Quando la teologia sottende la vita

Giovanni Munari
Comboni fem

Un appassionato del Vangelo, della fede vissuta nella quotidianità, del ruolo decisivo dei laici nell’annuncio della buona novella in tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Un missionario comboniano, che in Brasile ha conosciuto da vicino padre José Comblin, evidenzia le coordinate fondamentali della sua testimonianza.

il 27 marzo moriva d’infarto, in una cittadina presso Salvador, nello stato brasiliano di Bahia, José Comblin. Stava partecipando a uno dei tanti corsi di formazione per operatori delle comunità di base che faceva un po’ dappertutto, per mantenere vivo un ideale per il quale si era battuto tutta la vita, quello di una Chiesa che nasce dal basso, vicina alla gente, trasparente nelle scelte e nell’impegno cristiano, coerente con le esigenze del Vangelo, fraterna. Aveva da poco compiuto 88 anni. Da alcuni anni era andato a vivere nella Bahia per seguire un vescovo francescano, Luis Cappio, il quale si batteva per fermare il faraonico progetto governativo di deviazione del grande fiume San Francisco che – riteneva – avrebbe non solo fatto morire il fiume ma anche impoverito le numerose popolazioni che da secoli vivono sulle sue rive.

Ricordo che un giorno, in uno dei suoi incontri, gli chiedemmo: «Ma ci dica, da teologo: come riusciamo a capire la volontà di Dio su di noi?». Con tutta semplicità ci rispose: «Non è difficile. Dio parla nella storia. Se nella vita, a un certo punto, tutte le porte si chiudono, vuol dire che Dio ti chiama da un’altra parte. Se poi io ricevi un invito di qua, una proposta di là, vuol dire che Dio ti sta indicando una strada. Seguila». Ecco, mi sembra sia stato proprio questo il principio ispiratore di tutta la sua vita.

Belga, Bosé Comblin era arrivato in Brasile nel 1958 dopo una formazione teologica all’Università cattolica di Lovanio. L’allora vescovo di Olinda e Recife Dom Hélder Camara lo aveva invitato ad aiutarlo nella formazione dei giovani candidati al sacerdozio. Erano gli anni del concilio, dell’effervescenza della Chiesa latino-americana. Comblin partì con entusiasmo. E cose ma che cosa insegnare? Come si prepara un sacerdote? Egli stesso rispose un giorno: «Se vogliamo convertire il mondo d’oggi e presentare il cristianesimo, tutto quello che interessa è, giustamente, il Vangelo. Nessuno si converte per la teologia. Si possono ascoltare i migliori teologi, ma nessuno diventa cristiana motivo della teologia. Per questo mi chiedo: perché nei seminari si crede che la formazione sacerdotale si entra imparare la teologia? Non capisco non c’è altro da fare per evangelizzare? No è molto più complesso». Per questo Comblin divenne , già in quegli anni, un teologo con qualcosa di diverso, preoccupato che la fede diventasse vita. Divenne in poco tempo uno dei massimi esponenti della teologia latino-americana del post-concilio.

Quando i venti di restaurazione soffiarono sulla diocesi che era stata di dom Hélder, fedele ai suoi principi si trasferì nella Bahia

Comblin era così. Fu sempre un teologo militante. Attribuiva alla teologia due ruoli importanti. Anzitutto, quello di aiutare a capire ciò che, nell’insegnamento cristiano, viene da Gesù e quello che invece è stato raggiunto dopo, che ha allontanato, a volte, il messaggio dalla sua freschezza primitiva. Quello che viene da Gesù va difeso e riproposto nei secoli. Il resto può, e talora deve, essere rivisto.

Poi, il ruolo di aiutare più i laici che i preti. Si domandava: «Chi evangelizzerà il mondo d’oggi?». Non aveva dubbi: «I laici!». Ne deriva già i segni: «Si sono formati piccoli gruppi di giovani che praticano la povertà; di verità i condizionamenti del consumismo, vivono a contatto con il mondo dei poveri. Conterebbero di più se si parlasse di più di loro, se fossero più conosciuti.

Può essere anche un compito secondario della teologia ma è importante: divulgare quello che sta succedendo realmente nel mondo laicale, mostrare dove i, in questo momento, il Vangelo e vivo, per farlo conoscere e che perché le persone si conoscono vicenda, affinché non si perdono d’animo». Essere teologo per lui era questo, prima di ogni altra cosa: l’impegno a sostenere chi si mette sulla strada del Vangelo.