sociale e del lavoro delle Diocesi della Lombardia, che, in attesa del primo maggio, promuovono in tutta la regione delle veglie di preghiera per il mondo del lavoro. Esprimiamo «viva preoccupazione per la durata e le conseguenze, sempre più vistose, della pesante crisi di carattere globale in atto», scrivono i responsabili della pastorale del lavoro. «Ci si attendono per lo più soluzioni in sede tecnica, mentre le cause sono ben più profonde, di carattere sociale, culturale, etico; pensare quindi di risolverne gli effetti emergenti senza affrontarne i motivi di fondo appare sempre più velleitario. Proprio le sue cause, d’altra parte, appaiono difficili da rimuovere a breve, perché insite in stili di vita, personali e istituzionalizzati, ampiamente radicati e come tali non facilmente modificabili», aggiungono, con evidente riferimento alla ondata di inchieste che, soprattutto in queste settimane, stanno investendo il mondo politico lombardo.

Anche loro, poi, puntano il dito sulla questione del lavoro che «da emergenza occasionale» sta finendo «per cronicizzarsi». Ma «la crisi non si è generata da sé – proseguono – né ha alla sua origine cause inevitabili», per cui occorre «trovare risposte efficaci, ricercando insieme, con costanza a attraverso un comune impegno, non soltanto soluzioni di carattere tecnico, pur necessarie, ma un vero e proprio cambiamento di mentalità nella vita comune. Dai rinnovati, auspicabili nuovi stili di vita – a livello personale, familiare, delle nostre comunità, come pure delle istituzioni, a partire dall’evitare consumi inutili e sprechi per rendere disponibili maggiori risorse per il lavoro – ad una vera cultura della solidarietà, prima e irrinunciabile risposta per ricostituire e rafforzare quel tessuto sociale solido, coeso, che non può essere affidato soltanto alla buona volontà di alcuni».

E c’è anche il card. Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano, che lo scorso 12 aprile, al primo incontro in vista del Convegno mondiale delle famiglie – in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno –, a proposito di giovani e lavoro e di articolo 18, respingendo i tentativi che talora si fanno di mettere “i figli contro i padri”, ha detto: «Oggi, guardando la realtà, vediamo tante persone con molte tutele, generalmente la generazione dei padri, e altrettante persone con pochissime tutele, tendenzialmente la generazione dei figli» ma «non appare corretto togliere diritti giusti a acquisiti ad alcuni, i più tutelati, per fare in modo che altri, i meno tutelati, ne abbiano in dose maggiore». Bisogna invece assegnarle anche ai figli, in un ottica di «solidarietà tra generazioni» per assicurare «un futuro alla nostra società». Perché i diritti appartengono a tutti.